Piero Ostellino (Venezia, 1935) è un politologo e giornalista italiano. E’ editorialista del Corriere della Sera, giornale del quale è stato anche direttore nel periodo 1984-1987

Il ”caso Sallusti“ ha rivelato lo stato approssimativo in cui versa la nostra cultura politica. Si è confusa la libertà d’informazione, che va tutelata, con il diritto alla diffamazione, che va sanzionato. Libertà (di informazione) e diritto (di diffamazione) non sono la stessa cosa: non devono essere confusi e, tanto meno, assimilati, sia sotto il profilo deontologico (il giornalista che sbaglia non è innocente sotto il profilo professionale in nome della libertà di informazione) sia sotto quello giudiziario di fronte alla legge; che rimane uguale per tutti, giornalisti compresi.

L’articolo che ha creato le condizioni della procedura contro l’allora direttore di Libero Alessandro Sallusti era diffamatorio, cioé violava la libertà della persona diffamata e, in quanto tale, è stato sanzionato da un tribunale della Repubblica. Ma la sentenza di condanna di Sallusti a quattordici mesi di carcere ha fatto emergere una contraddizione (che l’ordinamento giuridico repubblicano non ha sanato) fra l’ordinamento dell’ex Italia fascista e l’ordinamento dell’Italia democratico-liberale. In punta di filosofia del diritto, è stato un conflitto fra diritto positivo e libertà soggettive, fra giuspositivismo e giusnaturalismo.

Come andava sanzionata, allora, la diffamazione? Da parte del condannato: a) con l’obbligo della pubblica smentita dell’articolo diffamatorio; b) col “risarcimento” pecuniario della parte lesa. In un regime democratico-liberale, la diffamazione è civilisticamente perseguibile e non lo è penalmente. La sentenza non risarcisce la parte lesa e viola una libertà soggettiva.

Il giudice avrebbe potuto (dovuto) comportarsi diversamente? Sì, con una interpretazione meno letterale della legge, ma anche ambiguamente discrezionale, tale da creare un precedente imbarazzante. No, con l’applicazione letterale della legge, come ha fatto, ma ignorando la complementarietà fra diritto positivo e libertà soggettive che contraddistingue gli ordinamenti democratico-liberali e creando un precedente non meno imbarazzante.

Il difetto stava, dunque, nella legge. Che a tanti anni dalla caduta del fascismo e dalla proclamazione della Costituzione gli italiani siano ancora esposti a leggi fasciste è un obbrobrio giuridico e una vergogna politica. Si è inglobata nell’ordinamento repubblicano parte della legislazione fascista. Col risultato che l’Italia è una democrazia che ha a proprio fondamento una Costituzione ambigua sotto il profilo liberale (le norme del codice Rocco sarebbero state utilizzate in caso di degenerazione totalitaria del sistema?) ed è regolata, oltre che da antiche norme fasciste, anche da norme illiberali di più recente promanazione parlamentare.

Dirlo (come hanno fatto i quattro gatti liberali, per ciò stesso accusati di lesa libertà repubblicana) era, come hanno confermato i fatti, prova di senso di responsabilità. Così come dire, oggi (anche a costo di una nuova solitudine) che sul “caso” si è fatta cattiva informazione non è sminuire la libertà d’informazione o tradire la repubblica antifascista. Anzi.

Fonte: Corriere della Sera, rubrica “Il dubbio”, 6 settembre 2012