(Da Hong Kong)

Mentre è in svolgimento l’appuntamento di Hong Kong (foto in apertura), Art Basel annuncia in Asia un nuovo fronte progettuale. La notizia fa il paio con quella circolata pochi giorni fa che vedrebbe MCH Group, la società che detiene il marchio di Art Basel, alla ricerca di fiere regionali e di settore da acquisire per ampliare ulteriormente il proprio posizionamento nel mondo dell’arte e del lusso. Le cronache del giorno riguardano invece proprio la fiera nata in Svizzera, anche dislocata a Miami e in Asia, annunciando il brand Art Basel Cities e un ulteriore sviluppo nella mission. Il progetto, guidato da Patrick Foret, direttore delle iniziative Business, vedrebbe infatti il know-how di Art Basel a fianco delle città che vogliono sviluppare dei progetti culturali di risonanza internazionale. Proponendosi come un partner nella costruzione dei progetti offrirebbe un supporto in termini di organizzazione, di network e di comunicazione, mettendo a disposizione naturalmente il potente portafoglio di contatti e di relazioni a livello internazionale.
Non manca un board di eccellenze a sostegno del programma, composto da personaggi del calibro di David Adjaye, Füsun Eczacıbaşı, Richard Florida, Jacques Herzog, William Lim, Simon Mordant AM, Lars Nittve, Anne Pasternak, Dennis Scholl, Uli Sigg, Michael Tay, dalla “nostra” Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e dal direttore storico della fiera, oggi Fondazione Beyeler, Sam Keller.

art-basel-logoIl rapporto con le città. Il progetto ha avuto implicitamente un numero zero, guidato peraltro dallo stesso Foret, che ha lanciato la campagna di crowdfunding su Kickstarter che ha raccolto 800.000 dollari da 5000 sostenitori realizzando iniziative noprofit a Detroit, Kabul, Lagos, Città del Messico, Port-au-Prince, Rio de Janeiro, San José, Vancouver. Se l’operazione si configura come una ottima opportunità di aprire nuovi mercati a fianco delle istituzioni e sicuramente per queste ultime una occasione di proiezione a livello globale non mancano, tuttavia, a livello concettuale alcune criticità, soprattutto a livello identitario, in una progettualità che potrebbe creare nella produzione culturale un gusto dominante “Art Basel” a scapito delle piccole comunità e della sperimentazione locale. Se i budget cittadini sempre più risicati saranno impiegati in investimenti sicuramente e giustamente molto onerosi tali da assicurare un partner di questa caratura, chi salvaguarderà la giovane arte, il tessuto delle piccole istituzioni e associazioni, le progettualità spontanee che nascono dalle comunità locali?
Dubbi che i promotori si sentono di fugare fin dall’inizio di questa “svolta territoriale”, chiarendo prima ancora della domanda la propria metodologia di lavoro “a fianco delle città nella ricerca della propria identità culturale”. Una volta chiuso l’accordo ci sarà infatti un processo di consultazione condotto insieme alla società Global Creative Class Group fondato da Richard Florida, con gli attori della scena artistica locale, in modo da pianificare una proposta sartoriale, anche in relazione alle ambizioni di sviluppo economico e culturale del territorio. Alla partecipazione, inoltre si affianca il risvolto economico: “Oltre all’impatto culturale”, ha dichiarato Foret, “Art Basel ha il potenziale per influenzare positivamente le economie delle città partner. Un esempio è Miami, stimando un indotto di 500 milioni di dollari nella settimana in cui si svolge la fiera”. Quale sarà la prima città a raccogliere la sfida?