A criticarle la Federazione delle Donne, nata per promuovere l’emancipazione femminile, che le accusa di surrogare l’appagamento sentimentale con i riconoscimenti professionali e intellettuali.
Qual è in Cina il più strenuo baluardo di una visione regressiva e repressiva della donna? Un sistema politico ancora totalmente, o quasi, di impronta maschile, si dirà. Oppure le infinite ramificazioni di un’attitudine, ancestrale e ben nota anche fuori dai confini della Repubblica Popolare, che relega le donne a seconda scelta rispetto a una progenie di sesso maschile. Vero, per quanto forse un po’ semplificatorio. Ma potrebbe esserci un complice nascosto del pregiudizio e dell’esclusione. Un complice insospettabile e perciò insidioso. Si tratta della Federazione delle Donne, storico organismo nato con l’esplicito compito di promuovere l’emancipazione femminile e nutrire la nuova Cina plasmata da Mao Zedong degli slanci rivoluzionari ed eroici ben sintetizzati – per dire – nell’epica lotta del “Distaccamento rosso delle donne”, un classico della drammaturgia propagandistica.
Un’americana dottoranda in sociologia all’università Tsinghua di Pechino, uno degli atenei più prestigiosi della Cina, lo ha dimostrato con un intervento pubblicato dal New York Times. Leta Hong Fincher ha trovato che la retorica delle cosiddette sheng nu, le donne rimaste nubili quando si sono inoltrate nell’età da marito, sia un micidiale condensato di sessismo paternalista e maschilista, di ferocia paradossale proprio perché argomentato con insistenza proprio dalla Federazione che le dovrebbe difendere.
La definizione di sheng nu è stata fatta sua dall’istituzione nel 2007, quando il termine era già in uso. E da quel momento ha criticato senza pietà le donne che, magari bruttine, si dedicano allo studio, vanno a caccia di dottorati o successi accademici e lavorativi, superando la soglia fatidica dei 27 anni. L’accusa è di surrogare con i riconoscimenti professionali e intellettuali un appagamento sentimentale non segnalato.
Le “zitelle”, vergogna vergogna, indulgono poi in una disinvoltura sessuale che mette a rischio l’armonia della società e contraddice la sua progressione verso un non perfettamente definito concetto di qualità. Imperdonabile colpa, grave spreco: donne intelligenti dovrebbero mettersi al servizio del bene comune, sposandosi e figliando (una volta sola, salvo le deroghe consentite dalla legge).
Studiando a oltranza, le ragazze si ritrovano come “perle ingiallite”, inseguendo modelli maschili irrealistici. E se per caso si sposano – continua l’autrice nella sua campionatura di stereotipi e raccomandazioni della Federazione – devono essere pronte a cambiare, tenere il passo dei tempi e sopportare con accondiscendenza i (probabili) tradimenti del coniuge.
È il prezzo da pagare per una coesione sociale che, confucianamente, ancora spesso prevale su altri valori, come la realizzazione di sé indipendentemente dal ruolo che ci si vede assegnare. La frequentazione della Cina urbana, però, insegna che la visione ultraconservatrice e maschilista della Federazione delle donne non trova certo eserciti di sostenitrici nelle schiere delle sheng nu di Pechino, Shanghai, Canton o Chengdu. Leta Hong Fincher mette così in risalto una delle faglie che percorrono la Cina di oggi, vogliosa di rassicurazioni, di facili certezze a fronte di un’evoluzione che si sta dimostrando non governabile come la leadership vorrebbe.
E nel caso portato alla luce dalla giovane sociologa americana si può scorgere un insegnamento che può valere ovunque, e non soltanto quando si discute di sessismo: gli avversari più infidi sono quelli che si celano dietro apparenze amiche. La Federazione delle Donne cinesi che pensa come una federazione di uomini, per esempio. Magari avversari così non sono un’esclusiva cinese e si nascondono anche da noi.
Marco Del Corona
* milanese, 43 anni (di cui quasi 23 trascorsi al Corriere della Sera) e una laurea in filosofia. Dall’ottobre 2008 scrive come corrispondente da Pechino,
da dove tiene anche il blog Le vie dell’Asia. Su Twitter lo si trova come @marcodelcorona.
Si definisce “un maschio di minoranza: una moglie e due figlie”