MILANO PREMIA SALVATORE GIANNELLA CON IL PANETTONE D’ORO PER AVER IDEATO IL MAIO, MUSEO DELL’ARTE IN OSTAGGIO
PARLANO DI NOI, STREAMCOLORS, MILANO 2023
testo di Monica Autunno* / Il Giorno
e, a seguire, lectio magistralis di Giangiacomo Schiavi
CASSINA DE PECCHI – Anche Cassina de’ Pecchi, città alle porte di Milano, sul palco del Teatro Parenti per l’assegnazione del premio alla virtù civica Panettone d’Oro: premiato il giornalista e scrittore cassinese Salvatore Giannella, l’ideatore e creatore del Museo Maio, ovvero il Museo dell’Arte in ostaggio, che, dal 2015, racchiude ed espone pannelli, installazioni interattive per studenti e documentazione visiva sulle opere d’arte trafugate dai nazisti durante la guerra e l’occupazione. (Nella foto di Andrea Canali, Giannella davanti al torrione seicentesco che ospita il museo)
“Con la memoria si vince”, così Giannella, che sul tema ha all’attivo ricerca, studi e pubblicazioni. “L’ho sempre creduto, lo ripeto ancora una volta. Questo museo è una creatura che può riservare ancora molte sorprese. E quello del destino dell’arte in guerra un filone di studio fondamentale”.
A Milano, sabato 4 febbraio, per la consegna del premio a Giannella (motivazione e altri premiati qui: http://www.panettonedoro.it/), il sindaco di Cassina Elisa Balconi e l’assessore alla Cultura Lucia Marino, ma anche una delegazione dell’amministrazione comunale precedente, con l’ex primo cittadino Massimo Mandelli in testa. “Li ringrazio tutti”, così Giannella, “rispettivamente per aver avviato il progetto e poi per averlo rilanciato e rinforzato con una biblioteca specializzata”.
Il premio è stato assegnato con questa motivazione: “Il Museo Maio dal 2015 valorizza la memoria e la cultura a Cassina de’ Pecchi. Un impegno personale diventato un progetto condiviso della comunità, attraverso la ricerca storica e le azioni per recuperare i capolavori trafugati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale”.
Sono 1.641, a oggi, le schede delle opere “scomparse” censite nelle tabelle del Maio. Ancora Giannella: “Sino a sette anni fa erano 1.653. In questi anni il lavoro di ricerca e indagine degli 007 del Nucleo specializzato dei carabinieri, ha prodotto i suoi frutti, molte opere sono tornate a casa”.
Una storia recente? “Quella, nota a molti, del quadro Il vaso di fiori del pittore olandese Jan Van Huysum, rubato dai nazisti nel 1944, tornato a Firenze nel 2019, dopo 75 anni. Un caso mediatico: a sollevare la questione del trafugamento, e avviare la macchina della restituzione, era stato il direttore, peraltro tedesco, degli Uffizi, Eike Schmidt. Ogni opera ha la sua storia. Mi piacerebbe, ci piacerebbe, che il nostro ‘piccolo’ ma suggestivo museo potesse dare un contributo”. Il Maio celebre anche oltre confine. Fra gli eventi degli ultimi anni la mostra, nel 2021, dell’artista francese Valerie Rauchbach, autrice di opere ispirate ai capolavori trafugati.
CON PAROLE MIE /Salvatore Giannella
Il mio grazie alla giuria
del Panettone d’oro
Prendo in prestito da un maestro di impegno civico, Antonio Cederna, queste parole attualissime: “Solo chi è moderno rispetta il passato e solo chi rispetta il passato è pronto a capire le necessità della civiltà moderna”
Ecco, nell’idea del MAIO a Cassina de’ Pecchi non mi sono limitato a riaccendere il ricordo delle 1.641 opere d’arte che, regione per regione, furono trafugate durante la Seconda guerra mondiale e sono ancora prigioniere di guerra.
Ho voluto da pioniere esplorare nuovi strumenti digitali per comunicare questi frammenti di memoria, coinvolgere nuove generazioni e far crescere nuove consapevolezze. Guardate questo breve video, Frammenti di memoria, che mostra una caratteristica della multimedialità nel Maio: in bianco e nero vengono ricordate le opere rubate e a colori quelle recuperate.
Dal breve filmato avete intuito come la realtà aumentata contribuisce a rendere questo piccolo, suggestivo museo un’esperienza unica in Italia che è stata replicata altrove (in Olanda e in due musei degli Stati Uniti).
Devo a Giacomo Giannella e a Giuliana Geronimo, creatori dello studio d’arte digitale Streamcolors* di Milano, questa creatività che permette di valorizzare, persino con un videogioco, questo progetto civico, legato al concetto di diritto alla bellezza, e di far partecipare attivamente il visitatore. Sul loro petto appunto idealmente questa spilla dorata oltre che sul petto dei sindaci con gli assessori alla cultura che vedo in sala, che hanno accolto e valorizzato il progetto del Maio…
Veniteci a trovare, come è accaduto ad altri artisti venuti anche dall’estero. Vedrete rimettere in moto la vostra energia creativa. Vi aspettiamo. Grazie.
*STREAMCOLORS SRL, via Vincenzo Vela, 8, 20133 Milano. Sito web: http://streamcolors.com/en/portfolio/, Tel. +39 0245381024, +39 3391268833
HANNO DETTO DEL MAIO /Frammenti di citazioni
- “Gli italiani tornano a emozionarsi per le opere d’arte rubate durante la Seconda guerra mondiale” (titolo dell’agenzia di stampa cinese Xinua di Pechino)
- A Cassina de’ Pecchi abbiamo visitato un museo che racconta la storia dei tesori d’arte rubati dall’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale, ma anche di chi salvò grandi capolavori dell’arte italiana (Luciana Parisi, inviata del TG3 nazionale)
- “Tesori in ostaggio. Nel Milanese è nato un museo dell’arte trafugata: da vedere!” (Livio Colombo, Oggi)
- “Un piccolo ma suggestivo museo ideato dal giornalista Salvatore Giannella vuole sollecitare memorie e azioni per recuperare le 1.641 opere ancora prigioniere di guerra, qui rielaborate attraverso algoritmi e pennelli elettronici (Tina Lepri, il Giornale dell’Arte)
- Il Maio è un autentico gioiello alle porte di Milano. Visitatelo e vi appassionerete alle grandi storie evocate. Tra l’altro è una mostra trasportabilissima grazie agli splendidi video firmati dallo studio Streamcolors…a proposito: complimenti anche a loro! (Daniela Mainini, presidente del Centro Studi Grande Milano)
- Bellissima iniziativa! Una delle tante perle preziose di quel vulcano creativo che si chiama Salvatore Giannella (Maria Cristina Giongo, corrispondente di Avvenire dall’Olanda)
- “Per recuperare questi 1.641 tesori italiani ancora prigionieri di guerra è necessario un duro lavoro diplomatico e non solo quello investigativo affidato ai pur efficaci e tenaci carabinieri del Nucleo per la tutela del patrimonio culturale istituito, primo al mondo, nel 1969 dal mitico generale Roberto Conforti” (Simona Maggiorelli, Left)
- Mai sottovalutare il potere delle piccole cose perché spesso, come dimostra il Maio, il loro potenziale creativo è alto” (Beaux Arts, rivista frances
A PROPOSITO
MILANO 2023: COME CAMBIA LA CITTA’
PIU’ CITTA’ D’ITALIA
La lectio magistralis di Giangiacomo Schiavi
nella cerimonia d’apertura del Panettone d’oro
Foto (C) Mondin per Panettone d’oro
Milano, Teatro Parenti: Salvatore Giannella con l’editorialista del Corriere della Sera, Giangiacomo Schiavi, che lo ha premiato, e (sulla destra) il presidente della giuria del Panettone d’oro, Salvatore Crapanzano. Il premio alla Virtù civica, chiamato affettuosamente “l’Ambrogino dei poveri”, nacque a metà anni Novanta per iniziativa del Coordinamento Comitati Milanesi come riconoscimento alle persone che si distinguono per loro virtù civiche.
Viva, solidale, attrattiva, bella, tollerante, connessa, partecipata, accessibile, locale, globale, universitaria, multimediale, economica, sportiva, veloce, sicura, verde, ecologista… Ecco MILANO 2023, sfidata a cambiare, dice il suo destino,
in altalena tra continuità e discontinuità, restando, possibilmente, quel che vuole la storia: la citta più citta d’Italia secondo Verga, un’America senza crudeltà, secondo Piovene, la patria dei senza patria, secondo Montanelli. Locomotiva, nel luogo comune. Elogiata nel mondo, dopo Expo. Place to be, per il New York Times. Un luogo dove essere.
Ma noi abbiamo visto e vissuto anche un’altra Milano,
Diversa, intristita, delusa, spaventata, malinconica, eccessiva, trafficata, insicura, xenofoba, corrotta, rissosa, arrabbiata, maleducata. E oggi cara, troppo cara …
C’è una doppia cittadinanza che si tocca con mano in certe periferie, dove le sofferenze non viaggiano sulle rotte del futuro. Ammaccano, lasciano segni, disattenzioni, solituditudini, fragilità alle quali provvede una terza Milano, quella dell’aiuto, del coraggio, della speranza, della restituzione, la Milano del volontariato, dei preti di strada, dei cardinali coraggiosi, dei bravi anmmistratori, dei prefetti e dei questori, attenti anche a chi è rimasto indietro, che fanno di questa città una capitale diversa,
Voi ne fate una capitale diversa: la capitale della responsabilità. Che si organizza nei quartieri, nei comitati, nella difesa civica, aperta al nuovo, capace di integrare, vorrei dire, anche incivilire, perché date l’esempio.
Oggi a queste tre Milano se ne aggiunge un’altra, che gli anni del boom e del benessere diffuso avevano cancellato: la città delle diseguaglianze. Nessuno mette in dubbio la competitività e il potenziale di crescita di Milano, ma lo strabismo euforico degli ultimi anni, pre pandemia, ha alterato il vecchio modello e spinto Milano in una corsa solitaria verso l’alto, una piramide per pochi, felici e ricchi. Molti sono rimasti indietro, fermi su un ascensore che non sale come la città di Boccioni, nemmeno con le scope volanti di Miracolo a Milano.
Ha scritto Paolo Cognetti, quello delle Otto montagne, che negli anni Sessanta Milano non doveva essere bella, era una grande fabbrica, un luogo di opportunità: doveva essere utile. Si diceva che Milano era bella dentro, nascosta nei suoi cortili. Fredda, nebbiosa, calda come il suo uore…
Io ci sono arrivato alla fine degli anni Ottanta, dopo il buio del terrorismo, appena prima di Tangentopoli. Il titolo piu gettonato per Repubblica e Corriere era Fuga da Milano. Tutti se ne volevano andare, gli intellettuali per primi.
Erano appena finiti i raid del sabato pomeriggio con le bande di latinos a caccia di paninari in Timberland. La città borghese sembrava abulica spettatrice dell’assalto alla diligenza, in attesa del Settimo Cavalleria. Modelle, cocaina, soldi neri e mazzette avevano lasciato il segno in quella che tutti chiamavano la Milano da bere.
Era una città senza sorriso, Milano. Avvolta in una “pestilenziale e mefitica cappa”, scriverà Corrado Stajano. Per noi cronisti anche in qualche foglia di rucola.
Ricordo però una lettera, a metà anni Novanta, capace di ridare un senso alla città che amiamo. L’aveva mandata un quarantenne venuto dal Sud, uno che aveva coltivato a Milano il sogno di poter cambiar in meglio la vita e proprio perché c’era riuscito voleva comunicarlo ai vari disfattisti, per evitare il cupio dissolvi del pessimismo e della paura.
Cominciava così: Se voglio lavorare vengo qui/
se voglio essere curato vengo qui/
se voglio studiare vengo qui/
se voglio crescere nel lavoro questa è la piazza migliore/
se voglio guardare al mondo/
all’Europa e al futuro Milano è il posto giusto…
È dai sogni che nasce la speranza e la Milano sognata, concludeva la lettera, resta per me il riferimento del futuro.
Ma si faticava a trovarlo quel riferimento nella metamorfosi in corso, dalle fabbriche all’happy hour, dai circoli pensanti ai club dei rampanti, dai laboratori della politica ai lupi affamati dei partiti, contro i quali si alzava la voce autorevole del Cardinal Martini, il defensor civitatae innalzato come simbolo di resistenza contro affarismo e degrado morale.
Io quel riferimento l’ho trovato in tanti volontari, nella gente perbene che rema ogni giorno, con il lavoro e con le idee, e mette le persone al centro, con l’umanità, l’amore per la vita e le storie della vita, contro ogni attacco alle libertà e alla dignità…
… siano le guerre, la memoria, il lavoro precario, la difesa delle donne perseguitate in Iran, o più in piccolo nelle battaglie civili per avere un vigile in strada, un asilo nido, una scuola meno sgarrupata, più pulizia e sicurezza sulle strade, per i ciclisti e per i pedoni
Ma se riferimenti sono quelli di chi ci mette l’anima e va nella direzione del bene comune, il primo mattone della Milano che si sta reinventando dovrà essere la lotta alle diseguaglianze: di reddito, di accesso, di reputazione, di capitale sociale. Solo così si puo rendere possibile il sogno di una città più vivibile, più verde, più sensibile alla natura e attenta alla cultura, la città dei quartieri e del rispetto ambientale che si riconosce in una scala di valori diversa da quella che ha dominato il nostro tempo.
Il Covid con il suo altolà ne ha indicato un altro di tempo: quello della cura. E la cura è manutenzione, prevenzione, ascolto, attenzione contro la distrazione di massa che viene dagli algoritmi, dal web e dalla schizofrenia dei social
La storia dice che i pessimisti hanno quasi sempre ragione, ma il pessimismo puo essere azione e non rassegnazione, puo diventare presto ottimismo. Non siamo messi cosi male, oggi. Chi viene da fuori ci dice: Non piangentevi addosso. Che volete? Siete il meglio in questa Italia scontenta di sè. Un grande magnete che attrae tutti da ogni dove. Milano, come ha detto la Von der Leyen, è sempre on gran Milan….
Ma è doveroso scendere in basso e guardare le due città, da riconnettere e riavvicinare. Non ci sono solo utenti di instagram, social media, manager, influencer, movida e apericena. Non ci sono solo i city users. Ci sono i milanesi: non devono restare senza Milano, come ha detto una volta Piero Bassetti, grande e saggio vecchio da ascoltare. E ci sono le diseguaglianze, le code a Pane Quotidiano, i giovani, i vecchi, le famiglie, gli immigrati, i saperi da trasmettere, il dialogo generazionale…
«Milano è una città complessa e la complessità è il suo valore”, ha detto l’architetto Renzo Piano, che in una periferia, a Ponte Lambro, si è impegnato in rammendo rimasto purtroppo incompiuto.
“Noi siamo figli della complessità di Milano”, ho sentito dire un giorno da don Virginio Colmegna. Parole forti dietro un grande amore. Oggi siamo sommersi dalle parole. Troppe. Certe parole non hanno più senso. Hanno perso valore. Contano gli esempi.
Voi ne date tanti. Grazie