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Fu un Renzo Piano felice per sé ma preoccupato per l’Italia, l’uomo che mi venne incontro nel suo laboratorio solare in cima a una collina, tra Genova e Arenzano. Aveva appena ricevuto dall’America la copia del settimanale Time che gli dedicava un complimento speciale: “Un po’ alla volta quest’uomo sta cambiando il volto dell’America. Quando gli storici del futuro guarderanno all’architettura americana nel primo decennio del XXI secolo, parleranno dell’Era di Piano”. E io l’avevo cercato per un’intervista apparsa poi su Oggi del 26 novembre 2008, dalla quale riprendo i principali brani.

Costo? Un giorno di guerra. A innescare le lodi verso Piano è la rinnovata California Academy of Sciences di San Francisco, inaugurata il 27 settembre col volo di 30 mila farfalle, un edificio che emana leggerezza e trasparenza, con un bosco in fioritura sul tetto e all’interno 20 milioni di specie animali e vegetali.
Una creazione ecocompatibile, che combina centro di ricerca, museo di storia
naturale, acquario e planetario, ma che soprattutto cresce e vive, meritando l’etichetta platino della Leed Green Building, il più rigoroso sistema di certificazione ambientale degli edifici americani. “È costato 370 milioni di dollari (290 milioni di euro, ndr), una cifra che può apparire esorbitante ma equivale al costo di un giorno di guerra in Iraq”, sostiene.

La California Academy of Sciences di San Francisco ha una storia antica, gloriosa e curiosa. Nacque nel 1850 in forma di veliero: si chiamava "Academy" e d'estate navigava verso le isole Galapagos per raccogliere specie rare; d'inverno attraccava in porto per trasformarsi in una esposizione galleggiante. L' affascinante tetto "verde" voluto da Renzo Piano sull'edificio è una continuazione del parco del Golden Gate, un terreno ondulato su cui cresce una fitta vegetazione che restituisce al parco la sua identità primitiva. Ricostruisce la flora della California com'era oltre duecento anni fa, prima della conquista del West.

La California Academy of Sciences di San Francisco ha una storia antica, gloriosa e curiosa.
Nacque nel 1850 in forma di veliero: si chiamava “Academy” e d’estate navigava verso le isole Galapagos per raccogliere specie rare; d’inverno attraccava in porto per trasformarsi in una esposizione galleggiante. L’affascinante tetto “verde” voluto da Renzo Piano sull’edificio è una continuazione del parco del Golden Gate, un terreno ondulato su cui cresce una fitta vegetazione che restituisce al parco la sua identità primitiva. Ricostruisce la flora della California com’era oltre duecento anni fa, prima della conquista del West.

High Museum of Art Expansion, Atlanta (Georgia)

High Museum of Art Expansion, Atlanta (Georgia)

Approdato la prima volta negli States nel 1986 (un museo a Houston, nel Texas), questo genovese “formato export”, classe 1937, da sempre cittadino del mondo grazie ai suoi uffici sparsi tra Berlino, Parigi e New York, dalla fine degli anni Novanta ha intensificato la sua attività in America. Tra i suoi progetti sedi di giornali (il New York Times Building), ma anche l’estensione della Morgan Library, sempre a New York, e il nuovo campus della Columbia University. Un “Piano verde”, a giudicare dalle sue scelte. “Per la California Academy ce l’abbiamo messa tutta per costruire un complesso vicino all’obiettivo ideale di zero emissioni di gas serra. Ogni particolare è frutto di sforzi immensi per risparmiare energia. Questo tempio delle scienze naturali deve documentare il tema dominante di questo inizio millennio: la Terra è fragile, il mondo è in pericolo. Una realtà che sfida l’architettura. E anche la politica, compresa quella italiana”. Se sul tavolo ci sono ancora le carte della sua ultima creatura, è l’Italia che si affaccia alla sua mente.

The Art Institute of Chicago – The Modern Wing

The Art Institute of Chicago – The Modern Wing

Il tetto “respira”. “A San Francisco ho portato l’Italia che mi piace, l’Italia delle buone tradizioni”, racconta. “Per esempio, il tetto che respira e dialoga con la natura circostante, su cui sono piantate un milione e mezzo di pianticelle scelte perché le più resistenti alla siccità, l’ho ripreso da usi antichi delle nostre campagne. La massa di terra con uno strato di vegetazione sopra i tetti, di notte accumula umidità e diventa un isolante termico quando arrivano il sole e il calore del giorno. E dalla parsimonia di Genova ho ripreso l’imperativo del riciclaggio: le strutture in acciaio usano metallo riciclato al 95 per cento. L’isolamento termico è costruito con i cascami di lanugine che sono gli scarti dei blue jeans”.
E l’aria condizionata è stata abolita: si usano i capricci del clima di San Francisco, dalle nebbie estive ai venti dell’oceano, per un condizionamento naturale che entra dalle finestre.
Come a Punta Nave, il laboratorio genovese che usa la ventilazione naturale.

Porto Antico, Genova

Porto Antico, Genova

Burocrazia disastrosa. Quant’è distante l’Italia vista dalla Baia… “Lavorare in Italia? È la sfida più ardua. Da noi si scoraggia la creatività. Colpa di una burocrazia disastrosa.
In Francia, in Germania, in Giappone, la pubblica amministrazione funziona: ti puoi fidare, è rapida. C’è più attenzione ai temi urbanistici. Dovremmo fare nostre molte pratiche diffuse all’estero. Per esempio i concorsi per ogni opera pubblica. A ciascun lavoro, da San Francisco a Lione, a Berlino, noi siamo arrivati vincendo un concorso. Anche in Italia si fa spesso ricorso a questo sistema di attribuzione degli incarichi di progettazione, ma quasi sempre in modo incerto, con scarsa convinzione. E questo favorisce le clientele. Da noi, poi, non è ancora diffusa la classificazione energetica degli edifici. Solo in Trentino Alto Adige è stato introdotto CasaClima, sistema di certificazione per migliorare l’efficienza energetica degli edifici”
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The New York Times Tower

The New York Times Tower

“Prendiamo poi le periferie urbane, tema che mi ha occupato per anni. A Londra hanno creato un quartiere periferico, BedZed, a zero impiego di idrocarburi, per ridurre l’ inquinamento (A questo quartiere è dedicato un capitolo del mio libro Voglia di cambiare, Chiarelettere, 2008 – clicca per sfogliarne un estratto: ndr). L’ex sindaco Ken Livingstone, quando lavorai alla nuova Bridge Tower, mi disse: “Non voglio auto”. E sa quanti posti di parcheggio abbiamo lì? Solo 42. Lì sul Tamigi funziona anche il meccanismo della “Public Inquiry”, una consultazione che aiuta il progettista. Almeno ha aiutato me, abituato ai dibattiti. Lì, dato il forte impatto che aveva la mia opera, lo stesso Blair, allora premier, aveva incaricato un giudice di ascoltare gli abitanti del quartiere prima di realizzarla. Il giudice mi ha segnalato le obiezioni, alcune delle quali fondate; così ho apportato ritocchi al progetto iniziale. Da noi o non c’è dibattito o si sviluppa un dibattito estenuante”. “Per tornare alle periferie e all’Italia”, continua Piano, “faccio un esempio. Ho lavorato sul progetto di Ponte Lambro, periferia est di Milano, insieme con il mio amico Ermanno Olmi, che l’ ha filmato.
In periferie come quelle, dove in molti invocano a torto il piccone demolitore, vive un’umanità che merita attenzione. Il nostro progetto dava risposte importanti, ma purtroppo né la giunta Albertini né la giunta Moratti hanno mostrato interesse, né sensibilità.
Comunque ciò che mi preoccupa di più è il brutto diffuso, l’opposto del bello diffuso che per secoli ha caratterizzato le nostre città: se vai in giro per Siena non ti colpisce il singolo edificio, quanto questa bellezza discreta e sparsa. Invece negli ultimi anni ci stiamo abituando al brutto”
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Morgan Library, New York

Morgan Library, New York

Le fonti rinnovabili. La collaborazione con l’amico premio Nobel Carlo Rubbia è al centro delle attenzioni energetiche nei nuovi progetti di Piano. “L’Italia che sogno è un’Italia più attenta a risparmiare energia e a usare fonti rinnovabili. Invece vedo che i politici, dopo anni di disinteresse, vanno nella direzione opposta: scoraggiare le energie dolci e inseguire un improbabile ritorno al nucleare. Pensiamo agli straordinari passi avanti della Germania: ha il 55 per cento dell’energia solare prodotta al mondo e il 13 per cento della produzione nazionale ottenuta da fonti rinnovabili, con un prezzo competitivo, dando lavoro a 250 mila dipendenti e creando un giro d’ affari di 4 miliardi di euro l’ anno, 10 volte più del 1998. E pensare che hanno solo 1.600 ore di insolazione media annua, contro le nostre 3.800”.
L’incontro si chiude con una raccomandazione ai giovani architetti e agli italiani creativi. “Ai primi dico: la Terra è fragile, siate più leggeri, usate al meglio le tecnologie avanzate e dialogate con la natura, reinventate rubando al passato. E abbiate il coraggio di dire no, di rifiutare i progetti che non tengono conto dell’interesse pubblico: io rinuncio ogni anno a due, tre progetti. A tutti gli altri suggerisco: esaltiamo le risorse esistenti. E per salvare le nostre città, impariamo da quanto hanno sperimentato, per anni, altri Paesi europei, cerchiamo il meglio che c’è altrove. Imparare per adattare alle nostre necessità ciò che altri hanno applicato. La cultura umanistica italiana è anche cultura critica, che ci consente di interpretare. Ma prima, con modestia, andiamo a guardare”. (s. gian.)

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Il flusso delle parole memorabili

Noi italiani siamo come dei nani sulle spalle di un gigante, tutti.

E il gigante è la cultura, una cultura antica che ci ha regalato una

straordinaria, invisibile capacità di cogliere la complessità delle cose.

Articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza assieme, e questo è

un capitale enorme. E per questa italianità c’è sempre posto a tavola

per tutto il resto del mondo

da PensieriParole