In questi giorni sul mio comodino non ho potuto fare a meno di avere l’ultimo libro di Flavio Caroli, tanta era la voglia di tornare a casa per leggerlo perché confesso che distinguo i libri della mia biblioteca tra quelli che ti fanno correre a casa per leggerli e quelli che possono aspettare.

Il libro di Caroli ha per titolo “Con gli occhi dei maestri” ed è, dei suoi primi quaranta, il più bello e (forse azzardo) il più vero, tanta è la sensibile umanità che vi ho ritrovato.

È noto che Flavio Caroli, ravennate di nascita, milanese di adozione e universale nell’azione, non sia esattamente un “tipo semplice”. Giusto per spiegare, è lo storico dell’arte che attraverso lo studio della linea dell’introspezione ha saputo conferire carattere distintivo al pensiero dell’arte occidentale… non poca cosa. Se si ha poi la fortuna di conoscerlo personalmente, si comprende nell’immediato quanta inquietudine intellettuale celi il suo sorriso eloquente, quasi a dire inconsapevolmente “io do generosamente il mio sapere ma nell’istante in cui lo dono sono già alla ricerca di altro rispetto a quanto ti ho appena rivelato”.

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Flavio Caroli (Ravenna, 1945) con il premio Le grandi guglie della Grande Milano, riconoscimento del designer Giuseppe Armano assegnato dal Centro Studi Grande Milano a quelle personalità che si sono distinte per gli sforzi profusi nella valorizzazione del tessuto economico, sociale e culturale dell’area metropolitana. Caroli è ordinario di Storia dell’arte moderna presso il Politecnico di Milano. Ha dedicato i suoi studi alla linea introspettiva dell’arte occidentale con molte pubblicazioni. Tra le ultime arrivate in libreria: Leonardo. Studi di fisiognomica; Il Divisionismo; Anime e Volti. L’arte dalla Psicologia alla Psicoanalisi. Come scrittore ha incontrato per tre volte la narrativa con Mayerling, amore mio!; Trentasette. Il mistero del genio adolescente e Voyeur. I segreti di uno sguardo. Collabora alla trasmissione televisiva Che tempo che fa.
Nella foto si riconoscono l’ex sindaco di Milano Carlo Tognoli (a sinistra), la presidente del Centro Studi Grande Milano Daniela Mainini e, sulla destra, l’assessore alla Cultura di Milano, Filippo Del Corno.

Caroli individua sei grandi maestri, cinque dei quali conosciuti personalmente, e con vena da grande narratore ci racconta le occasioni di incontro con gli stessi, senza nulla togliere alla grandezza di chi ha saputo volgere lo sguardo non solo a un vastissimo patrimonio artistico del nostro Paese, ma altresì a un giovanissimo Caroli affamato di vita, studi e arte.

Non stupisce che l’autore, da maestro, abbia sentito il bisogno di guardare ai suoi mentori per far rivivere “le diverse storie dell’arte” raccontate attraverso i loro occhi. Caroli è ben consapevole del fatto che il termine Maestro è ben più del ruolo, è prima di ogni cosa un modo di essere e un comportamento, di colui che non si accaparra ma trasmette, di colui che stimola conoscenza e attiva meraviglia, di colui che gioisce di azzardate comparazioni artistiche anziché gongolarsi delle proprie raffinate stroncature. Già, perché, come ci avverte in premessa l’autore, “lo storico non è un signore che guarda il corteo dal suo balcone, lo storico è un uomo che come gli altri cammina dentro al corteo”

E così capita che camminando a fianco di Roberto Longhi, Alberto e Sandro Graziani, Francesco Arcangeli, Giuliano Briganti, Ernst Gombrich e Carlo Ludovico Ragghianti, Caroli ci emozioni con le sue intime e personali rivelazioni a volte appena accennate quasi a non disturbare tanta grandezza, perché di tanti occhi, a ben vedere, i tuoi di lettore rimangono i più stupiti di come non si possa essere meno di così quando ci si trovi ad avere in sorte cotanti maestri.

flavio-caroli* Daniela Mainini è avvocato, specialista in diritto penale industriale con particolare attenzione alla lotta alla contraffazione e alla tutela del Made in Italy. E’ presidente del Centro Studi Grande Milano associazione nata nel 1998 con lo scopo di promuovere e divulgare l’idea e i valori di una Milano più grande, autorevole e confrontabile con le diverse realtà metropolitane internazionali. Già presidente del Consiglio Nazionale Anticontraffazione, è consulente presso la Commissione Parlamentare di Inchiesta Lotta alla Contraffazione del Sistema Italia. Lavora a fianco di molti imprenditori intenti a esportare il valore del Made in Italy. Dalla sua esperienza sono nati i libri Fatto in Italia? No made in Italy (Ipsoa), guida rapida a disposizione degli imprenditori nel complicato mondo dell’indicazione di origine italiana e Virus Contraffazione“, libro-progetto educativo frutto di un progetto formativo e culturale del Centro Studi Anticontraffazione. (Contatto: presidenza@centrostudigrandemilano.org).

A PROPOSITO

Anatomia di istanti

vissuti con i giganti

Dalle 270 pagine del nuovo libro di Flavio Caroli “Con gli occhi dei maestri”, che conferma le sue doti di “grande scrittura e potere divulgativo” evocate da Gian Arturo Ferrari, vice presidente di Mondadori Libri, durante la presentazione-premiazione di giovedì 12 novembre 2015 a Palazzo Reale di Milano, illuminiamo le parole riguardanti l’attimo fuggente di quattro incontri con altrettanti maestri. (s.g.)

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Il nuovo libro di Flavio Caroli Con gli occhi dei maestri, Mondadori, 270 pagine, € 30.

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Roberto Longhi (Alba, Cuneo 1890 – Firenze, 1970)

ROBERTO LONGHI

Correva la primavera del 1970. Fu Giuliano Briganti a portarmi alla ristretta cerimonia in cui si celebravano i vent’anni di Paragone, nella sede romana dell’editore Sansoni… Gli allievi accostavano Longhi uno per volta, ricevendone sguardi e brevi cenni di assenso col capo. Quando toccò a un valente medievista centroitaliano, per frazioni di secondo rividi un famoso dipinto di Tiziano, col rampollo Farnese che parla all’orecchio del nonno pontefice. Ma non c’erano piaggeria e insidia, in quell’uomo che io sapevo timido e orgoglioso. C’erano infinite, capii con certezza sincere, ammirazione e riconoscenza. Quale arcana stregoneria veniva mai inscenata davanti ai miei occhi?
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Francesco Arcangeli (Bologna 1915-1974)

FRANCESCO ARCANGELI

In un giorno della primavera del 1967 ero seduto in istituto a Lettere, all’università di Bologna, e studiavo con moderata diligenza le lettere di Van Gogh, per una tesi di laurea che non appagava i miei desideri per la storia dell’arte che avevo sognato. Entrò una specie di Maigret che, passandomi alle spalle, buttò l’occhio sulle pagine del mio libro. ‘È il nuovo professore’, sussurrò un amico. E lui, il professore, poco dopo tornò e sedette sulla panca accanto a me. Dal borsone pieno di fotografie che brandiva come una cassaforte, estrasse un bianco e nero. ‘Chi è il pittore e quando è stato eseguito il quadro?’. Farfugliai che il pittore era facile, perché si leggeva una firma abbastanza riconoscibile: Pissarro. Poi cercai di pensare, con la testa affogata nella marmellata. Dissi: ‘Qui c’è un numero, 86, ma mi sembra tardi. Sembra ancora Courbet!’. E, rinfrancandomi, feci un lungo, verosimilmente velleitario ragionamento sulla pittura occidentale, ragionamento che si restringeva, a spirale, sulla particolarissima giornata di quel pittore francese. Arcangeli mi scrutava come persona degna di qualche interesse. Poi sorrise. E disse: ‘Un ragionamento ambizioso’. A quel punto io avevo già cambiato tesi di laurea e vita.
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Giuliano Briganti (Roma 1918-1992)

GIULIANO BRIGANTI

Vicolo del Borghetto è una piccola traversa di via del Babuino, a Roma, non lontano da piazza del Popolo. Lo percorsi, nel tardo autunno del 1968, con l’emozione per nulla sessantottesca di un giovane laureato che si avviava a incontrare un maestro e un mito del lavoro che aveva deciso di intraprendere. Entrai in un atrio apparentemente anonimo. Chiamai l’ascensore. Vi salii. Aspettavo di sbarcare su un pianerottolo. Trattenni il respiro, e mi svegliai in Paradiso. Intorno a me stormivano cipressi e querce secolari, l’ora di tramonto rimandava cieli color susina e brusii della città lontana milioni di chilometri: ero in un dipinto di Boklin, nel funebre vento di eternità che spira nei quadri di Bocklin. In realtà ero solo alle soglie della casa più bella del mondo, appena – invisibile – alle falde del Pincio. Alla decima parola, mentre le scarpe frusciavano sul vialetto di ghiaia che portava alla biblioteca, Briganti pretese che gli dessi del tu. Poi aprì la porta, e oggi, sulla nuvola da cui ci sta guardando, sa che, se la già insinuante voracità di libri che mi agitava allora si è tradotta in una perniciosa follia di accumulo, deve assumersi gran parte delle responsabilità.
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Ernst Gombrich (Vienna, 1909 – Londra, 2001)

ERNST GOMBRICH

Il primo incontro con Gombrich avvenne nel luglio del 1975, ad Hampstead. Il taxi mi aveva depositato nella stradina con dieci minuti di anticipo, e io camminavo su e giù per ingannare il tempo. Gombrich, che mi aveva visto dalla finestra, uscì in strada e disse: ‘Ma venga, venga…’. All’interno, sua moglie stava dando una lezione di pianoforte. Parlammo un po’ nello studio a pianterreno. Poi salimmo al primo piano, dove mi mostrò un testo sulla fisiognomica cinquecentesca, perché ormai aveva individuato i miei interessi. Una parte della mia testa rispondeva a tono, ma l’altra metà era stupefatta per ciò che vedeva sulle pareti. Nulla. Nulla, se non una fotografia di Cartier-Bresson. Abituato agli affastellamenti paramuseali delle case degli storici italiani (la mia inclusa), non credevo ai miei occhi. Feci un cenno al riguardo, e Gombrich sussurrò: ‘Ma sa, io sono uno storico dell’arte, non posso permettermi di comprare quadri…’.