Se volete incrociare, come è capitato a me, una trentina di scienziati premiati con il Nobel, segnatevi in agenda Lindau, località sulla riva tedesca del lago di Costanza. Qui nella prima settimana di luglio, fin dal 1951, una decina di Nobel (quest’anno tra loro c’è l’italiano Carlo Rubbia) incontrano la futura generazione di menti eccellenti, 600 laureati e ricercatori tra i migliori indicati dai rettori delle università di tutto il mondo. Ogni estate si materializza così un ponte tra scienziati di diverse generazioni, culture e discipline.
A innescare i Lindau Meetings of Nobel Laureate fu il “conte-giardiniere” Lennart Bernadotte, scomparso nel 2004 all’età biblica di 95 anni. L’iniziativa è stata poi portata avanti dalla figlia di Lennart, la contessa Bettina, oggi 45enne, che dieci anni fa mi onorò di un invito all’evento (ero il solo cronista italiano). Per l’occasione la intervistai per il settimanale del Corriere della Sera, Io Donna, e tenni un diario per la rivista De Vinis, interessata a uno spicchio particolare degli incontri di Lindau: le conseguenze del cambiamento climatico sull’agricoltura.
Ripubblico i brani centrali e ancora attuali di quei miei due testi. (s.g.)
Per un anno la contessa Bettina Bernadotte, madre di due figli, incarna il ruolo di “regina dei fiori” nell’isola di Mainau, gioiello naturalistico immerso nel lago di Costanza, il “Mare svevo” dei tedeschi. Poi, per una settimana, a luglio, diventa la “regina dei Nobel”: come presidente della Fondazione Bernadotte si trasferisce a Lindau, sulla riva tedesca del lago, e vara il Meeting con i premiati a Stoccolma (24 quest’anno, 2009) e anche 580 laureati da tutti i continenti per favorire il passaggio delle conoscenze alle giovani generazioni: info su lindau-nobel.org. Una mission iniziata dal padre ed ereditata da Bettina alla morte dei genitori (il “conte-giardiniere” Lennart, scomparso nel 2004 all’età biblica di 95 anni, e la madre Sonja, morta nel 2008 a 64 anni). Il cronista di Io Donna, unico italiano invitato a Lindau, ha incontrato la contessa nel corso del cinquantanovesimo Meeting.
Contessa Bettina, sulla sua carta d’identità che cosa è scritto alla voce professione?
“Imprenditrice nel settore turistico. Mi sono laureata in economia del turismo e poi mi sono fatta le ossa in aziende europee, prima di assumere, nel 2007, la guida dell’impresa di famiglia. La Mainau GmbH cura il patrimonio botanico di 45 ettari di isola che fioriscono in armonia con le stagioni, con l’obiettivo di incrementare utili e posti di lavoro sia grazie al turismo sia con corsi di aggiornamento professionale ed eventi. Occupiamo fino a 300 impiegati. Abbiamo più di un milione e 200 mila visitatori l’anno”.
Mettiamo da parte il turismo…
“Quando non mi dedico all’impresa, mi impegno in beneficenza e nello sguardo al futuro della nostra casa comune, la Terra: oggi più che mai come ci ricordano i premi Nobel, richiede capacità di riflessione e di analisi critica per mitigare i rischi”.
Rischi dei quali s’era accorto con anticipo suo padre, Lennart.
“Lui è stato un pioniere dell’ecologia. Già nel 1961 presentò la Carta Verde che promuove il rispetto della natura e uno sviluppo più responsabile. Aveva studiato scienze forestali e, per chi cura i boschi, il principio fondamentale è non bisogna prendere più di quanto non possa rigenerarsi in natura. È l’idea chiave della sostenibilità. Se lei la applica a ogni settore della vita quotidiana, avrà come risultato uno sviluppoo virtuoso. Sostenibilità e ricerca: questi erano i binari del pensiero di mio padre. E per questo cominciò a chiamare a Lindau i Nobel. La presenza contemporanea dei migliori ricercatori del pianeta permette lo scambio tra le generazioni delle idee più innovative”.
Lei frequenta da anni questo Meeting. Quali donne Nobel ha eletto a suo modello di vita?
“Una è Christine Nusslein-Volhard, tedesca, premiata per aver identificato geni implicati nello sviluppo embrionale. Da scienziata ci ammonisce che, in Europa, a quasi tutte le donne che vogliono arrivare al vertice della professione si chiede un sacrificio enorme: niente matrimonio, niente figli. L’altra la conoscete bene voi italiani: è Rita Levi Montalcini, della quale ammiro la capacità di trasmettere saggezza ai giovani”.
Se fosse nella giuria del Nobel, quale candidatura suggerirebbe?
“La regina Silvia di Svezia, che ha creato due fondazioni impegnate a migliorare le condizioni di vita dei bambini e delle donne maltrattate nel mondo. E che non si stanca di divulgare un concetto: non si abbandona chi resta indietro”.
Progetti per il futuro?
“Quest’anno la preoccupazione dei Nobel è stata indirizzata a come vincere la sfida dei cambiamenti climatici che cominciano a far sentire le loro conseguenze sull’uomo, sugli ecosistemi, sull’agricoltura. Energia e clima saranno i tempi del prossimo Meeting che, per festeggiare la sessantesima edizione, lascia Lindau con i Nobel e i giovani per varcare le Alpi. Destinazione Torino”.
Lei, economista, incontrerà un’altra economista, il governatore della Regione Piemonte Mercedes Bresso, che proprio al tema “Uniamo le energie” sta dedicando sforzi.
“La sensibilità femminile è più adatta a questo periodo che sta vedendo nascere con fatica la nuova era delineata dai Nobel. Un’era che sarà segnata da un cambiamento di cultura: dobbiamo riscoprire la sobrietà in tutti gli aspetti della vita, dall’economia ai consumi”.
A un giornalista che le chiedeva il segreto del suo lungo matrimonio con Federico Fellini, Giulietta Masina rispose: “La modestia dei desideri”.
“Questa gliela rubo. Mi auguro che in questa nuova era, battezzata Antropocene dal Nobel Paul Crutzen, prevalga l’Homo sapiens modestus”.
Già dieci anni fa 24 premi Nobel,
incontrati a Lindau, suonarono
l’allarme sui cambiamenti climatici
La recente campagna intrapresa dalla ragazzina svedese
Greta Thunberg aveva avuto nel Meeting degli scienziati
autorevoli (ma inascoltati) premonitori. Brani dal mio diario
testo di Salvatore Giannella / De Vinis**
… Tra i grandi temi affrontati sul palco della Hinselhalle di Lindau è molto interessante estrapolare e sintetizzare uno dei filoni di più stringente attualità, confermato dalla conferenza a Ginevra dell’Organizzazione meteorologica mondiale e dall’allarme lanciato a settembre ai leader mondiali dal Segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon (“Agite prima che sia troppo tardi, firmate l’accordo alla prossima conferenza di Copenhagen”): l’emergenza surriscaldamento, che è stata al centro degli interventi e delle preoccupazioni di alcuni dei grandi scienziati approdati a Lindau come Peter Agre, Paul J. Crutzen, Sherwood Rowland e Mario J. Molina.
Danni decuplicati
Un dato su tutti: negli ultimi 50 anni gli eventi disastrosi (alluvioni, inondazioni, uragani) si sono moltiplicati per dieci. Di questi sconvolgimenti si sono accorte anche le grandi compagnie di assicurazione: “La Terra ha la febbre. E le conseguenze possono essere sconvolgenti, come dimostrano le ultime calamità naturali che hanno trasformato il 2008 in uno degli anni più funesti mai registrati”. Sta scritto così nell’ultimo rapporto reso pubblico dal gruppo tedesco Munich Re, un colosso mondiale del ramo assicurativo, sui costi dei disastri naturali nel mondo. Tra gli incendi che devastano in continuazione la California e il ciclone tropicale Nargis che si è abbattuto in Birmania, tra il terremoto in Cina e gli uragani ad Haiti o le colate di fango che hanno sepolto la città di Taoshi nel nord della Cina, sono morte nell’ultimo anno oltre 220 mila persone, mentre i danni sono saliti al livello record di circa 200 miliardi di dollari.
L’agonia dei ghiacciai
E poi ci sono fenomeni drammatici e duraturi: la concentrazione atmosferica del più importante dei gas serra (la CO2) è aumentata del 30% negli ultimi 150 anni e ha toccato un valor mai raggiunto negli ultimi 700 mila anni di storia del pianeta. L’agonia di molti degli 800 ghiacciai alpin i (per citare un esempio, il ghiacciaio dei Forni, del gruppo Ortles-Cevedale tra Lombardia e Trentini, il più grande delle Alpi italiane, è arretrato di 2,6 chilometri dal 1864 a oggi, con un regresso medio annuale di 18 metri) e l’aumento delle aree desertificate in Italia meridionale e in Spagna. Mentre i cambiamenti climatici potrebbero far spostare le zone vinicole sempre più a nord. Uno di questi casi emblematici è la Champagne che forse in futuro troveremo in Oltremanica, in un giorno non lontano perché da tempo è arrivato il primo vino di ispirazione e tradizione champenoise “made in England” a opera di due coniugi americani trapiantati nel West Sussex, a sud di Londra, che (dopo aver piantato Pinot Noir, Meunier e Chardonnay in circa 14 ettari) hanno visto venire alla luce il primo vino spumante prodotto con il metodo classico.
Pioniere fu uno scienziato della NASA
Sono tutti segni del cambiamento del clima, segni avvertibili anche nelle regioni nelle regioni della nostra penisola: da vari decenni le temperature medie annuali in Lombardia, per esempio, tendono ad aumentare a un ritmo di crescita doppio rispetto a quello medio del pianeta: circa 1,5 – 2 gradi centigradi negli ultimi 150-200 anni. Le segnalazioni degli assicuratori si sommano a quelle degli scienziati, che stanno vedendo concretizzarsi molte delle previsioni avanzate già vent’anni fa: era il 23 giugno 1988 quando, davanti ai senatori americani, lo scienziato della NASA James Hansen denunciava l’effetto serra parlando per la prima volta di una minaccia reale per il pianeta.
Oggi la comunità scientifica è sostanzialmente unanime nella valutazione dell’origine e della gravità dell’effetto serra (a Lindau ho sentito la sola voce scettica del danese Bjorn Lomborg, che ritiene il surriscaldamento grave ma non la priorità del pianeta: “Nella mia classifica metto al primo posto la prevenzione dell’Aids, poi la lotta alla malnutrizione e alla malaria”). I cambiamenti climatici sono reali, provati, sono già in atto e per giunta in fase di accelerazione. Risultano generati in modo preponderante dalle emissioni di gas serra prodotte dal consumo di combustibili fossili, e le previsioni sui possibili effetti a breve appaiono decisamente preoccupanti. Eppure l’allarme non viene ancora percepito da larghi strati della popolazione. La spiegazione?
Le prove lontane dai nostri occhi
È semplice: le “prove” sono spesso lontane dai nostri occhi. Un esempio, per capirsi: ha impressionato, ma solo pochi e per poco, l’appello lanciato da Anote Tong, presidente di Kiribati, una nazione-isola di 105.400 abitanti costituita da 33 atolli del Pacifico, a est dell’Australia, che sta scomparendo a causa dell’innalzamento dell’oceano. Non va meglio in paradisi tropicali come le Maldive e le Seychelles, mentre a Tuvalu (sempre nel Pacifico) si coltivano patate nelle tinozze perché lo scarso suolo ora disponibile è diventato troppo salmastro. Le immagini da satellite che documentano lo scioglimento delle calotte polari e le altre grandi sciagure naturali hanno finito per radicare in Occidente la convinzione che il problema dei cambiamenti climatici non ci riguarderà direttamente, che le nostre vite continueranno come prima, che un po’ di tecnologie amiche saranno sufficienti per contrastare gli effetti dei mutamenti.
È sicuramente una grave sottovalutazione e se ne ha conferma in un volume fresco di stampa, Progetto Kyoto Lombardia (edito dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente con la Regione Lombardia). I risultati di anni di ricerche di autorevoli scienziati come Giulio De Leo, Stefano Caserini, Maurizio Maugeri, Gunther Seufert, Marzio Galeotti hanno mostrato i possibili impatti su questo territorio chiave dell’Italia: qui sono destinati ad aumentare la frequenza dei fenomeni estremi collegati a temperature e piogge, le emergenze sanitarie (soprattutto nella fascia più anziana della popolazione) per le ondate di calore, i danni all’agricoltura dovuti alla siccità, il rischio di frane e di alluvioni causate da precipitazioni più violente.
Qui (ma il discorso vale ovviamente anche per le altre regioni delle nostre Alpi) potrebbero verificarsi cambiamenti traumatici nel turismo alpino dovuti alla progressiva diminuzione delle precipitazioni nevose. E l’allarme vale anche per l’Italia meridionale: in generale, secondo quello che indicano i modelli dei ricercatori, molte terre del Sud Italia e del Mediterraneo meridionale potrebbero essere a rischio di forte inaridimento, se non di desertificazione nei tempi più lunghi. Insomma, sono prevedibili impatti che saranno tanto più severi quanto meno efficaci si dimostreranno gli interventi mitigatori. Agire, non rinviare più decisioni che sono inevitabili. Anche su questo la comunità scientifica non mostra dubbi. Gli scienziati dell’Ipcc (il Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima, istituito dall’ONU, 2.500 esperti, vincitori a pari merito del Nobel per la pace nel 2007 con Al Gore, passato da ex vicepresidente degli Stati Uniti a “coscienza pubblica”) hanno elaborato documenti molto forti come il Rapporto Bangkok: “I drastici, necessari tagli alle e missioni di gas sono economicamente e tecnicamente fattibili. Tagliare le emissioni significa diminuire il consumo dei combustibili fossili (carbone, petrolio, metano), aumentare l’efficienza e il risparmio energetico e aumentare il ricorso alle energie rinnovabili”. L’obiettivo dichiarato di questo nuovo corso basato su uno sviluppo sostenibile è, per l’Europa, in una formula matematica facile da ricordare: 20-20-20 entro il 2020. Vuol dire, in sostanza: produrre e consumare energia con il 20% di efficienza energetica in più; far dipendere il fabbisogno energetico per almeno il 20% da fonti rinnovabili (sole, vento, geotermico, biomasse, mini-idroelettrico); ridurre, infine, di un ulteriore 20% le e missioni di gas serra.
Un nuovo Piano Marshall
Siamo partiti da una cifra riguardante il portafoglio e torniamo ancora a puntare su questo decisivo argomento:
È quanto si legge in un documento delle Nazioni Unite fresco di stampa, Rapporto sulla situazione economica e sociale nel mondo. Promuovere lo sviluppo. Proteggere il pianeta. Le tecnologie che consentirebbero ai Paesi poveri di intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile già esistono (edifici a basso consumo energetico, nuovi ceppi di piante resistenti alla siccità, nuove energie), il loro costo è ancora alto e una tale trasformazione richiederebbe “un livello di assistenza e di solidarietà internazionale raramente raggiunto al di fuori dei periodi di guerra”. Secondo il rapporto dell’ONU, per orientare le spese di investimento verso la realizzazione di una crescita più pulita, un sostegno internazionale massiccio dovrà manifestarsi sotto forma di un programma di investimento mondiale. Tra i meccanismi ipotizzati per favorire tali investimenti, il rapporto parla per esempio di un Fondo globale per l’energia pulita, elemento fondamentale di una crescita sostenibile. “Il dato centrale del rapporto è questo: l’uno per cento del Pil (Prodotto interno lordo), circa 500 miliardi di dollari all’anno, pari al sostegno internazionale necessario ai Paesi in via di sviluppo”, per affrontare la sfida del clima e dello sviluppo, è la tesi di Richard Kozul-Wright, tra gli autori dello studio.
È necessario un nuovo corso, globale e verde. Il rapporto ricorda che i Paesi ricchi hanno contribuito per circa tre quarti all’aumento delle emissioni di CO2 nocive, mentre si prevede che saranno i Paesi più poveri a subirne il maggiore impatto. Il presidente degli Stati Uniti Barak Obama proprio sui temi delle energie e delle politiche ambientali punta per un New Deal americano. L’Unione Europea ha invece accettato, nel dicembre scorso, solo un accordo-compromesso che è ben lontano dall’essere un esempio per il mondo (“L’obiettivo del 20% suona bene a parole ma è vuoto nei fatti, perché ai Paesi europei è consentito di comprare ‘crediti’, il che significa che le emissioni europee saranno ridotte di sole 4 o 5% tra oggi e il 2020”, è l’opinione di Maria Grazia Midulla, responsabile del Programma Clima del WWF Italia. E l’Italia, che si era impegnata a ridurre del 6% le e missioni nell’atmosfera, in realtà le ha aumentate di oltre il 12% rispetto al 2000 E allora?
Una polizza assicurativa per la Terra
Antonio Ballarin Denti, docente di Fisica ambientale all’Università Cattolica di Brescia e coordinatore della Fondazione Lombardia per l’Ambiente, parla chiaro:
E se poi in Europa o in Italia dovesse mancare la volontà politica di questo Nuovo Corso, sappiamo che quella della politica è un’energia rinnovabile.
Il vino è stato definito “il canarino nella miniera di carbone dei cambiamenti climatici” (Los Angeles Times). Anche piccole variazioni climatiche hanno influenza diretta sulla produzione del vino, in particolare dei grandi vini di alta qualità che sono i più sensibili, come indica lo scenario disegnato da Giulio De Leo, professore ordinario di Ecologia presso il Dipartimento di Scienze ambientali nell’Università di Parma, responsabile di una delle linee di ricerca del Progetto Kyoto Lombardia sfociato nel libro della Fondazione Lombardia per l’Ambiente con la Regione Lombardia. Al di là degli impatti in agricoltura generati da fenomeni climatici estremi come le onde di calore, le alluvioni e il perdurare di periodi di siccità, un incremento anche lento e graduale della temperatura influenzerà la geografia del settore vinicolo nel centro-sud dell’Europa, alterando le condizioni della vite e di maturazione dell’uva al punto da richiedere cambiamenti strutturali delle produzioni… (Per ulteriori e utili dettagli sull’argomento, consiglio di procurarsi il volume presso la Fondazione Lombardia per l’Ambiente, a Seveso, Ndr).