la sede storica del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano.

La sede storica del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano.

Nello stesso giorno in cui Rcs Mediagroup annuncia il drammatico taglio di 800 lavoratori tra giornalisti, grafici editoriali, poligrafici e personale amministrativo e la vendita o chiusura di 10 periodici (tra i quali il mio amato mensile L’Europeo) e il trasferimento del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport da via Solferino (con la cancellazione di oltre un secolo di storia), leggo una notizia controtendenza in arrivo dagli Stati Uniti. Lì, informa il Sole 24 Ore, il New York Times ha triplicato gli utili. Per quel quotidiano il 2012 ha rappresentato un anno di svolta: per la prima volta nella storia del gruppo i ricavi dalla circolazione e dagli abbonamenti online hanno superato quelli della pubblicità. Risultati annuali spinti da un buon quarto trimestre, che si è chiuso con un utile netto quasi triplicato, grazie soprattutto alla vendita di About.com e alla quota di Indeed.com.

In particolare i profitti sono stati pari a 176,9 milioni di dollari, 164 dei quali provenienti dalle cessioni. Inoltre, negli ultimi tre mesi dell’anno gli abbonamenti online sono saliti del 13,1%, consentendo al 2012 di chiudere a quota 668.000. La raccolta pubblicitaria è scesa dell’8,3% a 265 milioni di dollari. Mentre le vendite del quotidiano sono salite dell’8,6% a 241 milioni di dollari.

Un monito di Einstein e l’intervista a Giuseppe Vita (Springer e anche Rcs). In questo scenario inserirei un monito di Albert Einstein, a suo tempo alle prese con la Grande depressione partita nel 1929, e l’intervista a un personaggio chiave dell’editoria europea: Giuseppe Vita, classe 1935, numero uno del gruppo tedesco Springer che, dalla primavera 2012, è entrato nel consiglio d’amministrazione di Rcs Mediagroup.

Einstein nel libro “Il mondo come lo vedo io”, 1934:

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

Veniamo ai giorni nostri: Giuseppe Vita a Gea Scancarello, del quotidiano online Lettera 43.it, ha spiegato il 18 ottobre scorso (nello stesso giorno in cui veniva annunciato che anche il newsmagazine americano Newsweek passava al digitale, ultima edizione il 31 dicembre 2012) che gli editori tedeschi non puntano più sui giornali, ma sull’online a pagamento. Rileggiamo quell’intervista a Vita che, alla luce delle ultime decisioni in Rcs Mediagroup, assume un’illuminante attualità. Rileggiamola. (s.g.)

Giuseppe Vita (Favara, 1935)

Giuseppe Vita (Favara, 1935)

Lo scenario offre poco ottimismo: nonostante le ristrutturazioni da lacrime e sangue del biennio 2009-2010, l’editoria cartacea italiana brancola nel buio. Nell’attesa di ritrovare l’interruttore, il settore perde e taglia, lettori e personale. La crisi è generalizzata: crollano le copie, cala la pubblicità, aumentano i debiti.

Le speranze di riscossa si concentrano su internet: gli annunci sul web nel 2012 sono in crescita del 16% (dati Nielsen), a fronte di un tracollo del comparto del 9,7% rispetto all’anno precedente. I margini, dunque, ci sono. A mancare, però, sono le conferme sui nuovi modelli di business.

SPRINGER: LA RETE REDDITIZIA. Un suggerimento può arrivare – tanto per cambiare – dalla Germania. Qui Axel Springer, il gruppo fondato nel 1946 ad Amburgo dall’omonimo giornalista, che edita colossi come i quotidiani Die Welt, Bild e Handelsblatt, è riuscito a convertirsi al nuovo e a renderlo economicamente redditizio.

Nonostante l’eredità importante del settore cartaceo – Bild, con le sue 3,5 milioni di copie quotidiane, è il giornale più diffuso d’Europa – il peso della Rete nei ricavi del gruppo è passato dal 4% del 2004 al 33,9% del luglio 2012, con l’obiettivo di diventare il 50% entro il 2015.

Stando al bilancio, il traguardo è alla portata: nei primi sei mesi del 2012, su 1 miliardo e 620 milioni di ricavi (in crescita del 6,2% rispetto al 2011), 542,1 milioni di euro sono arrivati dalla pubblicità digitale, in crescita del 27,4%.

VITA, LEZIONE DI BUSINESS. A supervisionare il modello-Axel Springer è un italiano. Giuseppe Vita, classe 1935, ha percorso una lunga carriera di dirigente d’azienda che lo ha portato ai vertici prima del gruppo farmaceutico Shering, quindi di Deutsche Bank e, infine, nella primavera 2012, anche alla testa di Unicredit. Da qui, è entrato nel consiglio di Rcs-Rizzoli Corriere della Sera.

Dal 2002, infine, il manager – siciliano d’origine ma cresciuto professionalmente in Germania – è presidente della casa editrice tedesca, e ha assistito alla sua ascesa nel firmamento del web e alla trasformazione profonda della sua strategia. Un processo che oggi vale 63,7 milioni di utenti unici con decine di siti in 34 Paesi al mondo.

«Sembra facile a dirsi, ma lo è meno nella pratica», ha raccontato Vita a Lettera43.it in un lungo colloquio sul futuro dell’editoria. «Intanto, per riuscirci bisogna capire cosa si intende per ‘aprirsi al mondo digitale’».

DOMANDA. Che cosa si intende quando si dice che Axel Springer punta al digitale?
RISPOSTA. Di sicuro non basta trasportare su internet le proprie testate. Questo è banale, è la condizione di base.

D. È ciò che hanno fatto finora la maggior parte dei grandi editori italiani.
R. Intendiamoci, è un primo passo obbligatorio. Ma una volta che una testata va su iPad quanto può guadagnare in termini di abbonamenti? Si può parlare di 10, 20, 30 mila copie se l’editore è proprio bravo…

D. Quindi?
R. Bisogna diversificare.

D. Come?
R. Il nostro fondatore, Axel Springer, diceva: «La nostra finalità non è stampare carta, è comunicare».

D. In pratica che significa?
R. I giornali sono fatti per metà da quello che scrivono i giornalisti e per metà da quello che si ricava con la pubblicità. Le inserzioni pesano anche il 60% dei ricavi totali.

D. Certo. Per questo oggi, con la crisi, anche l’editoria non sta in piedi.
R. Già, ma esistono moltitudini di annunci pubblicitari: da quelli giganteschi che occupano una pagina alle piccole inserzioni. Per esempio, una volta per trovare le offerte di lavoro bisognava comprare il giornale il venerdì e c’era un inserto apposito…

D. Dove vuole arrivare?
R. È successo che le piccole inserzioni siano state portate via alle imprese editoriali senza che queste nemmeno se ne accorgessero. E, per di più, da qualcuno che con l’editoria non c’entrava niente.

D. Internet?
R. Certo. Sono nati appositi portali: uno dei più grossi in Europa è StepStone, oggi proprietà di Axel Springer. Poi ci sono gli annunci immobiliari: l’anno scorso abbiamo speso 600 milioni di euro per comprare il sito Se loger a Parigi.

D. Non proprio regalato…
R. L’abbiamo pagato caro, sì, ma siamo contenti. Hanno l’85% di quota di mercato, noi avevamo già i nostri portali, ma non puoi arrivare primo senza quella penetrazione…

D. Primo in cosa?
R. Nel nuovo modello di business, quello necessario e di cui molti non si sono accorti.

D. Provi a spiegarcelo.
R. Una buona metafora è il gomitolo. Sul web, la pubblicità si srotola a partire da una pagina o da un articolo tirandosi dietro tutti i servizi collegati e più o meno garantiti che possono servire all’utente.

D. Mi faccia un esempio.
R. Accanto a ogni articolo, si trova un link o una maschera di ricerca. Se parliamo di case, per esempio, l’annuncio mi consente di trovare un immobile, ma non si ferma lì. Va avanti in passi successivi e offre imbianchini selezionati, poi traslocatori e via discorrendo.

D. Ma cosa c’entrano i portali di annunci con il giornalismo?
R. Il giornalismo di qualità è la base dell’editoria, ma non è tutto. Se voglio leggere un pezzo di un Montanelli attuale, andrò a cercarlo su internet. Ma lì a fianco troverò il banner che mi guida in tutta la filiera che mi può interessare.

D. Il giornalismo ridotto a uno specchietto per le allodole, insomma.
R. No, non è vero. Tutti su internet continueranno a cercare gli articoli migliori. Ma la rivoluzione non è questa.

D. E qual è?
R. È la possibilità per gli editori di ampliare il giro d’affari con portali dall’utenza immensa e non condizionati dalla lingua, che con il giornalismo non hanno più niente a che vedere.

D. Questo modello, però, esiste anche in Italia. E qui l’editoria non guadagna ancora molto da internet.
R. Esiste adesso. Ma in questo mondo o sei il numero uno o non conti. Non esistono numeri due.

D. Vuole dire che siamo spacciati?
R. No, perché il mondo digitale in Italia è in ritardo rispetto alla Germania. Qui l’utilizzo di Internet è minore, quindi anche il mercato è più piccolo e meno evoluto.

D. Quindi ci arriveremo anche noi?
R. Mettiamola così: o lo fanno gli editori, in fretta, o lo faranno impresari che non c’entrano niente con l’editoria.

D. Ma in questo i giornali cosa c’entrano?
R. Questo nuovo modello si accompagna alla trasformazione dei giornali.

D. Come?
R. Bisogna cambiare il modello di giornale e anche il tipo di scrittura. Noi, per esempio, siamo arrivati a un accordo: il giornalista che scrive l’articolo di fondo per la carta ne scrive anche una versione più asciutta per l’online.

D. Altri cambiamenti?
R. Abbiamo unificato le redazioni di Die Welt, Hamburger Handelsblatt e Berliner Morgenpost. Salvo in rarissimi casi nessun lettore compra tutte e tre le testate. E quindi non ha senso avere tre giornalisti che scrivano un editoriale simile tutte le mattine.

D. E gli editorialisti che non scrivono più come l’hanno presa?
R. Ci sono state un po’ di discussioni, ma l’accordo è stato fatto. Abbiamo fuso sia le redazioni internet sia quelle dei cartacei. Intendiamoci: finché il mercato li pagava, si potevano anche avere tre giornalisti diversi a scrivere la stessa cosa.

D. E quando il mercato non li paga più?
R. Allora è meglio pagare di più un solo bravo giornalista e pubblicare su più mezzi il suo pezzo.

D. Quanti ne avete sacrificati in nome della trasformazione?
R. Se parliamo di licenziamenti nessuno, perché, come si dice in Germania, queste cose si fanno in modo socialmente accettabile.

D. Cioè come?
R. Se qualcuno va in pensione non lo si sostituisce, se qualcuno vuole passare da una parte o dall’altra lo si agevola. Poi certo, magari qualcuno ha protestato. Ma non abbiamo avuto scioperi, ecco.

D. State ancora investendo sulla carta?
R. No, Axel Springer non considera più investimenti nella stampa cartacea: in quel settore noi vendiamo, non acquistiamo. Manterremo le testate storiche, che sono importanti, ma il futuro è digitale. Non si tratta solo di raggiungere l’obiettivo del 50% dei ricavi dall’online, ma di partire da lì e aumentare ulteriormente.

D. In Italia, i giornalisti hanno fatto la guerra a cambiamenti molto meno ambiziosi.
R. C’è chi difende il diritto a posizioni acquisite 20 anni fa, che una volta erano sacrosante ma ora non lo sono più.

D. Perché?
R. Perché se spingi al fallimento una testata a quel punto hai perso il lavoro tu ma anche tutti i tuoi colleghi.

D. Vero. Ma in Italia sono gli editori per primi a fare differenza tra online e carta. Loro dicono: se metto gli articoli del cartaceo sul web nessuno comprerà il giornale.
R. Tanto la gente lo compra sempre meno comunque. Non bisogna avere paura della cannibalizzazione dei contenuti. Sarebbe un errore gravissimo.

D. E la pubblicità dove la si mette?
R. Il discorso della cannibalizzazione vale anche per la pubblicità: è chiaro che gli annunci che io non metto sull’online, li metterà la concorrenza. Privilegiare un mezzo rispetto a un altro è una strategia perdente.

D. Ma le aziende sono disposte ad allocare il proprio budget su internet?
R. Gli editori dovrebbero dir loro: ti faccio la pubblicità gratis.

D. Perché?
R. Per convincerle: oggi sul web è possibile tracciare tutti i passaggi. Da un mio portale, la persona può scegliere un prodotto e scoprire qual è il negozio che lo vende in zona.

D. E dov’è il guadagno?
R. Tutto è tracciato: nel momento in cui la persona compra il prodotto a partire da un link sulla mia pagina, io editore ricevo la mia percentuale. E le aziende si rendono conto che la pubblicità è efficace.

D. In pratica, la soluzione per l’editoria è l’e-commerce?
R. Chiamiamolo e-commerce, se vuole. In realtà, sono soluzioni originali simili a queste. Agli editori tocca investire, scovarne di nuove.

D. Consiglio numero uno: mettere mano al portafogli?
R. Certo, ma non è detto che si debba spendere sempre tanto. Ci sono idee che si possono prendere a stadio embrionale e far crescere. Noi, per esempio, abbiamo mandato tre top manager a fare un lungo giro in Silicon Valley per riportare a casa idee.

D. Consiglio numero due per l’editore che deve svoltare?
R. Puntare sui giovani.

D. Giovani redattori?
R. No: un giornalista di qualità può avere anche 70 anni. Giovani che conoscano il mondo digitale e creino soluzioni intelligenti. Persone familiari con la macchina internet.

D. Terzo?
R. L’informazione su internet non può essere gratuita: non consente un giornalismo di qualità.

D. Pagare per il Web in Italia non attecchisce…
R. Anche in Germania all’inizio è stato difficile: noi avevamo fatto tutto gratis all’inizio.

D. E ora?
R. Tutto a pagamento. Gli editori tedeschi stanno facendo causa a Google: non si possono appropriare dei nostri articoli, la proprietà intellettuale ha un valore e va pagata.

D. I tedeschi sono disposti a spendere per quello che prima avevano gratis?
R. Bisogna rieducare i lettori. Ma non è difficile, soprattutto con i giovani.

D. Qual è il costo sociale di questa rivoluzione copernicana dell’editoria?
R. Ogni innovazione ha vincitori e sconfitti. Bisogna cercare di essere vincitori. Rendendosi conto di una cosa: ogni lavoratore che fa parte della corsa è vincente solo quando l’azienda per cui lavora ha vinto.