Dare i soldi solo ai poveri e salvare il pianeta. E’ questa la missione ambiziosa dell’economista indiano Muhammad Yunus che dal 1976 apre le porte del microcredito alle persone indigenti e in particolare alle donne. Una svolta che lo portato a ricevere il Premio Nobel per la Pace 2006 grazie al gran lavoro della Grameen Bank che è riuscita a prestare miliardi di dollari a milioni di persone in difficoltà. Indigenti diventati piccoli imprenditori e votati ad imprese rispettose dell’ambiente. Abbiamo incontrato il professor Yunus a Bologna, dove opera la Fondazione Grameen Italia e dove il Comune gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

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Muhammad Yunus (Chittagong, Bangladesh, 1940) è un economista e banchiere, vincitore di un premio Nobel quale ideatore e realizzatore del microcredito moderno, ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati a imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Di lui parlano un libro (Si può fare! Come il business sociale può creare un capitalismo più umano) e un film (Il Banchiere dei Poveri).

Professor Yunus, lei è famoso in tutto il mondo come il “banchiere dei poveri”, ma i progetti a cui concede credito, oltre a una valenza etica, sono anche caratterizzati da una sostenibilità ambientale?

Certo. Non si può fare a meno anche di una valutazione ecologica. La mia teoria dei Tre Zero è basata sulla completa tutela e sostenibilità ambientale. Noi diciamo, chiediamo, vogliamo e perseguiamo Zero Carbone. La decarbonizzazione del pianeta. Bisogna progettare interventi con il minimo impatto sulla Terra, contenere al massimo le emissioni. Se non si percorre questa strada, se non si rivoluziona il sistema il mondo non sarà più sostenibile. Noi abbiamo creato l’economia del CO2, ora dobbiamo togliere il CO2 con “zero carbon emissions”.

Quali sono gli altri due zero che individua come obiettivi da raggiungere?

Per avere uno sviluppo veramente sostenibile è necessario raggiungere Zero Povertà. Essere umano e povertà è un ossimoro. Il mio obiettivo è aprire dei musei dedicati alla povertà per far vedere alle prossime generazioni questo fenomeno che deve essere combattuto per sradicare questa condizione non degna per le persone.

E il terzo tassello di questo progetto?

E’ necessario ridurre a Zero la Disoccupazione. A nessuno al mondo deve mancare un lavoro e il destino di un uomo non può essere deciso da un altro. Noi siamo creatori e creativi, dobbiamo rendere disoccupata la disoccupazione. Chiunque dovrebbe avere l’opportunità di prepararsi sia a creare lavoro che a cercarne. Creare disoccupazione significa non riconoscere valore alla persona, significa punirla paralizzandola.

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La forza della volontà. Il desiderio di farcela. La potenza di un sogno. C’è tutto in questa foto simbolo che mostra il piccolo Daniel Cabrera, 9 anni, filippino, orfano di padre, intento a studiare alla luce di un lampione perché a casa manca l’elettricità. La foto ha commosso mezzo mondo e ha procurato a Daniel una borsa di studio per poter proseguire la frequenza della scuola. (Foto di Joyce Gilos Torrefranca)

Molti imprenditori pensano ancora che l’impresa non sia compatibile con uno sviluppo sostenibile e rispettoso della natura e preferiscono l’intervento dello Stato. Lei al contrario punta sullo spirito imprenditoriale delle persone, vuole rafforzare il business anche se lo chiama social business…

Un business sociale perché credo che ci debba essere e c’è un ritorno sociale dall’investimento scollegato dal profitto. C’è chi mi dice che se vogliamo aiutare i poveri bisogna fare la carità. Ma la carità non torna indietro, non crea altro business. Abbiamo un motore che è l’impresa e dobbiamo usarlo per creare altre opportunità e per fare questo in modo sociale e sostenibile è necessario che il valore resti nell’azienda. Gli aiuti statali sono un ottimo strumento per dare aiuto, ma non sono sostenibili perché i soldi dei sussidi non tornano indietro. Al contrario i soldi del social business possono essere usati all’infinito perché creano imprese sostenibili che si autoalimentano. Gli esseri umani non nascono impiegati, ma imprenditori!

Gli istituti bancari convenzionali nei progetti di sviluppo puntano ai ricchi, voi con la Grameen Bank avete un approccio alternativo…

Pensiamo al sistema bancario: gli istituti tradizionali prestano, appunto, ai ricchi, noi solo ai poveri. Non è solo teoria. Io nel 1976 mi sono chiesto perché il credito non arrivava a tutti, ho studiato il fenomeno, ho sperimentato e sono riuscito nell’obiettivo. Il sistema ha funzionato non solo nella mia cittadina, ma in tutto il mondo. Anche negli Stati Uniti facciamo la stessa cosa. Abbiamo prestato a milioni di donne che hanno ripagato il credito concesso. Dobbiamo ridisegnare il sistema bancario. Noi non chiediamo garanzie finanziarie ma diamo fiducia.

Sostenete anche progetti di tutela ambientale?

Sì, riteniamo fondamentale collegare la difesa dell’ambiente con la creatività delle persone a cui concediamo fiducia e diamo credito. Fa parte del nostro progetto che punta alla sostenibilità complessiva del pianeta.

A proposito di banche e debiti, da settimane l’Unione Europea è in tensione per i problemi economici della Grecia. Lei cosa ne pensa?

L’Unione Europea è stato un buon esempio di cooperazione per tutto il mondo. Bisogna restare insieme, nessun paese deve uscire dal programma anche perché questa eventualità può creare dei problemi in tutto il mondo. Bisogna trovare il modo di lavorare insieme per evitare questa eventualità. L’Europa è una grande idea da difendere.

greenews-green-economy-occupazione* Fonte: Greenews.info è il web magazine dedicato all’informazione ambientale e al “green thinking” che nasce per dare visibilità ai progetti di sostenibilità delle imprese operanti in Italia, delle pubbliche amministrazioni, dei centri di ricerca e delle associazioni non-profit e per informare sulle politiche, le best practices, le normative ed i finanziamenti, i prodotti “eco” e “bio” e i nuovi trend mondiali.