Lo scorso anno alla vigilia di Natale lasciai il familiare Tavoliere pugliese e mi avventurai sulle pendici dei Monti Dauni in compagnia di mio fratello, Vittorio, fotoreporter che alla Puglia ha dedicato il maggior numero di emozionanti immagini pubblicate da riviste di tutto il mondo.
Obiettivo principale era una visita a Troia, città di antichissima fondazione: una leggenda la fa risalire al XII-XI secolo a.C., al tempo dell’eroe greco Diomede che, insieme a Ulisse, conquistò la città di Troia dell’Asia minore. Lì ti abbaglia la splendida cattedrale, fondata all’inizio dell’anno Mille, tra le più belle chiese in stile romanico pugliese, con il suo rosone a undici raggi, l’unico al mondo. Ma una sorpresa supplementare fu l’incontro, nel centro storico, con un artigiano/artista locale, Tonino Cibelli, in mezzo ai colori delle sue opere esposte in campane di vetro simili a quelle che ornavano i mobili dei miei nonni: i presepi in miniatura, veri capolavori fatti utilizzando cartapesta, colla, olio e sughero. Un ambiente incantato, allietato dai racconti di Tonino.
Nasce a Troia nel 1940, a vent’anni emigra a Torino alla ricerca di un futuro migliore. Lì fiorisce l’amore per l’arte e per i geni italici, da Bellini al Giorgione, a Raffaello dei quali studia le sapienti tecniche per poi applicarle sulle sue tele poetiche una volta tornato in Daunia.
L’incontro ha portato ad approfondire la conoscenza dei suoi presepi tradizionali, lontani da quelli realizzati sempre più frequentemente da presepisti, in gran parte napoletani, che inseriscono personaggi che nulla hanno a che fare con le pagine dei Vangeli: Obama e Putin, Edoardo e Totò e via andare con i divi della cronaca, dello sport, dello spettacolo. “Dimenticano”, mi ricorda Tonino, “che la parola stessa di presepio deriva dal latino praesep e significa mangiatoia”. I suoi presepi sotto vetro prevedono, con una mirabile miscela di fantasia poetica e fede, la presenza del bue e dell’asinello nella stalla dove si erano rifugiati Maria e Giuseppe per aspettare Gesù. Tonino ha la cura dei particolari, le sue statuine sembrano pronte ad animarsi e comunque raggiungono l’obiettivo che si prefigge l’artista: risvegliare il bambino che è in ognuno di noi. Passate le feste natalizie, con un giro della campana il presepe torna in ombra in attesa del prossimo Natale, lasciando il posto a un paesaggio rurale che vi farà compagnia tutto l’anno.
Il rosone e Tonino: d’ora in poi nella mia mente l’uno sarà a fianco all’altro, nella cornice di Troia.
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Segnalo che in Puglia, oltre ad artisti presepisti come Cibelli, c’è una rete di Presepi viventi. A essa hanno aderito già 65 Presepi viventi, tutti di grande originalità e supportati da organizzazioni efficienti e professionalmente qualificate, in grado non solo di valorizzare l’identità e il senso di appartenenza a un territorio, ma anche di promuovere il sistema economico e turistico locale in un periodo in cui non vi sono altri attrattori legati alla stagionalità. Per questo abbiamo organizzato un educational tour per giornalisti con questo calendario di visite:
Presepe vivente di Alberobello
Presepe vivente di Pezze di Greco
Presepe vivente di Canosa
Presepe vivente di Canosa: il forno.
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Il presepe del silenzio in un paese del Sud
di Valentino Losito
Non sentirò più il silenzio che ascoltai una sera d’inverno di molti anni fa, in una vecchia chiesa, al limitare di un paese del Sud, qualche giorno prima del 25 dicembre.
Non c’era più nessuno, a quell’ora, in quella chiesa. Era rimasta aperta, come una specie di “dispensa” per mendicanti di senso. Di poveri di spirito alla ricerca dello stupore perduto.
C’era il presepe. Di quelli con la luce giusta, dove il cuore si riposa. Con gli sguardi immobili e teneri di Giuseppe e Maria. E l’assorta meraviglia di tutti gli altri “piccoli” della grande storia. Uscendo dalla chiesa portai con me il sapore di quella sosta. E provai a conservarlo.
In quel momento non avrei mai immaginato che quel presepe mi sarebbe entrato dentro più di tutti gli altri. Anche più di quelli, bellissimi, che mio padre costruiva nell’angolo del salotto dei nonni. Non so se mio padre fosse più bravo nel costruire presepi o aquiloni. Certo, il suo cuore fanciullo era sempre capace di creare bellezza.
Un presepe più bello di quello di un suo zio prete, che aveva un bue da fare spavento. Nel senso che il suo muggito mi metteva così tanta paura, da farmi solo balbettare la poesia di Natale imparata a scuola. Più bello di quello di uno zio capostazione. Sempre uguale. Sempre quello. Rinchiuso per un anno in una specie di baule in legno. E poi riaperto ogni anno. Preciso, perfetto. Anche troppo.
Non so costruire presepi. Né aquiloni. Stasera ho ritrovato il presepe della chiesa di quel paese del Sud, nel ripostiglio della memoria. L’ho tirato fuori, spolverandolo un po’, confondendomi tra i pastori che cercano la Luce.
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C’è molto di più dell’artigianalità certosina e della passione artistica di un cultore della tradizione locale, nei presepi di Antonino Cibelli. C’é una lettura dell’affanno sociale, che da tempo assilla e sconvolge le nostre comunità, attraverso una rappresentazione predisposta alla “pietas”, comunque proiettata sull’orizzonte largo e confortante della speranza.
La speranza di una prospettiva cercata col cannocchiale della memoria, individuata nel recupero di antichi legami e di resistenti radici d’identità, indicata con l’orgoglio di un’appartenenza al proprio territorio, che esalta, salvaguarda e valorizza quella linfa vitale che tutti chiamano: Amor loci.
I presepi di Cibelli escono dalle scarabattole, che li hanno resi unici e preservati nella declinazione dauna dell’antica tradizione partenopea, per immedesimarsi nella quotidianità critica, controversa e dolorosa del disagio economico, morale e sociale che ci circonda.
Betlemme non più come momento di svolta, lontano nel tempo, che si rinnova nel ricordo e nella celebrazione di una ricorrenza. Ma Betlemme, quindi, che si fa rappresentazione di una realtà comune, per diventare riscatto nel messaggio rivoluzionario di una nuova speranza, testimoniata dalla nascita e dal vagito della nuova vita, che irrompe in tutta la sua luce e in tutta la sua innocenza.
Un messaggio davvero forte, questo ripreso da Cibelli, che riproposto attorno e dentro le forme di simboli altrettanto forti di identità locale (la Cattedrale, la piazza, la casa, l’azienda, un dolce, un’icona etc.), assume i caratteri di una modernità evidente e perpetua nell’attenzione al dettaglio e al particolare il culto ri-generante della bellezza.