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Gabriele D’Uva, il cardiologo italiano che nelle sue ricerche presso il Weizmann Institute of Science in Israele ha individuato il gene ERBB2 dimostratosi capace di rigenerare il cuore in topi colpiti da infarto e oggi, dopo l’invito lanciato dal nostro portale, chiamato al lavoro a Milano presso la MultiMedica per proseguire le sperimentazioni sul cuore, ha lanciato un appello dal suo profilo Facebook ai ricercatori italiani al lavoro all’estero citando con generosità Giannella Channel. D’Uva, di origine salentina e di formazione universitaria bolognese, scrive:

Cari amici e colleghi,

ho recentemente condiviso la mia esperienza di ricercatore all’estero e le mie impressioni sulle difficoltà di rientro in Italia in una lettera indirizzata al giornalista Salvatore Giannella (link). Come ho cercato di sottolineare, la mobilità è un valore fortemente positivo per i ricercatori, parte fondante della diffusione di conoscenze nel mondo globale della ricerca scientifica e del percorso di arricchimento scientifico dei ricercatori italiani. Il problema è che questo bagaglio raramente ha poi possibilità di tornare in Italia. Sono sicuro che i ricercatori italiani che sono attualmente oltre i confini nazionali hanno piena consapevolezza di quanto poco attrattivo sia attualmente il sistema scientifico italiano.

Per provare a internazionalizzare la ricerca italiana e per promuovere il rientro di ricercatori meritevoli abbiamo creato il gruppo ARIE – Associazione Ricercatori e scienziati Italiani all’Estero. Siamo già oltre mille e una buona comunicazione potrebbe ora aiutarci a farci sentire. A tal riguardo, Salvatore Giannella, attraverso il suo portale gratuito e volontario (davidet4.sg-host.com), ci ha offerto di dare voce alle nostre esperienze. Pertanto invito tutti i ricercatori italiani che stanno attualmente svolgendo o hanno svolto un periodo consistente all’estero di scrivere una breve lettera (circa 2500 caratteri) che descriva come il percorso all’estero vi abbia arricchito (inserimento in nuove frontiere di ricerca, apprendimento di nuove tecnologie, contatti internazionali, eccetera), se avete raggiunto importanti traguardi scientifici (pubblicazioni, brevetti, grant, ecc.), il vostro eventuale interesse a tornare in Italia e a quale condizioni, le vostre eventuali considerazioni sul sistema meritocratico nei centri di ricerca esteri in cui avete lavorato e il paragone con quello italiano, ecc.

Ai fini della crescita del gruppo, potreste a fine articolo accennare al gruppo Facebook ARIE (Associazione Ricercatori Italiani all’Estero) che stiamo costruendo insieme. Potete inviare la vostra lettera direttamente a Giannella (salvatoregiannella@yahoo.it) mettendomi in cc (duva.gabriele@gmail.com). Buona giornata a tutti

Gabriele D’Uva

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Gabriele D’Uva, 36 anni, laureato in Biotecnologie e dottorato in Biotecnologie, Farmacologia e Tossicologia presso l’Università di Bologna, per sei anni ha svolto le sue ricerche presso il Weizmann Institute of Science in Israele come coordinatore di un team internazionale. Oggi è approdato presso la milanese MultiMedica. «How can you mend a broken heart»? Come puoi riparare un cuore infranto? si chiedevano nel 1971 i famosi Bee Gees in un noto brano musicale (link).

A PROPOSITO/ TREMILA ALL’ANNO VANNO ALL’ESTERO

I numeri per capire

la fuga dei nostri cervelli

(e a quali condizioni

rientrerebbero nel Belpaese)

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Alessandro Rosina è professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, dove dirige inoltre il “Center for Applied Statistics in Business and Economics” (Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali).

Perché i giovani italiani se ne vanno sempre di più dal nostro paese e per quali motivi dovrebbero tornare? Sulla Repubblica degli stagisti il punto di vista di uno studioso che invita i giovani (ricercatori/scienziati e non solo) a riappropriarsi del loro futuro: Alessandro Rosina, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio). Ecco un elenco di dieci punti aperti alla discussione.

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“Non è un paese per giovani”, di Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina (Marsilio).

Cinque motivi per andarsene…

  1. Perché chi vive in Italia si trova sulle spalle un debito pubblico enorme lasciato dalle generazioni precedenti e usato per difendere il proprio benessere, non utilizzato per cambiamenti strutturali del paese.
  2. Perché chi vive in Italia fa più fatica a veder valorizzato il proprio capitale umano, le opportunità occupazionali sono più basse e si investe poco in ricerca e sviluppo.
  3. Perché chi vive in Italia si trova con un sistema di welfare inadeguato, che ha trasformato la flessibilità in precarietà e costretto i giovani a dover dipendere a lungo dalle risorse della famiglia di origine.
  4. Perché chi vive in Italia paga, con le sue tasse, le pensioni di chi oggi è anziano ma si troverà con un trattamento molto più ridotto quando andrà lui in pensione. Tutto questo grazie a una riforma previdenziale fortemente iniqua dal punto di vista generazionale.
  5. Perché chi rimane in Italia vive in un paese con ricambio generazionale bloccato, basato su cooptazione e nepotismo. Un paese guidato da una classe dirigente tanto longeva quanto poco lungimirante, non in grado di far crescere il paese e molto arroccata sulle proprie posizioni di potere.

… e cinque motivi per tornare

  1. Perché l’Italia rimane il proprio paese d’origine e non lo si può abbandonare al proprio destino. Tanto più che le potenzialità per tornare a crescere ed essere competitivi ci sono. Come fosse una Ferrari guidata da un settantenne: lui magari si diverte ma non ci può far vincere il Gran Premio.
  2. Perché la politica è in crisi e larga parte della classe dirigente italiana è screditata. Servono energie e intelligenze non compromesse con il vecchio per costruire le basi di un nuovo rinascimento.
  3. Perché chi ha avuto un’esperienza all’estero tende ad essere più dinamico e innovativo, può essere quindi il migliore alleato per un cambiamento virtuoso nel nostro paese.
  4. Perché proprio per il motivo che poco è cambiato sinora, molte opportunità di cambiamento e sperimentazione del nuovo potranno aprirsi nei prossimi anni. C’è un’Italia nuova tutta da reinventare.
  5. Perché non è necessario tornare per dare un proprio contributo attivo al rinnovo del proprio paese. In un mondo sempre più globalizzato e connesso in rete la presenza fisica dentro ai confini conta sempre meno. L’Italia è di chi se ne prende cura, ovunque si trovi, non di chi la “calpesta”.

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