Si acquistano sempre meno quotidiani e a essere falcidiati sono i giornali senza grandi gruppi alle spalle e le testate che danno voce al lavoro. Non è solo un problema di aziende in crisi e lavoratori che rischiano il posto: è questione di democrazia. I giornali della sinistra faccia a faccia con la crisi. Che negli ultimi giorni è diventata ancora più bruciante
Sabato c’è stato sciopero all’Unità (siamo “costretti a una prova di forza”, hanno scritto i giornalisti, “in difesa non solo dei diritti dei lavoratori, ma anche del valore storico e politico del giornale. Un obiettivo su cui ciascuno deve fare la sua parte”). Domenica sciopero di Pubblico (spiegano i giornalisti: “Già nei prossimi giorni uno scenario di messa in liquidazione”, “non accettiamo di essere liquidati in modo così brutale”, “davanti abbiamo mesi cruciali e una campagna elettorale decisiva per il futuro del Paese. Noi vogliamo esserci”). Lunedì il manifesto all’ultimo atto (“La storia della nostra cooperativa è finita. I liquidatori riceveranno le proposte vincolanti di chi è interessato all’acquisto della testata”, ma, aggiungono, “siamo ancora qui. E ci saremo, con la nuova cooperativa”).
E’ un groppo alla gola. Perché lo sapevamo – con i tagli ai fondi dell’editoria, con la mancata riforma, con la crisi – che la situazione era drammatica. Perché abbiamo visto spegnersi una a una testate che sembra incredibile non trovare più in edicola (il Riformista, Liberazione, La Rinascita, Europa che ora è on-line, tanti giornali regionali…). Perché non possiamo rinunciare alla loro voce, perché l’informazione è una cosa seria.
Oltre l’80% degli italiani dichiara di informarsi prevalentemente attraverso i telegiornali, e quasi il 30% di informarsi “solo ed esclusivamente” con i tg (da qui l’importanza del loro controllo, da qui le mani sulle tv!): aumenta, è vero, l’informazione ricevuta on-line, ma è un dato che riguarda soprattutto fasce giovanili.
A sfogliare ogni tanto i quotidiani – secondo gli ultimi rilevamenti Audipress – sono rimasti poco più di 23 milioni e mezzo di italiani, quasi un milione in meno rispetto solo allo scorso maggio. A comprarli i giornali, invece, con la crisi, sempre di meno: tutti i giornali hanno cali di vendite più che sensibili (e gli stati di crisi aziendale sembrano epidemici). C’è un dato che può far capire bene la situazione: persino la vendita dei giornali sportivi è crollata solo nell’ultimo mese del 13%…
Ma neanche la crisi economica può giustificare quello che succede. Non si può spegnere l’informazione. Non si possono soffocare i giornali che danno voce al lavoro e ai lavoratori. Non è solo un problema di aziende in crisi, di lavoratori – i giornalisti, i poligrafici – che rischiano il posto di lavoro: è una questione di democrazia. Ed é un problema che il governo che verrà deve tenere ai primi posti.
Fonte: Articolo 1, quotidiano on line/on air della Cgil