lavoro nella cultura confcultura

Roma. Il lato settentrionale dei Fori Imperiali

Dopo il Rapporto di Federculture, arriva anche il Report Cultura 2013, messo a punto da Federturismo e Confcultura, a lanciare il proprio monito per il futuro non solo dei Beni Culturali, ma anche dell’occupazione in Italia. La relazione, curata dal professor Neri dell’Università Cattolica di Milano prende in esame i dati relativi al settore, e lancia alcune proposte “fattibili” per il rilancio dei Beni Culturali italiani. Anche sulla base di quello che rappresenta Confcultura, dal 2001 si pone l’obiettivo di raggiungere forme di collaborazione fra le istituzioni pubbliche e il settore privato specializzato, rappresentando le esigenze e le proposte delle “imprese della cultura” nei confronti delle principali istituzioni politiche ed amministrative, incluse le Soprintendenze, le Direzioni Regionali, il Ministero per i Beni e le Attività culturali, il Parlamento,il Governo e le forze sociali che operano nello stesso ambito dell’Associazione.

L’obiettivo italiano? Colmare il divario con i Paesi stranieri, che sotto certi punti di vista vantano un patrimonio minore ma riescono a impiegare molta più forza lavoro nel settore. Un esempio? Se in Italia gli addetti alla cultura, nelle mansioni più disparate, sono 470mila circa, Inghilterra e Germania impiegano qualcosa come 800mila e un milione di persone.

Dov’è la valorizzazione dei 47 siti Unesco presenti sul territorio del Belpaese? Nel rapporto si parla di una “bellezza senza sguardo” anche in riferimento agli oltre 5mila siti, tra monumenti, musei e aree archeologiche, che non hanno “voce”, anche perché il 90 per cento del PIL della cultura italiana si raccoglie con 40, tra musei e poli culturali statali. Ma cosa porterebbe l’ampliamento di questa galassia di cultura? Certo, sarebbe impossibile pensare che un piccolo sito archeologico sardo o Toscano possa raccogliere quanto l’area archeologica romana, «ma una più efficace gestione di questi asset, potrebbe far salire a 70 miliardi il loro contributo al Pil (visto che oggi siamo fermi a 36, contro i 78 del Regno Unito e gli 81 della Francia), generando un milione di posti di lavoro aggiuntivi».

Le basi, talvolta minime, che secondo Confcultura servirebbero per implementare e ricavare molto di più dalla cultura? Eccole. Per iniziare sarebbe necessario migliorare i siti Internet dei poli culturali e realizzare molti più eventi ad hoc. Sui servizi, invece «ampliare tutta la gamma dei servizi aggiuntivi. In particolare migliorando e ripensando l’offerta dei bookshop interni ai musei, offrendo ovunque il servizio di audio-guide e puntando su servizi di ristorazione che facciano leva sul nostro patrimonio enogastronomico».

Una nuova ricetta, o forse sempre la stessa. Che continuiamo a dimenticarci di cucinare?