LA PRIMAVERA DI TONINO GUERRA: MOSTRE, LIBRI, LE SUE DONNE E DODICI TELEGRAMMI DI MEMORIA DI UN SUO AMICO SCRITTORE
testo di Roberto Garattoni* per Giannella Channel
Tornano le Giornate di marzo per Tonino che ogni anno, dal 16 (giorno della sua nascita, 16 marzo 1920 a Santarcangelo di Romagna) al 21, giorno in cui nel 2012 il poeta del cinema l’ha lasciato le stanze terrene, i suoi numerosi amici sparsi nel mondo si uniscono in un abbraccio augurale in videoconferenza per reiterare il ricordo di un grande maestro di vita. E per portare nuova linfa alle nostre anime, in Romagna partono iniziative varie delle quali trovate il programma alla fine del testo.
Per Giannella Channel abbiamo pensato di chiedere a Roberto Garattoni, nativo di Savignano, scrittore di storia con trascorsi giovanili di poesia e di pittura, amico di Tonino, dodici telegrammi di memoria che tornino a illuminare la figura di quello scrittore per il cinema che il mondo ci invidiava e che da dodici anni ci manca tanto.
Allo stesso Garattoni dobbiamo la rara foto di apertura del servizio: è datata 1950, ambientata a Savignano sul Rubicone e mostra il trentenne insegnante Antonio Guerra (Tonino lo battezzerà Federico Fellini anni dopo) con alcune allieve della scuola di Avviamento professionale. (s.g.)
1. QUANDO IL PROFESSOR GUERRA INSEGNAVA LA VITA ALL’APERTO
La prima immagine di Tonino che ho negli occhi è di quando da bambino abitavo in una contrada con davanti uno spiazzo, dove giocavamo calciando in una palla di stracci tenuta con gli elastici, di fianco all’orto delle scuole di Avviamento. Ogni tanto la palla andava di là.
Il professor Guerra veniva da Santarcangelo con un Guzzino e, a mezza mattina, si poteva vedere che portava la scolaresca fuori a fare la ricreazione o a insegnare qualcosa all’aperto. C’era un vecchio pozzo con la ruota a manovella, c‘erano gli ingegnosi sistemi di irrigazione di un ortolano, c’era accanto al pozzo un enorme fico contorto, che in estate regalava l’ombra e faceva i mataloni da vendere e nella stagione della scuola riempiva la terra intorno delle sue foglione gialle. Allora si vedeva Tonino che aveva sempre da raccontare qualcosa gesticolando e quando aveva finito di fumare un paio di sigarette riportava tutti dentro alzando un po’ la voce: “Adesso prendete il quaderno e fatemi il disegno”.
Un mio amico più grande, che all’epoca ha frequentato questa scuola, racconta di una volta d’inverno quando la moglie dell’ortolano approfittando di un po’ di sole, aveva steso tutti i panni ad asciugare, camicie, mutande, fazzolettoni colorati appesi ai rami nudi del fico, e Tonino che aveva visto dalla finestra li portò fuori apposta a contemplare la scena.
2. INCORAGGIAVA COME SE FOSSE ANCORA UN MAESTRO DI SCUOLA
Quando da grande ho conosciuto Guerra di persona, per una mia mostra a Riccione, o per vedere dei quadri a casa mia o per una chiacchierata a casa sua (ogni tanto al telefono un Federico, supposto Fellini, un Francesco da intendere Rosi, o anche delle voci ignote a cui lui rispondeva in un dialetto santarcangiolese brusco e sonoro o in un russo improvvisamente cauto e affettuoso) non mi ha sorpreso il suo atteggiamento proprio da maestro di scuola. Io avevo stampato un catalogo intitolato “I luoghi della memoria” con un mio racconto sui ricordi d’infanzia, e lui – non so se per i disegni o per lo scritto – mi aveva messo “Bene” come si faceva sui quaderni dei compiti a casa, col classico incoraggiamento in forma di rimprovero riservato all’alunno bravo che non si impegna abbastanza: “Puoi fare di più perché la buona stoffa c’è”.
Mi ricordava la mia maestra Tina Venturi detta la Scavciòuna a cui piacevano i miei temi col disegnino sotto e nel 1952 voleva mandarmi al concorso della BO FIM di Torino, dove già aveva vinto uno scolaro santarcangiolese del Bornaccino del maestro Federico Moroni.
3. INSEGNAVA UN NUOVO MODO DI VIVERE GLI SPAZI PUBBLICI
Nei primi anni ’80 Tonino era tutto preso dal povero Andrej Tarkovskij, che aveva accompagnato in giro per l’Italia nei sopralluoghi per il film “Nostalghia”, e nel documentario “Tempo di viaggio” aveva giusto spiegato la sua didattica, curiosamente presa proprio dall’amico Federico Moroni, studioso della creatività infantile, autore di un libro intitolato “Arte per nulla”, poi modificato in “Arte per gioco”, la tecnica di raccontare, mostrare, far toccare con mano delle cose concrete e attraverso questa esperienza “sensitiva” stimolare la libera creazione artistica. Moroni lo faceva coi bambini, che poi le famiglie si lamentavano di tutto quel perdere tempo a scuola coi disegni, e Tonino lo faceva con Tarkovskij come aveva fatto coi Taviani e con Anghelopulos, con Fellini e con Antonioni. Lui mostrava i luoghi e le cose, faceva mille racconti, inventava una sceneggiatura ed era come se alla fine dicesse al regista e alla sua troupe “Adesso fatemi vedere il film“. Anzi, lui a quel tempo andava praticando la stessa didattica con i santarcangiolesi e con tutti i romagnoli: voleva suggestionarli con proposte e immagini concrete per stimolare la creazione artistica nelle case, negli alberghi, nelle piazze; per un nuovo modo di vivere gli spazi pubblici, convinto di ritrovare quello antico, più semplice e a misura d’uomo.
4. “BISOGNA ABBELLIRE COI QUADRI LE NOSTRE STANZE D’ALBERGO”
Tonino aveva visto nell’ 82 una mia mostra di pittura a Riccione organizzata dal comune e diceva: “Bisogna abbellire coi quadri le nostre brutte stanze d’albergo, qualcosa per farci sentire come a casa”. Osservando qualche mio soggetto sul tema dei luoghi della memoria aggiungeva: “Bisogna salvare le vecchie case di campagna”. Stavano uscendo in quel momento dall’editore Maggioli i suoi famosi “Messaggi” e cercava qualcuno che illustrasse i suoi progetti. Stefano Pivato poi scrisse sul giornale che Tonino faceva le sceneggiature e poi cercava un regista (diciamo così) per realizzare l’opera, un po’ come succede nel cinema. Per il quadro della piazza salii a casa sua (la lunga scala diritta che dava un po’ di fiatone, per cui a volte lui riceveva gli ospiti di sotto al bar, e non tutti capivano che era un gesto di riguardo). Aveva fatto una casina su un foglio di quaderno, che voleva dire il comune, con un tondo in basso che voleva dire la fontana. Per mostrare che ci dovevano essere degli animali aveva incollato in alto l’aquila della pubblicità del Fernet Branca (e tale è rimasta nel dipinto). Io feci delle fotografie della piazza vista dal suo balcone.
"Santarcangelo, la piazza di Tonino", di Guerra e Garattoni, tempera su cartone cm. 70 x 100, anno 1984. Santarcangelo di Romagna, Biblioteca comunale
5. AL CENTRO DELLA PIAZZA? UN ORTO DOVE RONZANO LE API
Aveva insistito molto che dalla parte dell’arco doveva esserci un giardino all’italiana. Io ci misi le aiuole coi boschetti rasati a forma di lettere dove si legge “Santarcangelo – La piazza di Tonino”. Al centro inizialmente lui avrebbe voluto farci un orto vero e proprio, dove ronzano le api e i vecchi vanno a curare i fagiolini e i pomodori mandati su con le canne. Poi si adattò all’idea più realistica del giardino dei cachi con le panchine (“Le foglie rosse, mi raccomando!”).
Per la fontana mi inventai un impianto fatto con le macine da mulino (“Benissimo, perché no?”); lui aveva una delle sue idee come il ceppo d’albero con le radici per aria e negli anni poi ha fatto costruire delle fontane di questo tipo, ma ha usato anche l’idea delle macine. Per l’acqua avrebbe voluto uno spruzzo come quello di Ginevra, un geyser, perché i forestieri dicessero: “Os-cia, l’aqua ch’ avòi!”; ma poi non si sapeva in quale vasca mostruosa farlo cadere. Per cui alla fine è venuta una scenografia d’insieme perfino moderata nelle innovazioni (si conservavano le vecchie alberature, Tonino rinunciava all’idea di spostare il monumento ai caduti), e il vero effetto di magia è dato soltanto dal vuoto un po’ metafisico di un paesaggio senza presenze umane e solo con alcuni animali simbolo.
6. LA PIAZZA CON UN’ANIMA TEATRALE
Ripeteva spesso che la piazza di Santacangelo aveva un’anima teatrale, che si vedeva soprattutto quando era vuota.
Il balcone di casa sua era una sorta di palco reale affacciato su questo teatro. L’idea della scena teatrale ha guidato dunque questo lavoro. Si vede che il quadro è immaginario ma verosimile, abbastanza realistico ma del tutto irreale. Pur nella sua ordinarietà figurativa, da cartolina illustrata, ha delle ambizioni ideologiche alte; che vanno dalla “Città Ideale” del Rinascimento alla “Città Metafisica” di De Chirico, il quale metteva il castello di Ferrara proprio sullo sfondo di un tavolato di palcoscenico, con in primo piano le famose simboliche “muse inquietanti”. Qui in primo piano, come muse se vogliamo dire così, ci sono degli animali. Sul balcone o palco reale ho messo l’uccello reale per eccellenza che è il pavone. L’effetto metafisico è dato dal fatto che è una presenza sognata, incongrua, fortemente simbolica. Il pavone come un ”meraviglioso” del tutto inatteso in un ambiente di vita ordinaria, che poi è il tema ossessivo di tantissime sue poesie, fino al famoso pavone del conte di Amarcord.
7. LO ZOO IMMAGINARIO NELLA SUA TESTA
In fatto di simboli, il pavone è lo stesso Tonino, come è lui anche il gatto (accanto alla macchina da scrivere), l’animale considerato domestico solo perchè ama rincantucciarsi dentro casa dopo le sue molte scorribande all’esterno, e perfino il piccione, l’uccello né domestico né selvatico, che vive e mangia fuori casa, capace anche di lunghi viaggi, se è un viaggiatore, ma che sempre ritorna immancabilmente al nido d’origine. Poi è presente un altro animale reale per eccellenza, che è l’aquila. Tonino si soffermò a riflettere: “Perché l’aquila?” – “Perché avevi messo tu il ritaglio della fotografia, come una minaccia sospesa sulla piazza” – “Per la guerra, prima del fronte, proprio nelle giornate di sereno venivano gli apparecchi a mitragliare che brillavano come gli aghi da cucire”. Purtroppo qualche minaccia al sogno della sua piazza già era nell’aria veramente. Del resto in un angolo in basso, a guardare bene, si vedono due cani che danno la caccia proprio a un piccione. Sta di fatto che quando si seppe in giro di questa illustrazione e di questo progetto, pare che Tonino ricevesse delle minacce di morte. Come avrebbe detto il benzinaio della piazza riguardo al “giardino all’ italiana” che doveva venire al posto della strada asfaltata, quella che ancora passava sotto l’ Arco di papa Ganganelli: “Se leu e fa un a roba acsè, me a vag ad ciòusa sla pistola”.
8. PER LUI LA VITA A ROMA ERA CAOTICA E COSTOSA
Come si sa Tonino odiava la parola sceneggiatore. Scrittore per il cinema andava meglio, ma fino a un certo punto. E questo si lega anche al suo cruccio polemico sul fatto che autore di un film fosse sempre considerato il regista, anche se magari all’ 80% il lavoro era frutto del soggetto, delle idee, delle invenzioni, delle parole di dialogo di uno scrittore, di un poeta, che alla fine pareva non fosse mai esistito. Mi diceva Tonino in confidenza, e in confidenza solo perché io sono di un altro paese: “Lo sai cosa dicono, anzi cosa pensano di me a Santarcangelo? “Os-cia leu, leu l’è eun che ciapa i baiocc senza fe un caz”. E questo si lega a una classica frase che viene attribuita ogni volta a un diverso scrittore, o poeta, o grande artista in genere: “E’ difficile spiegare a mia moglie che quando passo il tempo a guardare dalla finestra io sto lavorando”.
Negli anni 70, Tonino Guerra incominciò a passare sempre più tempo a Santarcangelo. La vita a Roma era caotica, costosa, dispersiva. Ebbe anche un serio problema di salute e Santarcangelo fu il suo luogo di convalescenza. Scrisse poi in una scheda biografica: “Questo inverno ho passato molto tempo a guardare la neve che cadeva”. Una veduta fissa sulla piazza di Santarcangelo. la piazza dei ricordi, dei sogni, dei progetti. Oggi sappiamo chiaramente che, passando il tempo a guardare dalla finestra, Tonino come sempre stava lavorando, e stava lavorando per noi.
9. “SENTO IN ME QUALCOSA CHE HA A CHE FARE COL GIAPPONE”
Nelle sue poesie i vecchi si tolgono religiosamente il cappello davanti a una fioritura di ciliegi, le rose intristiscono nei bicchieri e muoiono come persone care, minuto per minuto, un petalo alla volta. Nel filmato “Tempo di viaggio” lui fa da guida al suo Dante in esilio (il grande Andrej Tarkovskij poi scomparso di lì a poco) in cerca di quel paese d’ombre che sarà l’ambiente di “Nostàlghia”: sospinto dal sogno liberty-giapponese di una villa vesuviana, un salone disabitato il cui pavimento, opera del pittore Filippo Palizzi, è tutto dipinto a fiori e petali (“sparsi come se fosse entrato il vento”); un prodigio di languore di fronte al quale si sente che Guerra in persona sarebbe disposto a togliersi il cappello. Da sempre penso che questi e analoghi spunti del Guerra uomo e poeta, vadano spiegati su un suo versante di sensibilità misteriosamente asiatica. E’ perfino deludente, adesso, averlo sentito confessare nelle interviste: “Sono mezzo orientale. A volte cerco dentro di me qualcosa che ha a che fare col Giappone, coi ciliegi fioriti”. Una fissazione addirittura, e forse perchè per lui come nel buddismo Zen arte e vita sono due livelli dello stesso sogno, si è battuto per avere un ciliegio sulla piazza di Santarcangelo, ha celebrato come “la valle dei ciliegi” il paese dell’amico poeta Tito Balestra, continua a sognare un grande bosco di ciliegi sulle sponde del fiume che come “riminese di campagna” condivide con l’amico di città (o di Cinecittà) Federico Fellini.
10. LE SUE ANIME AVEVANO UNA RADICE COMUNE IN VESPIGNANI
Prima che si innamorasse della pittura orientale, in lui si mostravano due anime: una del realismo poetico alla Moroni, che trovava una sua congenialità nel cinema di Fellini, e un’ altra dell’iperrealismo esistenziale alla Ferroni congeniale piuttosto al cinema di Antonioni. A ben vedere le due componenti avevano una radice comune nella pittura e nella grafica dell’amatissimo Renzo Vespignani che nel dopoguerra, portato da Tonino stesso in Romagna, aveva messo al mondo sia i realisti poetici “caldi” della scuola di Santarcangelo sia i realisti espressionisti “freddi” della scuola di Cesena.
Tonino mi mandava fogli scritti a mano e variamente scarabocchiati anche a macchina con elenchi dettagliati nei particolari, tipo: una camera da letto con un letto sfatto e nient’altro, magari un filo della luce penzoloni, un portacenere posato in terra. Oppure un’altra stanza vuota, un pavimento di ceramica freddissimo, e in un angolo le rimanenze dimenticate di un trasloco. Uno di questi soggetti di interno suggeriti da Guerra fu inviato a Milano alla prima edizione del Premio della rivista “Arte” di Mondadori, 1985 (in giuria Enrico Bai, Oreste del Buono e altri), fu premiato, esposto in galleria a Milano Brera e Roma Margutta e pubblicato sulla stessa rivista.
11. IL SUO FARO POETICO? IL CINESE PO CHU I
Secondo lo scrittore Roberto Roversi, Guerra è l’unico poeta capace di trasmettere al lettore il rumore di una foglia che cade. E verrebbe da accostargli dunque “il miracolo delle piccole cose” in tanti poeti cinesi di secoli lontani. Nelle interviste, nuovamente la confessione è schietta: “Carlo Bo e anche Pasolini mi hanno avvicinato al Pascoli, ma onestamente devo dire che sento lontano l’autore di Myricae. Piuttosto potrei avere dei debiti indiretti verso un poeta cinese dell’VIII secolo, Po Chu I“.
12. I GRANDI GODIMENTI E IL CALZOLAIO SAPIENTE
Raccolgo ancora un messaggio di Tonino al suo sindaco: “Devi gridare che costruiremo piramidi…I grandi godimenti sono quelli che si provano succhiando dagli altri la meraviglia che esplode“. Ma confesso, alla fine, di preferire sogni e visioni di carattere più soggettivo e solitario, la meraviglia del Guerra meno gridato. Ad esempio il Guerra che celebra, all’improvviso, i “Paragoni di Pidio“, scarabocchi mentali di un calzolaio che ebbe in tutta la vita solo un paio di detti memorabili, curiosamente specifici, arcani e lampanti come ideogrammi fatti col pennello sulla carta di riso: “La novla la è èlta te zil/ e la pigra la va d’in zò/ e fiom e va a maroina/ e l’aqua la sta férma“. In essi, secondo Tonino, “splende un’antica sapienza“. Non romagnola, propriamente. Forse ancora, indirettamente, si tratta di Lao Tse: “Nuvola, acqua: è solo attraverso le forme che possiamo renderci conto del vuoto”.
AGENDA /LE GIORNATE DI MARZO 2024 PER TONINO
Tra le numerose iniziative programmate, segnaliamo:
- Sabato 16 marzo: nella Biblioteca Baldini di Santarcangelo (via Pascoli 3, tel. 0541.356299), ore 11, si inaugura la mostra dal titolo “Arrivano le donne di Tonino“, esposizione originale pensata per rendere omaggio al poeta con tutte le donne che ha cantato nei suoi versi e nelle prose che ha disegnato sulla carta e sulla tela. Le tele sono realizzate dalla storica Stamperia Pascucci di Gambettola.
- Sempre Sabato 16, alle 15,30 a Pennabilli (Rimini), nel restaurato Palazzo del Bargello, la mostra Tonino in ogni casa, omaggio realizzato con le opere di Guerra provenienti dalle case di chi gli è stato vicino. Ne emerge un variegato insieme di quadri, ceramiche, manufatti artistici per la prima volta insieme.
- Per uno sguardo sul cinema da lui sceneggiato, due appuntamenti: il 16 alle ore 21 a Pennabilli e il 19, sempre alle 21, a Santarcangelo con il film “La notte di San Lorenzo“, anche in ricorso di Paolo Taviani, scomparso il 29 febbraio scorso.
- Giovedì 21 marzo, nella Giornata mondiale della poesia e dell’arrivo della primavera, si chiudono le celebrazioni con alle 20,30 a Santarcangelo in Biblioteca un prezioso momento teatrale “Frammenti di Odissea al mare“, con Isador Angelini, Donatello Angelini, Luca Serrani e Denis Campitelli. A seguire, vengono presentati due volumi appena pubblicati da Pazzini: “Dedicato a Tonino Guerra con fantasia” di Mario Rossi e “Tonino Guerra. Il sorriso della terra“, autrice Rita Giannini. Interverrà la sposa russa di Tonino, Lora, con letture di Simone Silvestri.
Per i numerosi testi e le immagini dedicati dal blog a Tonino, inserire nel rettangolo della ricerca la parola chiave: TONINO GUERRA.
Tonino Guerra in un ritratto digitale di Giacomo Giannella/Streamcolors