spilleria_02

 
La piccola grande storia può venirti incontro nei luoghi più inattesi, come la Spilleria che ti accoglie sulle rive del Naviglio Martesana, nella frazione Sant’Agata di Cassina de’ Pecchi, 20 chilometri a est di Milano. Lì, in occasione del primo anno di attività del locale, è apparso nello spazio mostre una micro-rassegna fotografica e un oggetto in più: un pianoforte antico, sistemato con discrezione in un angolo del locale.

“E’ il pianoforte che ci ha donato il dottor Ciro Brancati”, mi spiega il motore della Spilleria, Massimo Mandelli. “Ciro è un carissimo amico di famiglia che ci è stato molto vicino prima, durante e dopo la malattia che mi ha portato via mia moglie, Angela”. Nelle parole di Massimo, si materializza il ritratto di un uomo da sempre impegnato sia professionalmente che umanamente nella sua città natale, Napoli, per migliorare le condizioni sociali e di salute dei suoi concittadini, senza mai risparmiarsi. Arrivando al punto di denunciare il “sistema” che attanaglia la sua splendida città. E’ uomo di cultura con una profonda umanità, sensibilità e coerenza che nutre tutti coloro che hanno la fortuna di conoscerlo. Un simbolo della meglio Napoli, quella caratterizzata da grande intelligenza, amore per la vita, consapevolezza che i giovani sono l’unico e vero futuro per il “pianeta mondo”, senza barriere e stereotipi e il ragionevole ottimismo che un mondo diverso è possibile. Nel 2005, durante una vacanza alla Maddalena, Ciro Brancati ha costituito, grazie anche al contributo di Angela esperta in materie giuridiche, un’associazione culturale: lacittadipulcinella.org. Per la piccola grande storia, cedo a lui la parola:

  Comprai il pianoforte nel Natale del 1983. Mio padre aveva intrapreso l’ultima strada del suo viaggio umano. Respirava sempre peggio, e io, anche se non ne immaginavo una morte imminente, o così mi auguravo, ero certo che il poco tempo rimastogli avrebbe dovuto spenderlo lì, nella nostra casa.

Mio padre era vissuto nella musica. La famiglia in cui era cresciuto era di musicisti. Il nonno di mio padre, maestro al teatro San Carlo, le mie zie Dora, soprano e insegnante di piano, e Adriana cantante e attrice di discreto successo.

Mio padre non ha avuto un padre. Il padre della madre gli ha fatto da padre.

Mio padre è stato, ed è, per me e mia sorella un grande padre.

La sua infanzia, povera, e la sua gioventù da scugnizzo per bene, fino al fidanzamento con mia mamma, sono state un susseguirsi di generi teatrali: dramma popolare, commedia, avanspettacolo, rivista.

Poi solo la famiglia e l’amore per tutti noi, con il suo pizzo a riso, come si dice a Napoli, a sdrammatizzare con un sorriso o una risata squillante, ad accogliere i problemi di una grande famiglia allargata, quando non a risolverli… con mamma a difendergli le spalle.

Mio padre suonava il piano, a orecchio. Ha fatto teatro, talvolta, protagonista in feste di piazza, da lui organizzate, come “fine dicitore” o comico, “comico da salotto”.

Emozionava con la sua voce, con la sua allegria, con la sua bontà e poi “Era bellillo Geggé!”.

Così mi raccontava qualche tempo fa un suo vecchio amico, compagno di quei tempi di guerra e dopoguerra, che ho avuto la fortuna di assistere negli ultimi anni di vita.

Chiesi a mia zia, per noi Adriana, di cercare, lei che era esperta, un pianoforte a San Sebastiano, la strada per i musicisti, quella che costeggia il famoso conservatorio di San Pietro a Majella.

La sorpresa riuscì, lo ebbe a Natale e suonò quella sera, poi forse un’altra volta ancora. Un mese dopo andò via.

Il pianoforte è rimasto a ricordarlo e suonato da Adriana a rallegrare gli ultimi anni di malattia di mia madre. Poi, com’è naturale, sono andate via tutte e due e la musica di un’epoca non è stata suonata più.

Come potete capire, quell’ingombrante ammasso di legno e di ferro, nero come la pece, pesante come il piombo, elegante come un signore di altri tempi, trasmette in me ancora profonde emozioni.

Le emozioni non si vendono, si condividono e si condividono con le persone a cui vuoi bene e che sanno comprenderle.

Voi non dovete ringraziarmi del dono, sono io che ringrazio voi per aver preso le mie emozioni e averle ridato vita  

Ciro