Se volete conoscere i segreti della tavola del commissario Montalbano, l’investigatore televisivo più amato dagli italiani, non chiedetelo al suo creatore, Andrea Camilleri, detentore del record delle copie di libri venduti (oltre 21 milioni di esemplari: e pensare che il primo libro, “Il corso delle cose”, 1978, lo pubblicò a proprie spese).

Per lo scrittore di origine siciliana (nato nel 1925 a Porto Empedocle, Agrigento, ma vive da mezzo secolo a Roma) affrontare questo tema è “come fare penitenza, aspra e dolorosa per chi, come me, a lungo ha gustato i piaceri della buona tavola e ora non può più per l’età e per ferreo diktat medico. Ho preferito continuare a patire nel ricordo di certi sapori, nella memoria di certi odori”.

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Il protagonista, Luca Zingaretti, ha dovuto adeguare la sua parlata al dialetto siciliano essendo di origine romana. L’attore era stato alunno dello stesso Camilleri al tempo della Accademia di arte drammatica.

E allora bisogna imboccare un’altra strada, quella che porta a una giovane architetto che per un anno ha indagato l’universo gastronomico di Camilleri. L’inchiesta si è svolta su una tavola imbandita ricostruita attraverso i gusti del più illustre personaggio creato da Camilleri: Salvo Montalbano, il commissario di Vigata reso popolarissimo dalla fiction a puntate su RaiUno e interpretato magistralmente da Luca Zingaretti, che incarna l’uomo mediterraneo schivo, solitario, con un forte senso morale, dal carattere spigoloso ma anche un goloso affetto da uno smisurato “pititto” (appetito), per dirlo con il suo colorito dialetto siciliano.

Ne viene fuori un’antologia gustosa come una tavolata ben imbandita, con rievocazioni di alimenti e pietanze tratte dai ricordi dell’infanzia di Camilleri in Sicilia. Il cibo diventa protagonista trasversale di tutte le storie, acquista una valenza affettiva molto forte, la passione che ha verso di esso il commissario è così prepotente da prevaricare anche la passione amorosa. Per lui, il cibo è l’oggetto del desiderio, più importante degli altri piaceri e deve essere conquistato a tutti i costi ma i segreti delle gustose pietanze sono custoditi da altri, la “cammarera” Adelina; Calogero, proprietario della trattoria omonima (“un diavolo in cucina, mi costringe a peccare”: da Il ladro delle merendine) e il suo successore, l’oste Enzo.

Gusti e ricette sono svelati in un libro edito nel 2009 “I segreti della tavola di Montalbano”, Il Leone Verde Edizioni, Torino, 10€, scritto dalla giovane Stefania Campo, architetto specializzata in fotografia e cinema digitale, che vive tra Ragusa e Milano dove affianca alla libera professione e all’insegnamento la passione per la sua terra. La Campo studia e promuove, con l’Associazione Sicilia movietour itinerari culturali ed enogastronomici ispirati alla letteratura e al cinema. Le gustose pagine del suo libro sono da leggere, certo, ma anche da assaggiare, da gustare in silenzio e solitudine, con animo lieto e mente sgombra, una per volta, come quando Montalbano si siede a degustare i suoi piatti preferiti. (E segnatevi anche questo indirizzo: scicliospitalitadiffusa.it, il portale che offre soluzioni per soggiornare a costi contenuti nelle suggestive località del barocco siciliano che fanno da cornice alla vita del commissario, in primis Scicli il cui centro storico è patrimonio mondiale nella lista Unesco).

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Stefania Campo, architetto, specializzata in fotografia e cinema digitale. Vive tra Ragusa e Milano dove affianca alla libera professione e all’insegnamento la passione per la sua terra. Studia e promuove con l’Associazione “Sicilia movietour” itinerari culturali ed enogastronomici ispirati alla letteratura e al cinema.

GIANNELLA. Architetto Campo, una curiosità pratica: le trattorie citate nei libri e nei film esistono davvero in Sicilia?

CAMPO. Alcune sì, altre sono inventate. Ma inventate non del tutto, perché per Camilleri nulla è veramente inventato. Lui dice di ispirarsi alla realtà, anche se storpia i nomi, tutti nomi di fantasia che alludono a località reali: Montelusa è Agrigento, un piccolo furto a Pirandello che l’autore dichiara apertamente. La Vigàta televisiva si snoda per le vie del centro di Scicli, dove il commissariato è il palazzo del municipio e l’ufficio del questore Bonetti-Alderighi è la stanza del sindaco. Fela è Gela, Fiacca è Sciacca, ecc. Camilleri in modo divertente ne ha modificato i nomi. Lui ha confessato:

Mi capita questa cosa, che io le storie non me le so inventare di sana pianta; ho bisogno di una spinta di verità.
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Un successo sullo schermo che dura da 15 anni. La RAI dal 1998 ha prodotto e trasmesso su Rai Uno i riadattamenti televisivi di gran parte dei racconti che vedono protagonista Montalbano. Lo stesso Camilleri è stato un celebre sceneggiatore televisivo (ha curato alcune serie del commissario Maigret e del tenente Sheridan), e non ha mai negato che i suoi romanzi avessero una struttura ottima per la trasposizione sul piccolo schermo. Ogni puntata della fiction riprende la trama delle opere, in alcuni casi unendo più racconti brevi; la regia è stata curata in tutta la serie da Alberto Sironi.

I cibi, invece, sono tutti reali.

Sì, io riporto 60 ricette, quelle che si ripetono in più occasioni nei suoi 19 romanzi. Riproducono i profumi, i sapori, l’atmosfera e i segreti della cucina della casa di campagna vicina a Porto Empedocle dove comandava nonna Elvira, la generalessa della cucina. Ogni squisitezza del ricettario di nonna Elvira ha la sua storia, anche i mitici arancini di Montalbano o i polipetti alla napoletana o gli involtini di tonno arrostito, arrivano da lì. Svelare i misteri dei piatti della cuoca-generalessa Elvira significa ritornare all’infanzia dello scrittore, quando lui era un “picciliddro” che aveva sì e no sette anni, e alla prima conoscenza della sua indimenticabile Sicilia.

Prendiamo gli arancini, Camilleri ha rievocato:

Mia nonna diceva che prepararli era lungariusu, ci voleva tanto tempo. Perché bisognava preparare la carne, tanto di maiale e tanto di vitello, spezzettandola col tagghiaturi, la mezzaluna. Si aggiungevano i piselli, un po’ di caciocavallo ragusano e qualche pezzettino di salame, si impastava tutto in un pugno di riso e si passava l’arancino nell’uovo, nella farina e nel pangrattato, per l’impanatura. Ma non si friggevano subito. No, bisognava aspettare una notte, lasciarli riposare in pace. E il giorno dopo, a tavola, si vedeva com’erano venuti. Perché il problema dell’arancino era il dosaggio, che non era mai lo stesso, e dunque ogni volta mia nonna passava un esame. “Comu vinniru stavota?”, domandava. “Un tanticchia asciutti. L’autra vota erano meglio”, rispondeva mio nonno. Un giorno li fece in un modo davvero sublime, e io stavo per dirglielo. Mio zio Massimo mi diede un cavuciu sotto la tavola. “Boniceddu”, mi sussurrò. Ma perché?, gli domandai. “Perché lei deve sempre superare se stessa: se tu le dai soddisfazione, è finita”. Ogni volta che rifaccio un piatto tipico di mia nonna assaporo il piacere di tornare indietro nel tempo. Ho provato anche a ripetere altre cose meravigliose della mia infanzia. Come prendere il pane caldo, andare dalla capra e mungere il latte direttamente sulla fetta. Non ci sono mai riuscito. La verità è che i sapori del passato sono irripetibili. Una volta, bevendo l’uovo appena fatto, ti accorgevi subito se la gallina aveva sconfinato nel campo di trigonella, la pianta conosciuta anche come fieno greco. Oggi… lasciamo stare.

Che rapporto ha Montalbano con il vino?

Per gustare il cibo della sua amata terra come dio comanda ha bisogno di accompagnarlo sempre con un bel bicchiere di vino. Quelli che di solito mangia erano piatti che chiamavano vino, e la chiamata non ristò senza risposta (da: Le ali della sfinge). Eppure Camilleri il discorso “vino” lo tocca sempre con moderazione, come a volersi dare una certa parsimonia non solo nel berlo ma anche nell’immaginazione di questa scena. In un racconto alla fine ci dice che quel bianco era “tradimentoso”.

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La bella cittadina barocca di Scicli, patrimonio dell’Unesco, scelta per ospitare il commissariato di Vigata per la fiction Rai su Montalbano.

Forse la spiegazione è in un particolare autobiografico da lui rivelato tempo fa a Repubblica: la sua ultima sbornia avvenne il giorno della strage di Portella della Ginestra: “Era il primo maggio 1947. Al mattino mi sbronzai. Poi mi dissero della strage di compagni, la prima strage politica, ordita per impedire al Pci di governare. Vomitai fiele per il resto del pomeriggio. Da allora non ho più toccato un goccio di vino”.

In realtà per il commissario Montalbano il vino è una bevanda normale che deve stare sulla tavola ed è fondamentale per completare un eccellente pasto. In ogni frammento gastronomico dei racconti il vino viene citato, soprattutto il vino rosso di paese che preparava il padre di Camilleri, il nero d’Avola, il Cerasuolo di Vittoria, il Marsala, il Passito di Pantelleria. E fa bere, ovviamente, vino siciliano, a chilometro zero, anche se per le altre bevande preferisce l’estero: il whisky o il caffé che fa arrivare appositamente da Portorico.

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Scicli. La Chiesa di San Bartolomeo.

La Sicilia è la terra del vino per antonomasia, i suoi vini hanno una gradazione piuttosto forte perché che il sole concentra molti zuccheri nell’uva che poi, trasformandosi in alcol, lo lasciano al vino. Non troviamo con facilità vini con gradazione al di sotto dei 13,5%. Di questo Camilleri ne è cosciente e cerca di non far esagerare il suo commissario, altrimenti potrebbe perdere la lucidità utile per le sue indagini. Al suo investigatore Camilleri fa bere poco, fa bere bene.

Di scelte da fare Montalbano ne avrebbe tante: ad esempio il Nero d’Avola rosso siciliano per eccellenza, o tra i bianchi l’Inzolia o il Grillo, il Catarratto, fino ad arrivare all’indimenticabile Passito di Pantelleria realizzato con le uve Moscato di Alessandria altrimenti dette Zibibbo. Per i piatti di pesce che Montalbano ama mangiare nella marinara Vigata, i vini bianchi di accompagnamento potrebbero proprio essere questi. Scrive Camilleri:

Partendo da Palermo verso Agrigento, ho percorso i territori siciliani dal mare alle pianure, lago e colline, incontrando nel mio viaggio coltivazioni di vigne variegate con profumi immaginari che mi hanno invaso l’olfatto aspettando impaziente le degustazioni.

Ne La gita a Tindari, quando il commissario mangia nella sua trattoria abituale, Camilleri si lascia scappare un’informazione: quando il ristoratore si avvicina per l’ordinazione scopriamo che Montalbano è solito bere un certo vino bianco. ‘Per lei commissario, la solita minerale e il solito Corvo bianco. E per lei, signorina?’. ‘Lo stesso’. (p. 87). Il Corvo Bianco è un prodotto tipico di Casteldaccia, in provincia di Palermo, ne esistono due tipi: uno di colore giallo paglierino dorato che ha un profumo intenso e un sapore secco e vellutato; l’altro di color bianco carta con un sapore più fresco.

In Sicilia, grazie alla fantasia letteraria di Camilleri, è nata una notevole iniziativa imprenditoriale che ha riscosso successo proprio per la bontà dei suoi vini.

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Montalbano / Luca Zingaretti, e Camilleri.

La trovata commerciale che dà un nuovo slancio al vino siciliano in Italia e all’estero, è dei fratelli Scordato, che presentano le loro bottiglie con il nome Vigata come marchio. Vigata è un nome che salta subito all’occhio ed è ormai celebre. Non è un caso che sul marchio sia stampata anche una rappresentazione dell’isola Ferdinandea, apparsa e scomparsa in un “vidiri e svidiri”, il 5 luglio 1831, al largo di Sciacca, “tra tuoni, fulmini, saette, dal mare ribollente”, e poi sommersa dai flutti solo 5 mesi dopo. È proprio lì, a metà tra realtà e fantasia, è possibile bere una bottiglia di Vigata, abbinata alle prelibatezze siciliane. Così si può sorseggiare l’Inzolia con i purpi alla carrettiera, il Nero d’Avola con la caponatina e il RossoSalvo con i famosi arancini di Montalbano. O bere un vino di compagnia come il Syrah che Montalbano sicuramente berrebbe con la sua compagna genovese Livia.

La passione di Montalbano per il cibo talvolta da spirituale si materializza e diventa carnale…

Ascolti questo brano:

E arrivarono i pirciati. Sciauravano di paradiso terrestre. Il baffuto si mise appuiato allo stipite della porta assistimandosi come per uno spettacolo. Montalbano decise di farsi trasire il sciauro fino in fondo ai polmoni. Mentre aspirava ingordamente, l’altro parlò. “La vuole una bottiglia di vino a portata di mano prima di principiare a mangiare?”. Il commissario fece ‘nzinga di sì con la testa, non aveva gana di parlare. Gli venne messo davanti un boccale, una litrata di vino rosso densissimo. Montalbano se ne inchìun bicchiere e si mise in bocca la prima forchettata. Assufficò, tossì, gli vennero le lagrime agli occhi. “Ci vada chiano chiano e leggero”, lo consigliò il cammareri proprietario. “Ma che c’è?”, spiò Montalbano ancora mezzo assufficato. “Oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d’agliu, dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina, aulive nivure, pummadoro, vasalicò, mezzo pipiruncinu piccanti, sali, caciu picurrnu e pipi niuna”, elencò il baffuto con una nota di sadismo nella voce. “Gesù” disse Montalbano. Intercalando le forchettate con sorsate di vino e gemiti ora di estrema agonia ora di insostenibile piacere “esiste un piatto estremo come il sesso estremo?”, gli venne di spiarsi a un certo punto, Montalbano ebbe macari il coraggio di mangiarsi col pane il condimento rimasto sul fondo del piatto, asciucandosi di tanto in tanto il sudore che gli spuntava in fronte. “Che vuole per secondo, signore?”. Il commissario capi che con quel «signore» il padrone gli stava rendendo l’onore delle armi. “Niente”. “E fa bene. Il danno dei pirciati ch’abhruscianu è che uno ripiglia i sapori il giorno appresso”.

(da: L’odore della notte).

Per Montalbano il cibo è quindi anche passione carnale, ma se è vero questo, per la logica fantastica dei sillogismi, è anche vero il contrario e cioè non solo un far l’amore con il cibo, ma farlo attraverso il cibo.

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Il gelato al caffé di Porto Empedocle.

Parliamo d’altro. Del gelato, per esempio.

A Porto Empedocle il gelato aveva il suo tempio nel Caffè Castiglione, che aveva un segreto per i pezzi duri. Meravigliosi. Il giorno che Mussolini passò da lì (fermandosi in tutto 15 minuti) gli offrirono proprio il gelato del Caffè Castiglione. Dopo un po’ di tempo telefonarono da Roma alla Capitaneria di porto avvertendo che stava ammarando un idrovolante per caricare un pozzo di gelato per il duce. Il gelato del Caffè Castiglione. Da quella volta, ogni sabato si ripeteva l’operazione. Sentiamo ancora Camilleri:

Così, quando Mussolini inaugurò la prima autostrada italiana, da Roma a Ostia, mio zio Riccardo che era antifascista disse a mio padre, fascistissimo: “Pippi’, lo sai picchì Mussolini fici ‘sta strata? Picchì si scantava ca i gelati c’arrivavunu squagliati”.

Carne o pesce?

Rigorosamente privilegia il pesce, abbinato al vino bianco, quando mangia in casa, servito dalla “cammarera” Adelina o dall’oste Calogero, proprietario della trattoria omonima a Vigata (“un diavolo in cucina, mi costringe a peccare”: da Il ladro delle merendine, Sellerio) o, quando chiude Calogero, dal successore Enzo. Se si avventura in trasferta, verso i piccolissimi paisi dell’interno, “dove i pesci non erano mai stati di casa”, allora Montalbano non ha esitazione: “Carne, carne”, da abbinare a vino rosso. Come quando va trovare la signora Fazio che, per la visita di Montalbano,

s’assuperò: la pasta ‘ncasciata fece leccare le dita, il brusciuluni (un rollè con dentro ovo sodo, salame e pecorino a pezzetti) si volatilizzò, e dire che sarebbe stato bastevole a una ventina di persone. Il commissario aveva portato una cassetta con 12 bottiglie di vino bono, quello che faceva suo padre. Finita la cena e finite macari le 12 bottiglie, dato ch’era una bellissima serata di principio maggio decisero di fare una lunga passiata sul molo, fino a sotto il faro, per alleggerire tanticchia il carrico che ognuno di loro portava a bordo.

(da “Un mese con Montalbano”, Mondadori)

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Punta Secca alias Marinella nel romanzo di Camilleri: lì si trova la casa di Montalbano.

Peccato che non sia stato organizzato un tour gastronomico per mettersi a tavola con Montalbano…

Il desiderio di mangiare alla Montalbano è diventata ormai una moda diffusa. In una delle città più raffinate d’Europa, Parigi, è possibile mangiare a Casa Vigata, un ristorante in rue Léon-Frot dove uno chef prepara menù con le pietanze citate nei libri di Camilleri. Per immergersi a pieno in questa esperienza sensoriale, però, bisogna arrivare in Sicilia in cerca delle splendide location, mossi dalla voglia di ritrovare la trattoria La Rusticana, cioè l’Osteria di Don Calogero, ritrovo di Salvo e Mimì, dove si può ordinare il menù dal titolo “A pranzo con Montalbano”, o il ristorante di Enzo; di provare i cannoli e i biscotti regina del Bar Albanese o il gelato duro del Caffè Castiglione e vivere gli stessi sconfinati piaceri del palato. Marinella è Punta Secca, una località balneare in provincia di Ragusa. È lì che Salvo vive, in quella bella casa con terrazza che dà direttamente sulla spiaggia e sul mare e che quando non è usata come set funziona da Bed & Breakfast. Anche la nostra associazione Sicilia Movietour ha già lavorato per incrementare questa forma di turismo culturale. Nel novembre scorso, al caffè letterario Malavoglia in piazzetta Speciale a Palermo, i romanzi di Camilleri hanno incontrato le lingue del mondo e la cucina sicula in un ciclo di aperitivi “Los livres of Camilleri for einen schiticchio” ovvero “Il rituale della tavola a manciata”. Il locale era stato diviso in quattro aree, dove i presenti hanno discusso in altrettante lingue. Le conversazioni si basavano sulla lettura di libri di avventure di Montalbano. Insegnanti madrelingua traducevano il testo dal siciliano in francese, tedesco, inglese e spagnolo. Contemporaneamente venivano serviti piatti della cucina sicula, come la bruschetta con i pomodori o la caponata di melanzane. Ripeteremo questa esperienza. Chi vuole si prenoti via mail all’indirizzo info@siciliamovietour.it.

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* Fonte: “De Vinis”, periodico dell’Associazione italiana sommeliers italiani, maggio-giugno 2009.

A PROPOSITO

Un menù con le ricette di Montalbano

Scrigni segreti di casa Montalbano sono il forno e il frigo, da cui si possono tirare fuori i tesori che l’affezionata cameriera Adelina gli ha preparato. Dal libro di Stefania Campo, abbiamo ricostruito un menù.

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Antipasto: Caponata di melanzane

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La caponata di melanzane.

Ingredienti:

  • 1 tazza di salsa di pomodoro
  • 200 gr. di olive bianche
  • 1 mazzetto di sedano
  • 50 gr. di capperi
  • 12 melanzane
  • 3 cucchiai di aceto
  • 3 cucchiai di zucchero
  • 100 gr. mandorle tostate

Tagliate le melanzane a dadi e friggetele dopo averle tenute per più di un’ora in acqua e sale. A parte fate rosolare in un tegame con poco olio le olive snocciolate, i capperi ed il sedano, che avrete tagliuzzato e già bollito in acqua per una decina di minuti per intenerirlo. Aggiungete la salsa di pomodoro e condite con l’aceto e lo zucchero. Versate nel tegame anche le melanzane e lasciatele insaporire per qualche minuto nel sugo a fuoco bassissimo, scuotendo di tanto in tanto il tegame per non farle attaccare la fondo. Passate la caponata nel piatto di portata e copritela con le mandorle tritate. Servite perfettamente fredda, anche il giorno dopo.

Primo piatto: Pasta ‘ncasciata

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La pasta ‘ncasciata.

Una delle pietanze più preziose, quella capace di procurare a Montalbano il massimo godimento è la famosa pasta ‘ncasciata di Adelina che Camilleri cita spesso in più racconti. La pasta ‘ncasciata è una variante della pasta al forno e rappresenta uno dei piatti forti della cameriera Adelina.

Ingredienti: (per 6 persone)

  • 600 gr. di magliette di maccheroncino
  • 200 gr. di tuma o caciocavallo fresco
  • 200 gr. di carne tritata
  • 50 gr. di mortadella o salame
  • 2 uova sode
  • 4 melanzane
  • 100 gr. di pecorino grattugiato
  • salsa di pomodoro
  • ½ bicchiere di vino bianco
  • basilico
  • olio, sale e pepe

Tagliate le melanzane a fette e friggetele dopo averle tenute per un’ora in acqua e sale. Soffriggete in tanto il tritato in un tegame, con olio abbondante, sfumate col vino e completate la cottura aggiungendo qualche cucchiaio di salsa di pomodoro. Lessate la pasta, scolatela al dente e condite in una zuppiera con la salsa di pomodoro. Prendete una teglia ben unta e spolverata di pangrattato e versatevi le magliette alternandole a strati con la carne tritata, le melanzane fritte, il formaggio grattugiato il basilico, le uova sode, la tuma e il salame tagliati a fette. Chiudete l’ultimo strato di pasta con melanzane, salsa e molto pecorino. Passate al forno caldo per circa 20 minuti. Il formaggio, sciogliendosi forma una leggera crosta dorata (da cui il nome ‘ncaciata, da em>cacio).

Secondo: Triglie fritte

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Triglie fritte.

Ingredienti: (per 4 persone)

  • 1 kg. di triglie
  • 2-3 limoni di media grandezza
  • ciuffetti di prezzemolo
  • farina
  • olio e sale

Pulite le triglie, sciacquate in acqua corrente, infarinatele leggermente e friggetele in abbondante olio caldo in una padella. Appena saranno dorate lasciatele sgocciolare su carta da cucina, salatele e servitele ancora calde in un piatto che decorerete con mezzi limoni e ciuffetti di prezzemolo.

Dolci: Mustaccioli di vino cotto

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I mustaccioli (o mostaccioli) di vino cotto.

Ingredienti:

  • 1 lt. di vino cotto
  • 150 gr. di mandorle
  • farina
  • cannella

Fate bollire il vino cotto e aggiungete a poco a poco la farina finché non si ottiene una pasta consistente. Quindi formate tanti listarelli, sistemateli in una teglia imburrata e infornateli per circa 15 minuti. Infine tagliate i mostazzoli, bagnateli nel vino cotto e passatele nello zucchero e nelle mandorle.

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