In contrasto con la neve e le poche ore di luce durante le giornate di inizio anno, una delle prime cose che ho notato a Oslo, dove sono atterrata il 6 gennaio 2012 per trascorrere un semestre da exchange-student presso la Høgskolen i Oslo og Akershus, è stata un’atmosfera di “felicità” tra le persone. Sorridevano senza un motivo particolare, non si lamentavano mai, non sembravano mai nervose, irritate o affaticate. Una serenità tale appariva curiosa ai miei occhi, forse perché sono un’italiana della provincia di Milano, dove nervosismo, fretta, irritabilità, intolleranza e stanchezza sono di casa. È vero, i norvegesi non esternano le proprie sensazioni quanto l’eloquente ed espressivo popolo italiano. Ma questa strana “felicità” sui volti degli abitanti di Oslo doveva certamente essere motivata.
Una società da record. La mia semplice impressione non contraddice il primo posto che vanta la Norvegia nella classifica mondiale della cosiddetta “Felicità Interna Lorda” (Gross National Happiness): ideato negli anni ’70, l’indice FIL valuta il livello di benessere di un Paese da un punto di vista umano e socio-psicologico, oltre che economico.
Stiamo parlando della società con l’Indice di Sviluppo Umano più alto del mondo e un livello straordinario di qualità della vita: uno Stato neonato e ricco, con un PIL pro-capite tra i più elevati, fuori da un’Unione Europea in piena crisi economica, con una popolazione di appena 5 milioni di abitanti su un territorio vasto e dotato di risorse. Una nazione che il partito laburista – primo del paese fin dal 1927 – ha portato a una notevole espansione economica, accompagnata da un’alta tassazione e da una distribuzione della ricchezza molto più equa di quella dello Stato italiano. Il tutto viene garantito dalla più alta percentuale di occupati in Europa, che vantano del più alto costo del lavoro e di una delle più corte giornate lavorative del continente, e da un alto tasso di immigrazione – perfettamente integrata tra la popolazione – che contribuisce positivamente allo sviluppo della società.
Oslo agli occhi di una straniera. Tutto ciò appare perfettamente evidente a una studentessa italiana che osserva la vita della città di Oslo. Generale civiltà ed educazione dei cittadini. Una popolazione giovanissima derivata dall’alto tasso di natalità. Interi quartieri di attività commerciali di immigrati. Prezzi ovviamente molto alti, proporzionati al potere di acquisto degli abitanti. Niente eccessi quali lusso, sfarzo, o povertà diffusa. Ampio uso della tecnologia personale. Un sistema di trasporti invidiabile: mezzi pubblici frequenti, puntuali e confortevoli, che permettono di non utilizzare mai l’automobile; linee di autobus funzionanti ventiquattro ore al giorno, accompagnate dall’assoluta sicurezza delle strade della capitale norvegese: anche in piena notte, mai un disturbo, mai un pericolo.
Inutile aggiungere quanto l’efficienza dei mezzi pubblici si ripercuota anche sulla qualità dell’aria che si respira: sarà un caso che in cinque mesi, nonostante il clima “non proprio tiepido”, non abbia mai avuto nemmeno un banale raffreddore? O che non abbia mai sentito quella necessità di lavarsi le mani in continuazione che si prova girando nel Milanese?
Università, efficienza e gratuità. Per quanto riguarda il sistema universitario, inizio sottolineandone la gratuità: gli studenti della Høgskolen i Oslo og Akershus, “frequentando un’università statale”, non pagano le tasse di istruzione, ma solo una somma volta a coprire le spese extra (equivalente a 178 euro all’anno: consideriamola in proporzione agli stipendi medi delle loro famiglie). Inoltre dispongono di sovvenzioni da parte del governo, che permettono al giovane universitario di vivere per conto proprio con una discreta indipendenza economica.
L’università statale italiana, per nulla gratuita, manca di fondi, organizzazione, servizi, agilità nella burocrazia, efficienza delle strutture e disponibilità da parte dei docenti, offrendo allo studente un’istruzione nozionistica e teorica, lasciandolo impreparato dal punto di vista pratico e professionale.
A Oslo mi hanno accolto ambienti confortevoli con ogni servizio, un funzionante apparato burocratico, aule computer aperte agli studenti ventiquattro ore al giorno, professori sempre reperibili e disponibili. Ho scoperto lavori di gruppo, ricerche, relazioni scritte, lezioni di esperti sul campo, esami basati sul solo lavoro pratico dello studente. L’università statale in Norvegia offre il massimo che lo studente possa desiderare. Non è un caso che non ci siano atenei privati: non avrebbero ragione d’esistere.
L’inglese, lingua estranea agli italiani. Perché negli atenei italiani troviamo quasi esclusivamente studenti Erasmus spagnoli? Forse perché sono gli unici che possono imparare in breve tempo una lingua complessa come l’italiano. Un ragazzo in Erasmus in Italia deve necessariamente parlare la nostra lingua, non solo in quanto l’unica usata dalla maggior parte dei corsi universitari, ma anche perché il Bel Paese non ha ancora sviluppato una conoscenza tale dell’inglese da permettere al turista o allo studente straniero di comunicare senza problemi.
Durante il mio periodo a Oslo non ho potuto imparare quasi alcunché della lingua norvegese. Tuttavia garantisco di non aver mai avuto alcuna difficoltà di comunicazione, grazie ai corsi universitari tenuti in lingua inglese, il costante uso dell’inglese per comunicare con gli altri compagni Erasmus, e all’ennesimo primato che vanta la Norvegia, il più alto livello di conoscenza dell’inglese nel mondo non madrelingua: un livello sorprendente tra tutti i cittadini di ogni età, sesso, posizione sociale e lavorativa. Inutile aggiungere quanto tutto ciò abbia fatto crescere esponenzialmente la mia padronanza della lingua.
Italiani, prendiamo atto di quanto bassa sia la nostra conoscenza dell’inglese rispetto al resto d’Europa. L’Erasmus è un’occasione d’oro per rendersene conto e migliorarlo giorno dopo giorno.
L’Unione Europea salvi l’Erasmus. La bellezza del mio viaggio è stata determinata tanto dalla vita in un Paese straordinario qual è la Norvegia, quanto dall’esperienza Erasmus in sé, che consiglio a ogni studente che abbia voglia di arricchirsi e migliorarsi attraverso molte circostanze. La conoscenza, poi amicizia, di centinaia di persone da Paesi stranieri. L’apertura mentale che deriva dall’avvicinamento a culture diverse. L’apprendimento o approfondimento di una lingua che non è la propria. L’occasione di vita in un Paese nuovo. Il fascino dell’indipendenza nella vita di tutti i giorni. L’esperienza scolastica in un sistema differente dal proprio. La comunicazione, la solidarietà e l’unione tra ragazzi provenienti da tutto il mondo, ma di stessa età e condizione. “Last but not least”, lo scontato divertimento che ne deriva.
Concludo con un po’ di nostalgia, perché l’esperienza di Oslo è stata la più bella della mia vita, e una speranza per tutti i ventenni che stanno progettando di vivere questa bellissima avventura. Auguro loro che un’Unione Europea con mancanza di fondi possa comprendere l’importanza di salvare un progetto come l’Erasmus, esperienza straordinaria che può segnare la vita di ogni giovane studente.