Lanciato nel maggio 2009, Presseurop chiude oggi, 20 dicembre 2013, per mancanza di finanziamenti. A nulla sono valsi gli appelli, incluso quello di Giannella Channel (link) in favore del rinnovo dei finanziamenti. È la fine di un’esperienza giornalistica a portata di cittadino, commenta la stampa europea. È un doloroso segnale per tutti quelli, e io sono tra loro, i quali credono che più Europa di qualità sia la conseguenza di più informazione di qualità. (s.gian.)
In occasione del lancio di Presseurop, nel 2009, “fu proprio l’allora commissario responsabile, Margot Wallström, a descrivere Presseurop come ‘espressione della nostra volontà di facilitare, incoraggiare e sostenere la creazione di un forum pubblico europeo per la comunicazione, la discussione e il dibattito’”, ricorda Lettera 43. Oggi, osserva il sito di informazione italiano, nonostante gli attestati di stima e i riconoscimenti professionali, a pochi mesi dalle elezioni europee del maggio 2014, momento in cui i cittadini sono chiamati a conoscere, votare e decidere per il futuro delle istituzioni, Bruxelles ha preferito ridurre l’informazione.
“Una finestra sulla vita degli europei si chiude”, osserva La Croix. “Una finestra aperta da Presseurop”, ricorda il quotidiano francese, che denuncia una perdita per la conoscenza reciproca degli abitanti dei 28, a sei mesi dalle elezioni europee annunciate come una possibile affermazione degli euroscettici.
“Per quattro anni l’Europa ha avuto un interessante e indipendente media transnazionale”, osserva VillaMedia. Secondo il sito olandese Presseurop sembrava essere un modo eccellente per instaurare un dialogo tra l’Ue e i suoi cittadini. […] Invece di lasciargli il tempo di maturare, questo prezioso progetto è stato eliminato.
“Quando ho aggiunto Presseurop ai miei preferiti, non ne conoscevo né l’utilità né il prestigio né, tanto meno, le ripercussioni”, racconta il blogger europeo Nacho Segurado.
Lo tenevo semplicemente come fonte perché mi sembrava una pubblicazione preziosa, l’embrione di quel grande media paneuropeo che manca a molti di noi. Se l’Europa vuole diventare una nazione – con tutte le implicazioni che questo comporta – è di importanza vitale che abbia la sua stampa.
Presseurop “ha fatto credere che il sogno europeo sia concreto”, scrive Mircea Vasilescu. Il direttore del settimanale Dilema Veche, in un editoriale su Adevărul:
Dando la possibilità a tutti i lettori di commentare, ognuno nella propria lingua, importanti temi europei, Presseurop ha compiuto un grande passo in avanti verso la creazione di uno spazio pubblico europeo. Quello che da tanti anni la Commissione europea vuole, ma che non riesce a realizzare. […] Il mondo di certo non finirà con la scomparsa di Presseurop. Ma decidere di chiudere questo sito è un brutto segnale per il futuro europeo. […] Senza Presseurop gli ideali della costruzione europea diventeranno sempre di più vuota retorica.
Dopo quattro anni e mezzo di attività e diversi mesi di incertezza sulla sorte del nostro sito, “la scomparsa di Presseurop dimostra l’isolamento di cui soffrono gli affari europei sui media”, commenta il blog Décrypter la communication européenne:
Tra i media europei, concentrati sulla complicata macchina di Bruxelles e ridotti a un pubblico di esperti specializzati, e i media nazionali lontani dal cuore del potere europeo e che affidano al loro corrispondente il minimo indispensabile di informazione, Presseurop era fuori dagli schemi, esplorava un terreno sconosciuto e per questo dava fastidio. […] Presseurop, una sintesi la cui scomparsa attesta la morte di una certa idea di mezzo di informazione sull’Europa e per gli europei.
Chiude Presseurop: senza informazione non c’è Europa
di José Ignacio Torreblanca
Se provassimo a farlo, ci renderemmo conto che nel 2009 la parola crisi non ci incuteva paura. L’Unione europea, come ben sappiamo, è stata costruita a colpi di crisi. Una dopo l’altra queste crisi hanno fatto vacillare le fondamenta, hanno dimostrato che lo status quo non è sostenibile, hanno messo in evidenza l’esigenza di cambiare politica e l’obsolescenza delle istituzioni. Le crisi hanno creato lo spazio necessario alla nascita di visioni per il futuro e all’ascesa di dirigenti che ne saranno responsabili.
La crisi non soltanto ci avrebbe unito, pensavano molti, ma avrebbe anche costituito un’occasione per una maggiore integrazione dell’Unione. Perché questa volta, invece, abbiamo la sensazione che nulla sia andato come ci si aspettava? Che cosa non ha funzionato?
Il punto cruciale è la mancanza di flessibilità che l’Ue ha evidenziato nel momento in cui doveva assorbire lo choc provocato dalla crisi finanziaria. Prima di ogni altra cosa, l’Ue è “un’unione di norme”. Tuttavia, come abbiamo già potuto constatare, queste norme – soprattutto per ciò che concerne la gestione dell’euro – erano inesistenti, imperfette o palesemente errate, e di conseguenza impedivano agli Stati membri o alle rispettive istituzioni di adottare quelle misure (come la ricapitalizzazione diretta delle banche o il riscatto del proprio debito) atte a permettere all’Ue di uscire dalla crisi.
Gli Stati Uniti, che come ben sappiamo sono all’origine della crisi finanziaria, hanno adottato dall’ottobre 2008 l’iniziativa denominata Tarp (Troubled Asset Relief Program, Programma di salvataggio degli asset a rischio), mirante a ricapitalizzare le banche. In seguito a ciò, il presidente Barack Obama ha potuto lanciare un piano di salvataggio economico a tutto campo. In entrambi i casi le divergenze ideologiche e di partito sono state accantonate a vantaggio di misure efficaci per lottare contro la crisi. La situazione non avrebbe potuto essere più diversa su questo versante dell’Atlantico.
Sei anni dopo il fallimento di Lehman Brothers, gli europei stanno ancora discutendo del loro programma Tarp (l’unione bancaria), e lo fanno con continui rinvii, con meccanismi a tal punto complessi e interminabili che si finisce col dubitare della loro stessa utilità. In tutto questo tempo i provvedimenti e le misure di salvataggio sono stati grotteschi o insufficienti. I risultati, del resto, sono sotto gli occhi di tutti: gli Stati Uniti stanno per uscire dalla crisi, mentre l’Europa è ancora impantanata.
Di conseguenza, l’Ue – che aveva impiegato ben dieci anni a redigere il trattato di Lisbona – si ritrova adesso alle prese con un problema, e sta scoprendo che niente di quello che è scritto nel trattato serve ad affrontare concretamente una crisi che ha assunto in qualche caso una dimensione esistenziale. Riformare le regole dell’euro per adattarle alla nuova realtà si è rivelato un compito spaventosamente lento, e ciò a maggior ragione nell’ambito di una frattura politica e istituzionale nella quale nessuno è in grado di dare grandi direttive.
A fronte di questa crisi, l’Ue ha annunciato innovazioni istituzionali e politiche, ma si è anche lanciata in improvvisazioni pericolose. In alcuni momenti cruciali, come il primo rifinanziamento della Grecia o l’intervento a favore di Cipro, è sembrato quasi che l’Ue buttasse a occhi chiusi soldi al vento.
Poi, in fine dei conti, l’Ue è riuscita a prendere, sempre sull’orlo dell’abisso, le decisioni giuste e necessarie per salvare l’euro e approntare le fondamenta di un futuro stabile. Usciamo dalla crisi poco alla volta, è vero, ma lo facciamo lentamente, e malgrado le divisioni: quando una struttura è flessibile, essa è in grado di assorbire qualsiasi choc. Ma quando è rigida si spezza, e la frattura più evidente e più urgente da risolvere oggi è quella che separa le élite dai cittadini.
Ma questa non è l’unica crepa, perché la crisi allontana anche il nord dal sud, il centro dalla periferia, in modo molto pericoloso per l’avvenire dell’Ue, e mette in luce divisioni difficili da ricomporre tra i membri della zona euro e tutti gli altri. Queste crepe, queste spinte centrifughe sono quelle che l’Unione deve adoperarsi a riparare e ricomporre. Sono quelle dalle quali dipende la sua sopravvivenza. In mancanza di una soluzione, l’euro sarà salvo, sì, ma il progetto europeo ne uscirà gravemente compromesso.
Le prossime elezioni europee mettono in piena luce tutto il paradosso di questa situazione: proprio quando per portare a compimento un’unione economica e monetaria si rende indispensabile una grande legittimità politica, i cittadini prendono le distanze da un progetto che suscita sempre più diffidenza. Se l’Unione saprà riconciliare democrazia ed efficienza, avrà un brillante avvenire. Questa frattura, però, non si ricomporrà soltanto “migliorando la comunicazione”, ma anche “ascoltando di più” i cittadini stessi, senza dimenticare che è indispensabile assumersi responsabilità nei loro confronti.
L’integrazione europea si è politicizzata in modo irreversibile negli Stati membri, ma non a Bruxelles. Di conseguenza è necessario irrobustire la politica e non la tecnocrazia, in modo tale che i cittadini a Bruxelles ritrovino la capacità di prendere parte alla politica, ciò che non possono più fare nei rispettivi Paesi. L’unione delle norme non è un problema, ma un’unione delle politiche è imprescindibile.
Chi ha paura della politica? Senza un’opinione pubblica informata, l’Europa non può esistere. In questi ultimi anni Presseurop ci ha permesso di uscire dalle nostre ristrette mentalità nazionali per costruire uno spazio pubblico europeo comune. Grazie Presseurop. E a presto, speriamo.
Condividiamo la visione espressa in questo intervento scritto per Presseurop e tradotto da Anna Bissanti. E ci associamo al ringraziamento per quanto fatto finora e alla speranza che presto Presseurop possa riprendere il suo lavoro al servizio di un’Europa bene informata. (s. gian.)