Fra le tante proprietà del grafene che lo rendono il materiale del futuro sembra essersene aggiunta una molto importante, che potrebbe permettere il sostentamento di molte persone obbligate già oggi a utilizzare processi di desalinizzazione dell’acqua di mare per recuperare acqua potabile.

Questo è un processo attualmente molto discusso, proprio per i costi che comporta, anche in termini energetici, è quindi ritenuto non sostenibile. Con il grafene però le cose potrebbero cambiare. Un team di scienziati statunitensi dell’Oak Ridge National Laboratory (ORNL) del Dipartimento dell’Energia del Tennessee ha pensato di condurre alcuni esperimenti che verificassero le potenzialità del grafene, come possibile membrana per un processo di osmosi inversa.

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L’Oak Ridge National Laboratory (ORNL), laboratorio nazionale di scienze interdisciplinari e tecnologia gestito dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, rappresenta il più grande laboratorio del DOE. Sito in Oak Ridge, nel Tennessee, scienziati e ingegneri vi conducono ricerca e sviluppo di base e applicata finalizzata alla competenza nazionale in aree chiave della scienza, ad aumentare la disponibilità di energia pulita e abbondante, alla protezione e ricupero ambientale e a contribuire alla sicurezza nazionale.

I metodi attualmente utilizzati per la depurazione dell’acqua sono la distillazione e l’osmosi inversa. Nella distillazione una miscela viene riscaldata fino all’estrazione dei componenti volatili dal vapore, che poi condensa. Richiede molta energia.
Nell’osmosi inversa invece si forza il flusso di un fluido attraverso una membrana porosa, dalla parte dove si ha una concentrazione salina maggiore, a quella in cui è inferiore, quindi nel caso dell’acqua di mare, dall’acqua salata all’acqua dolce, andando nella direzione opposta di quella che il fluido prenderebbe in condizioni naturali. Anche qui è richiesta una notevole quantità di energia, anche se inferiore a quella necessaria per la distillazione.
Di solito le membrane utilizzate per l’osmosi inversa sono di tipo polimerico. Si tratta di un filtro sottile posto su di un supporto. Quanto più la membrana è sottile e porosa, tanto maggiore sarà il flusso di acqua e in tal modo la membrana potrà avere una superficie minore.

I ricercatori hanno quindi realizzato dei fogli di grafene dello spessore di un atomo e a partire dal metano fatto passare attraverso un forno tubolare su un foglio di rame, che faceva da catalizzatore, per la scomposizione del gas in carbonio e idrogeno. Nel forno si raggiungeva la temperatura di 1000 gradi centigradi. Dal vapore si depositavano quindi atomi di carbonio che si autoassemblavano in esagoni addossati l’uno all’altro a formare un foglio con struttura bidimensionale a nido d’ape, di un atomo di spessore.

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Un’immagine che simula il processo di filtraggio dell’acqua dai sali, grazie alla nanoporosità del foglio di grafene.

Le molecole d’acqua non riescono però a passare attraverso questa spessa e robusta maglia, gli scienziati hanno così pensato di creare dei fori. Per fare questo hanno trasferito la membrana di grafene su un supporto di nitruro di silicio, avente un foro di dimensioni micrometriche. Esponendo la membrana così posizionata a un plasma (gas ionizzato) di ossigeno venivano creati dei pori, grazie all’eliminazione di alcuni atomi di carbonio.
Questo non è stato fatto a caso, ma verificando le dimensioni ideali dei pori (da 0,5 a 1 nanometro) e la loro frequenza (1 poro per 100 nanometri quadrati). In tal modo le molecole d’acqua passano tranquillamente, richiedendo una pressione inferiore rispetto ai processi tradizionali, mentre gli ioni dei sali vengono trattenuti.
Entusiaste le reazioni dei ricercatori che hanno condotto lo studio. Ivan Vlassiouk, della Divisione Scientifica per l’Energia e i Trasporti della ORNL, ha annunciato: “È un enorme progresso. Il flusso attraverso le membrane di grafene usate al momento è di almeno un ordine di grandezza superiore a quello che avviene con l’osmosi inversa attuale nelle membrane polimeriche”.

Nell’articolo che descrive la ricerca, pubblicato su Nature Nanotechnology, egli aggiunge che questo metodo può essere sviluppato a livello industriale e che in ogni caso restano ancora da vagliare molti altri processi in grado di creare i pori adatti nella struttura a nido d’ape del grafene. Al momento però quello che ha previsto l’utilizzo di plasma di ossigeno si è dimostrato il più efficiente.

greenstyle-logo* Fonte: GreenStyle