I cimiteri non mi piacciono. Vado raramente sulle tombe dei miei genitori, al cimitero di San Cassiano a Predappio, il paese della mia famiglia (da otto generazioni). Fino a una quarantina di anni fa il cimitero conservava tutta la dignità della originaria struttura monumentale voluta da Benito Mussolini (architetto Florestano di Fausto, 1928-1933); un perimetro porticato su un impianto quadrangolare, centralmente attraversato da un percorso ascendente che collega l’ingresso principale alla cappella della famiglia Mussolini. Le tombe di famiglia erano accolte esclusivamente nelle ampie logge del porticato – una loggia, una famiglia – e nelle tombe a terra – bianche lapidi sul prato. Oggi l’ampia superficie a prato che dava respiro e solennità al luogo è totalmente coperta da costruzioni tombali – cappellette – che si sono infittite progressivamente.

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Il cimitero monumentale di Predappio visto dall’ingresso. (Credit: TripBlackKing).

Una volta all’anno, su appuntamento, li mi vedo con le mie due amiche di sempre, (vantiamo tre generazioni di intima vicinanza). In silenzio, ormai consapevoli dell’insufficienza di qualsiasi parola, percorriamo il marciapiede che borda tutto il porticato così da non trascurare alcuna “famiglia”. Ovvio che le conosciamo tutte e sempre più conosciamo anche i loro defunti. Quindi, brevi, ma sempre più frequenti, tappe segnano questa nostra privatissima “passeggiata”. Ci fermiamo qualche minuto sulle tombe dei nostri genitori, scambiamo qualche battuta, un “vi ricordate quando…”. Di solito commosse sorridiamo, altre volte ridiamo proprio – noi tre sappiamo che ognuna custodisce le ragioni delle malinconie e dei dolori delle altre; in quel momento le ombre dei ricordi condivisi ci sembrano più lievi…

Dicevo è un rituale che ci piace; la storia del nostro paese e la storia delle le nostre famiglie è la nostra storia, la storia della nostra amicizia, le ragioni per cui in tanti anni, anche se fisicamente lontane noi non ci siamo mai perse. Un “Noi” molto affollato, ricco di aneddoti, di tavole apparecchiate, di giochi di bambine, di primi amori, di perdite premature, di confidenze esclusive. La tappa al cimitero è un rituale… direi manutentivo e consolidativo di quel “Noi”.

Ma questo luogo, oltre a “raccontare”, trame di vite, intrecci familiari, grandi drammi privati, come tutti gli altri cimiteri – formidabili Spoon River specialmente se storici e di piccole comunità -, ha una curiosa particolarità, non priva di una sorta di ironia del destino: vi sono sepolti a pochi metri di distanza due primi ministri della Repubblica italiana del ‘900. Benito Mussolini (1922-1943) e Adone Zoli (1957-1958). Originari entrambi di Predappio, quasi coetanei, Mussolini era del 1883, Zoli del 1887, il primo fondatore del Partito Fascista e capo del governo di quel regime dittatoriale, il secondo, antifascista, partigiano e poi esponente della Democrazia Cristiana.

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Roma, 10 giugno 1940: dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini annuncia la dichiarazione di guerra alla Francia e al Regno Unito, decretando l’entrata in guerra dell’Italia.

Pochi passi dividono la tomba di famiglia di Zoli dalla cappella della famiglia Mussolini, la prima conosciuta da pochi, l’altra meta di visite e pellegrinaggi. E dire che se la salma di Mussolini, dopo un lungo esilio post-mortem, poté nel 1957 trovare definitiva sepoltura, questo lo si deve ad Adone Zoli che concesse l’autorizzazione governativa per consentirne la tumulazione nella cripta di famiglia del suo paese natale. In quegli anni Zoli, rimasto sempre legato alla terra di origine della sua famiglia, aveva mantenuto i contatti con l’Amministrazione di Predappio e con i membri superstiti della famiglia Mussolini; del resto con quest’ultimi sussistevano antichi legami: donna Rachele era nata nella proprietà agricola della famiglia Zoli e proprio gli Zoli avevano convinto Rosa Maltoni a mandare il figlio Benito in collegio dai Salesiani a Faenza.

Per quanto riguarda l’Amministrazione comunale, Zoli si era confrontato informalmente con il sindaco comunista Egidio Proli, durante un incontro avvenuto a Roma qualche settimana precedente la data della traslazione (vasta eco ebbe la frase del sindaco: “Non ci ha fatto paura da vivo, non ce la farà ora da morto”).

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Predappio (Forlì-Cesena), 29 agosto 1957: l’arrivo della bara con Benito Mussolini. nel cimitero del suo paese d’origine. Tra i testimoni, la nostra autrice, Annarita Proli, allora di 7 anni. La salma di Mussolini poté trovare definitiva sepoltura nel cimitero del suo paese d’origine grazie ad Adone Zoli che concesse l’autorizzazione governativa per consentirne la tumulazione nella cripta di famiglia di Predappio.

Così che il 29 agosto del 1957, si compì l’ultimo viaggio di Mussolini a Predappio. A nessuno passò inosservato quell’insolito corteo di macchine, proveniente da Forlì, che lentamente attraversò il paese; e neanche a me, che avevo appena sette anni e stavo correndo con la mia bicicletta sul marciapiede; ricordo un’auto americana Packard scortata dalla polizia, seguita da altre auto. La curiosa agitazione che aveva preso quei pochi che si trovavano lungo quel tratto di strada dell’abitato e gli interrogativi che presto si diffusero sui marciapiedi e nelle botteghe lì affacciate, ebbero nel giro di poco una risposta: “i à ripurtè a cà e Duce”.

Se fui testimone del tutto casuale dell’ultimo viaggio di Mussolini a Predappio – e peraltro testimone di un parzialissimo fotogramma – alla mia domanda: “Perché non andiamo anche noi al cimitero a vedere…?”, la risposta secca e laconica che mi fu data in casa fu “A noi non interessa”, non fu altrettanto fortuita la mia partecipazione all’ultimo viaggio a Predappio di Adone Zoli.

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Veduta esterna e interna della cripta della famiglia Mussolini.

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Veduta esterna e interna della cripta della famiglia Mussolini.

Era il 23 febbraio 1960, fra i tanti ad attendere l’arrivo del feretro al cimitero di San Cassiano, c’ero anch’io, una bambina di dieci anni tenuta per mano da mio padre che, contravvenendo a tutte le regole che io conoscevo, mi aveva fatto saltare un giorno di scuola. Ricordo che pensai che doveva essere per un motivo grave, ma lì per lì non lo capii. Non era un papa – e solo per la morte di un papa a quei tempi si “faceva festa da scuola” – era un “politico” ma non certo della “parte” della mia famiglia, era di Predappio, ma non l’avevo mai visto… Mio padre mi disse “Era un democratico, una brava persona”. Allora, a quel tempo, mi sembrò… poco.

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Annarita Proli (Predappio, 1950) è sociologa con specializzazione in Sociologia sanitaria. Ha lavorato nella Sanità pubblica presso la Direzione ASL Forlì – con funzioni di supporto tecnico alla progettazione, programmazione, controllo, organizzazione dei servizi sociali, sanitari e socio-sanitari, fino al pensionamento. Da allora esplora e si diverte, con tutto il disimpegno che le consente il nuovo status, soddisfacendo finalmente la sua vocazione di sperimentatrice-autodidatta. In modo felicemente irresponsabile e occasionale usa pennelli e tastiera, tra una passeggiata e una lettura. Vive a Cervia.

A PROPOSITO/ ZOLI VISTO DA VICINO

Si chiamava Adone, ma più che la bellezza i suoi punti forti erano l’arguzia e la simpatia

Il minuzioso ritratto dell’ex presidente del Consiglio Zoli è fra i cento delineati dal giornalista e scrittore di lungo corso Vittorio Emiliani, anch’egli predappiese, nel suo libro “Romagnoli & Romagnolacci”, Minerva Edizioni, Bologna, 2014.

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Adone Zoli (Cesena, 1887 – Roma, 1960) è stato più volte ministro e il sesto presidente del Consiglio dal 19 maggio 1957 al 1º luglio 1958. Nel 1943 aderì alla Resistenza partigiana: arrestato con due suoi figli: fu condannato a morte dai nazisti, ma l’intervento liberatore dei partigiani scongiurò tale ipotesi. Nel dopoguerra Zoli appoggiò e sostenne il progetto, ideato da Palmiro Togliatti, di amnistiare i reati commessi “per fine politico” dalla Marcia su Roma al 18 giugno 1946. Questa legge, approvata dal parlamento nel 1953, aumentò la popolarità del politico democristiano di Predappio.

Nato quasi per caso a Cesena, è stato da tutti considerato predappiese, essendo di Predappio Alta l’intera vasta famiglia dei cattolicissimi Zoli. Ovviamente al paese nessuno osò mai chiamarlo Adone: era per tutti Oddone. La bellezza non era il suo forte. L’arguzia e la simpatia sì. E anche il coraggio: si era meritato due croci di guerra nel primo conflitto mondiale. L’intera famiglia era stata estranea al fascismo per divenire antifascista alzando un muro nella casa avita sulla piazza di Predappio Alta per significare la totale estraneità rispetto al solo fascista di famiglia, Ulisse, detto anche Cavilòn per la sua capigliatura da bardo oppure Bucalòn per la sua logorrea (fra l’altro era stato un pessimo amministratore comunale avversatissimo dai socialisti).

Trasferiti stabilmente a Firenze come parecchie famiglie notabili romagnole, gli Zoli del ramo di Adone/Oddone, erano rimasti nel ventennio fra quelli senza orbace. Dopo l’8 settembre ’43 nel terribile anno prima della Liberazione della città del Giglio, il capofamiglia avvocato Zoli, iscritto al Partito Popolare dalla prima ora, era entrato nella Resistenza, nel CLN. Condannato a morte dai nazifascisti e con un figlio sequestrato dai tedeschi per la cui liberazione egli stesso si offrì in ostaggio. In seguito era stato un fervente degasperiano, ministro di Grazia e Giustizia nel 1951. Oscar Luigi Scalfaro l’aveva invitato a Novara a inaugurare il nuovo carcere e lui ci era andato dichiarando però che avrebbe volentieri voluto essere ministro di Grazia e non di Giustizia. La sua arguzia era proverbiale. Da avvocato un giorno aveva difeso un imputato che si chiamava Innocenti. «Come si può condannare uno che si chiama Innocenti?», chiese sorridendo alla giuria. Ma l’avvocato di parte avversa si inserì pronto: «Come si può chiamare Adone uno come lei avvocato». Risero tutti.

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Cripta della famiglia Zoli nel cimitero di San Cassiano in Pennino, Predappio

Ministro del Bilancio in vari governi, gli era toccato, nell’acme della crisi del centrismo ormai alla fine, di dover presiedere nel 1957 un monocolore dc che si sarebbe retto coi voti dei monarchici. Invece si inserirono ostinatamente i missini di Arturo Michelini, con l’intento finale di “legittimarsi” quale forza costituzionale. L’antifascista Zoli non poteva accettare quei voti e nel discorso in cui li respinse voltò ostentatamente le spalle, anzi le terga, ai banchi neofascisti. Era il 7 giugno 1957. Poi disse testualmente: «Nonostante l’apparente fiducia, io detrarrò dal calcolo dei voti favorevoli i voti del Movimento Sociale Italiano». Applaudito dal centro e contestato violentemente da destra. «Non può farlo!», insorse Augusto De Marsanich. «Rispetti il Parlamento», incalzò il capogruppo missino Giovanni Roberti. E Zoli pronto parafrasando Mussolini: «Desidero dichiarare che non considero quest’aula né sorda né grigia, né ho intenzione di farne un bivacco di manipoli». A questo punto scrosciarono gli applausi anche da sinistra.

Quando, più tardi, Adone Zoli ricordò che «il fascismo significa per i democratici la soppressione dei partiti, il partito unico, il tribunale speciale e tante altre cose», insorse il compaesano Pino Romualdi: «E noi ne siamo fierissimi». Il presidente del Consiglio sorrise malizioso, ma continuò a dare la schiena (anche quella bassa) all’estrema destra. Cercava di alleggerire il clima pesante addensatosi sul suo governo. Come sottosegretario alla presidenza del Consiglio si era preso il deputato dc Lorenzo Spallino. «Vedete come siamo messi male. Un comico che si rispetti ha sempre una “spalla”, mentre io ho soltanto uno Spallino…».

Da buon cristiano e da antifascista senza macchia aveva restituito alla famiglia Mussolini la salma dell’ex duce e quindi non aveva complessi di sorta. Il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, gli impose tuttavia di terminare con quella imbarazzante maggioranza il mandato fino alle elezioni del 7 giugno 1958. Un anno dopo. Adone visse con amarezza gli ultimi anni, fino al febbraio 1960. Aveva sperato di passare più tempo nel podere di Salta e nella casa di Predappio Alta chiacchierando e scherzando coi vecchi amici del paese, come aveva sempre fatto d’estate. Ma non gli venne concesso. Quando pubblicai da Einaudi “Il paese dei Mussolini”, dove raccontavo anche di lui e della famiglia Zoli, i suoi numerosi figli, soprattutto Giancarlo, ne vollero festeggiare a Roma l’uscita con una cena nella quale avevano radunato da Firenze, da Genova, dalla stessa capitale addirittura una quarantina di discendenti. Ancora pochi anni or sono un suo figlio, il medico Livio, fiorentino, è venuto a salutarmi affettuosamente nella sua città, alla Società dell’Affratellamento dove presentavo un mio libro su Il fabbro di Predappio, biografia di Alessandro Mussolini.

La tomba di Adone spicca per straordinaria sobrietà cristiana nel cimitero di San Cassiano in Pennino accanto alla cripta invece enfatica e cupa dei Mussolini.

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Vittorio Emiliani (Predappio, 1935) presiede il Comitato per la Bellezza. È vissuto in Romagna solo pochi anni ma c’è sempre tornato, da parente, da turista e da giornalista-scrittore. Soprattutto quale inviato d’inchiesta del “Giorno” e del “Messaggero” (che ha poi diretto a lungo). Molti i suoi libri sulla Romagna: “Questa Romagna 2” (Alfa), “Ravenna, una capitale” (Alfa), “I grandi libertari di Romagna” (Longo), “Il paese dei Mussolini” (Einaudi), “I tre Mussolini” (Baldini&Castoldi), “Il fabbro di Predappio” (Il Mulino), una parte rilevante di “Belpaese/Malpaese” (BUP). Fra i suoi libri più recenti, per Minerva (www.minervaedizioni.com)., ha curato “Il riscatto dell’Agro Romano” e “Di tanti palpiti”. In Romagnoli & Romagnolacci Emiliani disegna cento ritratti di protagonisti storici della Romagna dell’altro ieri, di ieri e di oggi.

INVITO ALLA VISITA

I consigli utili del mensile PleinAir per un intenso weekend a Predappio

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La Rocca delle Caminate è un castello situato su una collina, a 356 metri di altitudine, nel comune di Meldola, a quattro chilometri di distanza da Predappio. La sua fama deriva dal fatto di essere stata residenza estiva di Mussolini negli anni Trenta. È stata restaurata da poco.

Un’ingombrante eredità non impedisce a Predappio di vivere un nuovo fermento: spazi recuperati da edifici dismessi che diventano musei e centri culturali, e una tradizione enogastronomica che non si smentisce. Per anni condannata a una sorta di “damnatio memoriae”, come cittadina della Romagna che doveva pagare colpa di essere stata città natale di Mussolini, Predappio torna a vivere nella sua più genuina dimensione. Merito delle comunità locali che hanno intrapreso un percorso culturale per ben storicizzare l’immagine che l’ha caratterizzata. Per dirla con il sindaco predappiese Giorgio Frassineti, “una memoria che non può essere affrontata senza un po’ di ironia, e di cui non si può più avere paura”.

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Il sindaco di Predappio Giorgio Frassineti (a sinistra) con il sindaco di Saletto (Padova) Michele Sigolotto, durante il meeting dei borghi europei del gusto (1-4 dicembre 2016).

Monumenti ed edifici dell’architettura razionalista (Rocca delle Caminate, ex Aeronautica Caproni, Casa del Fascio) stanno venendo recuperati come musei che ospiteranno mostre sui regimi totalitari del XX secolo, dunque rinnovati luoghi di ricerca, di studio e di riflessione su tragedie che non si devono ripetere mai più…

Predappio si presenta ora come vero e proprio museo a cielo aperto: già in Piazza Sant’Antonio, immensa e curvilinea, si percepisce la retorica del regime fascista, con edifici che riassumono i cinque poteri: istituzionale (Palazzo Varano, sede del Podestà, scuola ove insegnava la madre di Benito e ora Municipio), politico (Casa del Fascio), religioso (Chiesa di S. Antonio), militare (Caserma) e sanitario (ex Ospedale).

È possibile seguire il percorso del Museo Urbano a piedi o in bicicletta e ammirare l’ex Mercato dei Viveri ovvero Piazza Garibaldi, costruita per esaltare la casa natale di Mussolini. Quest’ultima, tipica abitazione rurale romagnola, oggi è sede di mostre dedicate in particolare al primo Novecento.

In un servizio del novembre 2016 a firma di Roy Berardi, il mensile di viaggi PleinAir (a questo link l’edizione digitale) segnala come appuntamenti da non perdere l’ex Cà de Sanzves, ora Vecia Cantena dlà Prè, osteria con cucina ed enoteca all’interno delle antiche Cantine Zoli (nei due piani sotterranei è visitabile l’antico e suggestivo Museo del Vino). L’ostessa Barbara Lucchi, oltre alla specialità della cucina romagnola, vi farà assaggiare una sua invenzione, la piavina, singolare e saporitissimo connubio tra piadina e Sangiovese: è una sfoglia di colore quasi violaceo, friabile e fragrante, dal gusto appetitoso.

A noi di Giannella Channel piace segnalare che l’attiva Associazione Alteo Dolcini (prende nome da uno storico valorizzatore del patrimonio culturale romagnolo, nato a Forlimpopoli il 1923 e morto a Faenza nel 1999: creò l’Ente Tutela Vini di Romagna, le Ca’ de Bé, il Tribunato di Romagna, la Società del Passatore: più info qui: La Riviera in festa per la Svizzera che nacque in Romagna).

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La mostra “Ca’ de Sanzves: 40 anni!”, curata dall’Associazione Alteo Dolcini resterà in allestimento fino al 28 febbraio 2017 nei locali della Vecia Cantena d’la Prè-Ca’ de Sanzves a Predappio Alta (tutti i giorni dalle 11 alle 20, mercoledì escluso. Tel: 0543921095).

Tra le eccellenze del territorio spicca il Sangiovese che miete riconoscimenti nazionali e internazionali. Segno evidente della vocazione vitivinicola della zona è la nascita di Borgo Condè su una collina semi abbandonata del versante orientale della Valle del Rabbi, tra Fiumana e Predappio. La struttura comprende due ristoranti, un resort, una sala convegni, meeting ed eventi legati alla cultura del vino, e alcuni casolari recuperati come ville rurali in mezzo alle vigne. È accessibile ai camper che possono sostare nella parte bassa che ospita wine-bar, osteria e punto vendita. Il castello di Rocca delle Caminate, complesso di origine medievale, donato da comunità romagnole a Mussolini che la elesse a residenza estiva della propria famiglia, è stato finalmente recuperato e restituito al territorio. La rocca, che nel 1943 fu sede del primo consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana dopo la fuga di Mussolini dal Gran Sasso, è stata per 70 anni nell’oblio, ospita attualmente conferenze ed eventi scientifici ed è visitabile gratuitamente. Dai suoi 380 metri in quota si gode un incomparabile panorama sul territorio circostante.

Escursioni

Gli amanti delle due ruote o delle passeggiate possono cimentarsi in uno splendido percorso panoramico che da Predappio tocca S.Savino, Monte Bruchelle, il Sentiero degli Alpini e Rocca delle Caminate, oppure seguire i percorsi per Pieve Salutare o Rocca San Casciano. Inoltre, l’Osservatorio astronomico di Montemaggiore propone attività didattiche e divulgative di conoscenza del cielo e degli astri anche attraverso serate e mattinate di osservazioni (www.turismoforlivese.it).

Dove mangiare

Per le opportunità offerte dal territorio

Eventi

  • Mototagliatella, secondo weekend di maggio: escursione in moto sulle colline che si conclude, come nella migliore tradizione romagnola, davanti a un buon piatto di pasta fatta in casa.
  • La tre giorni del Sangiovese, primo weekend di settembre. Manifestazione dedicata al celebre rosso in cui enologia, gastronomia, cultura e socialità si incontrano (tel. 335 8440104, bertiste@gmail.com).
  • Festa dei Vignaiuoli, 20 novembre Predappio Alta: ospita un mercatino di prodotti tipici, stand gastronomici, degustazioni dei vini delle cantine del territorio e spettacolo pirotecnico (Proloco, tel. 0543 922787, info@predappioalta.org).
  • Presepio della Solfatara, 8 dicembre/fine gennaio Suggestiva rappresentazione presso le vecchie miniere di Predappio Alta dove si trovano ancora oggi le grotte della zolfatara, utilizzate in passato per l’estrazione dello zolfo (tel. 0543 921768, 338 9156320, informazioni.turistiche@comune.predappio.fc.it).

Per informazioni Iat (Piazza Sant’Antonio, tel. 0543.921768) o l’Ufficio Turismo Cultura, tel. 0543 921766, www.comune.predappio.fc.it, informazioni.turistiche@comune.predappio.fc.it

predappio-turismo-agriturismiA questo link è possibile verificare la disponibilità per case vacanza, ristoranti e attività a Predappio.


Fotogallery

Qui i palazzi pulsano di storia

da Predappio foto di Ferdinando Cimatti* per Giannella Channel

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Ex Casa del Fascio e dell’Ospitalità. Progetto di Arnaldo Fuzzi, 1934-1937.

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La casa natale di Mussolini, una tipica abitazione rurale romagnola, è sede di mostre e di un Centro studi sulla crisi delle democrazie nel primo Novecento.

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La caserma dei Carabinieri, edificata su progetto di Florestano di Fausto e costruita tra il 1926 e il 1942.

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L’ex stabilimento aeronautico Caproni, preziosa testimonianza di archeologia industriale.

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Palazzo Varano è l’attuale sede del comune di Predappio. Il palazzo comunale sorge in piazza Sant’Antonio, a lato dell’omonima chiesa. Fu sede del Podestà e della scuola ove insegnava Rosa Maltoni, madre di Benito Mussolini.

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L’ex mercato dei viveri, con la sua struttura a semicerchio colonnato, domina la piazza Garibaldi. Progettato da Florestano di Fausto, fu costruito tra il 1928 e il 1930.

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A tre chilometri a monte di Predappio, su uno sperone roccioso sorge la rocca di Predappio Alta. Già nel 909 apparteneva alla nobile famiglia forlivese dei Calboli, che la dotarono di strutture difensive.

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L’ex Cà de Sanzves, ora Vecia Cantena dlà Prè, osteria con cucina ed enoteca all’interno delle antiche Cantine Zoli. Nei due piani sotterranei è visitabile l’antico e suggestivo Museo del Vino.

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All’architettura di Predappio il fotoreporter Ferdinando Cimatti ha dedicato questo recente volume.

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Ferdinando Cimatti è un noto fotoreporter di Predappio che i lettori di Giannella Channel hanno conosciuto per le sue spettacolari immagini delle rocche e castelli della Romagna. Ha iniziato a fotografare nel 1980 da autodidatta, esprimendosi quasi esclusivamente con opere in bianco e nero, curandone personalmente anche lo sviluppo e la stampa. Dal 2005 ha iniziato a dedicarsi al nuovo sistema digitale dove interviene su ogni operazione, dallo scatto alla stampa, sia essa a colori o in bianco e nero. Insignito di molti riconoscimenti, è autore di volumi monografici sulle città romagnole. Per richiederli: ferdinandocimatti@gmail.com