Manifesto-300x252«Ciò da cui siamo minacciati non è l’eccesso d’informazione ma l’eccesso d’insignificanza». La massima del filosofo Jacques Ellul campeggia in una delle pagine in bianco e nero del rivoluzionario “Manifesto XXI – Un altro giornalismo è possibile”, un pamphlet apparso alcune settimane fa nei chioschi e nelle librerie parigine assieme alla famosa rivista XXI. Il curioso e rivoluzionario libello – che pure nella composizione editoriale ricorda gli incendiari pamphlet dei Lumi contro l’oscurantismo catto-clericale dell’ancien régime – sta facendo molto discutere in Francia perché punta l’accento su quella che è divenuta oramai una nota dolente: la crisi della carta stampata e la contemporanea rivoluzione digitale che ha trasformato e messo in crisi il mestiere del giornalista. In pochi decenni infatti la rivoluzione digitale ha trasformato il vecchio e fedele lettore in avido (ed infedele) consumatore di notizie fast-food.

Fame di notizie usa e getta. Dal 1980 al 2008, spiega il Manifesto, il nostro consumo d’informazione è aumentato del 350%. Un altro dato fornito qualche tempo fa dal New York Times giunge a corroborare questa tesi: un americano medio assorbe circa 100.000 parole al giorno. Insomma, il flusso d’informazioni pare inarrestabile e si moltiplica a dismisura sui diversi social network sui quali oramai abbiamo traslocato un po’ tutti per lenire questa fame insaziabile di notizie usa e getta.

Online BreakthroughsSi va inoltre verso connessioni sempre più rapide e l’ultra-connessione vuol dire anche l’ultra-informazione. Insomma, traslocando sul web il giornalismo non ha solo cambiato di supporto, si è semplicemente trasformato in un altro tipo di medium. Qui non esiste più il principio della coerenza: gli internauti, riottosi e lunatici, viaggiano trasversalmente da youtube a facebook, da instagram a twitter seguendo spesso più lo stream of consciousness (o oscure connessioni astrali) che un filo coerente degli argomenti. La classica frontiera tra giornalisti e cittadini, tra esperti e testimoni viene a mancare. Tutti parlano di tutto, il citizen journalism (brutta parolaccia) diventa il presupposto per fare “caciara online”, l’importante è che il topic o l’hashtag faccia tendenza. La parola-chiave è oramai traffico dunque il pezzo viene immediatamente sanzionato o osannato dai lettori attraverso il numero di click (o dei “mi piace” su facebook). Ed è la dittatura del click – e della connessa pubblicità che fa guadagnare soldoni – a farla da padrone.

Dipendere solo dai lettori. Ma allora ci si può legittimamente chiedere: un giornalismo senza pubblicità e soprattutto di qualità è ancora possibile? Secondo il Manifesto sì, dato che ci sono giornali che dipendono per l’80% o addirittura per il 100% dai soli lettori. Tra gli esempi si citano il quotidiano online francese Mediapart, Courrier International e anche il nostro Internazionale, che, si fa notare, pure accettando introiti pubblicitari non ha un modello basato sulla pubblicità. Ma per fare una stampa di valore che non sia legata esclusivamente agli introiti pubblicitari occorre fare anche una stampa per i lettori – un certo tipo di lettori – una stampa che non ceda alla dittatura del click, del banner e della pubblicità. Insomma una stampa post-Internet. Già, ma come?

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Il modello spagnolo: InfoLibre. Un modello in realtà già c’è. Quello d’InfoLibre in Spagna, connesso al naufragio del quotidiano spagnolo Público (che a noi italiani ricorda il lugubre e breve destino di ‘Pubblico’). Lanciato in pompa magna nel 2003 da una costola di El Pais, Público affondò con tutto il suo carico di 160 giornalisti il 24 febbraio scorso tra i bianchi flutti della peggiore crisi economica che si sia vista nel paese di Pedro Calderón de la Barca (il quale, per inciso, non poteva immaginare nel lontano 1635 che la vita nel 2012 non sarebbe stata sueño nemmeno per i suoi colleghi postmoderni, i manovali dell’informazione). Di quel quotidiano capitanato con coraggio e passione politica dal Maraña fino all’epilogo del 2012 oggi resta solo una versione online e tanti transfughi in giro per la rete.

Quella che è stata una delle più belle avventure militanti dello zapaterismo editoriale – il sogno di un foglio che s’occupava di sanità pubblica, di problemi che attanagliavano i cittadini, un quotidiano che denunciava senza remore sprecopoli, corruzione, nepotismi e che trattava argomenti legati alla “cosa pubblica”, un giornale a 50 centesimi, fatto per tutti – si è scontrato con la dura realtà dei fatti e ha dovuto chiudere i battenti gettando sul lastrico tanti bravi giornalisti. Gli scampati al disastro sono confluiti chi in MásPúblico, chi in Eldiario.es, chi in esmateria.com tanto da aver fatto dire a diversi specialisti dei media in Spagna che dalla carcassa di Público si è sviluppata una vera e propria “cantera” di talenti e d’iniziative editoriali. Insomma anche i giornali seguono le leggi cicliche della Natura e la morte di un cetaceo o di un grosso mammifero ha almeno permesso ad altri piccoli organismi viventi di sopravvivere. Così, nel mondo feroce dell’editoria, i giornali devono sottostare ad altre logiche (d’ordine politico od economico) o semplicemente accettare d’essere inghiottiti da pescecani più grossi o più scaltri.

Azionariato in mano alla redazione. Allora Jesús Maraña, da buon capitano di ventura, ha deciso, con l’ausilio di altri giornalisti proveniente da Pùblico, El Pais e RTVE, di lanciare nelle prossime settimane (la notizia è stata pubblicizzata già a dicembre su Twitter e Facebook), InfoLibre un nuovo quotidiano digitale con supplemento cartaceo mensile (Tinta Libre) che s’autodefinisce “indipendente, tanto dal potere politico come da quello economico e dalle imprese”. La chiave di volta di questa svolta editoriale è un concetto chiaro: azionariato in mano alla redazione. Il gruppo di giornalisti entrati a far parte della redazione avrà infatti quote maggioritarie di azioni della società editrice e in tal modo potrà assicurare che «i criteri dell’informazione prevarranno su altri criteri, politici o economici». Ovviamente ci sono anche altri attori: la casa editrice indipendente Edhasa (nella persona del suo direttore Daniel Fernández), il pubblico abbonato ovvero coloro che pagano per leggere le notizie (ma ci sono anche notizie accessibili a tutti) e infine gli introiti, trasparenti, solo in parte dovuti alla pubblicità. La linea editoriale che si profila è apertamente progressista. InfoLibre tratterà temi legati ai diritti umani e civili ma avrà anche un taglio internazionale. Sarà questa la nuova frontiera per i giornali e per i giornalisti ovvero un azionariato collettivo maggioritariamente in mano alle redazioni?

Edwy Plenel

Edwy Plenel

Giornalismo collaborativo. Il punto di riferimento per InfoLibre resta il quotidiano online francese Mediapart che, tra l’altro, possiede il 10% d’InfoLibre e siederà nel suo consiglio d’amministrazione. Il quotidiano digitale diretto dall’ex direttore di Le Monde Edwy Plenel ha lanciato qualche anno fa l’esperimento di un giornalismo “partecipativo” o “collaborativo” il quale prevede una zona di contenuti riservata ai soci (che scrivono, interagiscono e commentano articoli) e un’altra in libero accesso, aperta a tutti. Negli anni Mediapart è diventato un punto di riferimento del giornalismo “corsaro” mettendo le inchieste e in generale la “cosa pubblica” al centro del suo progetto editoriale e appoggiandosi finanziariamente su questa singolare formula: un mix di azionariato in mano ai giornalisti, di abbonamenti di lettori fedeli e in minima parte d’introiti pubblicitari. Plenel, che è visto oramai come un pionere in materia, ha capito in fondo che la stampa non è riuscita ancora a sfruttare a pieno le potenzialità della rivoluzione digitale.

Abbonamenti a 9 euro al mese. Di fronte al flusso inarrestabile di notizie l’informazione non deve essere immediata bensì “mediata”. Occorre dunque discutere, filtrare, mediare per produrre un’informazione di qualità; non correre dietro alle notizie che proliferano come funghi (spesso velenosi). Ma soprattutto un’informazione di qualità non può essere gratuita. InfoLibre infatti avrà una formula simile a quella di Mediapart (abbonamento intorno ai 9 euro al mese) con una parte di contenuti accessibile gratuitamente. Con questa formula Mediapart è riuscita a costruirsi in pochi anni una base di 60.000 abbonati fissi e nel 2011 ha registrato un utile netto dell’ordine di 570.000 euro.

Jesús Maraña

Jesús Maraña

La ragione di questa svolta l’ha spiegata a Linkiesta il direttore d’InfoLibre Maraña: da un lato la crisi finanziaria ha fatto precipitare il modello d’impresa editoriale basato su un accentramento progressivo dei media in mano a poche mani e dall’altro la rivoluzione digitale ha fatto il resto, ovvero ha spazzato via i modelli economici della stampa tradizionale. Ma la contraddizione, spiega Maraña, è che i poteri economici controllano direttamente l’informazione dato che sono quasi sempre loro gli azionisti di maggioranza. Per questa ragione la stampa ha solo una parvenza d’indipendenza ma non lo è nei fatti.

Del resto il naufragio di Público lo dimostra. Perché a quest’evento drammatico per la stampa spagnola seguivano i barcollamenti di El Pais, il più importante quotidiano spagnolo, che nell’ottobre scorso ha dato il benservito a ben 129 giornalisti (quasi un terzo dello staff editoriale) mentre coloro che sono riusciti a restare in sella si sono visti lo stipendio decurtato del 15%.

Errori finanziari della società. Ma più che alla crisi generalizzata della stampa – paventata dal direttore Juan Luis Cebrian con parole che sembravano ricalcare lo stile rassegnato e austero di un donchisciottesco Mariano Rajoy – il licenziamento di un tale numero di giornalisti sembrava più dovuto agli errori della società che controlla il quotidiano, Prisa, che voleva liberarsi a qualunque prezzo del fardello di 4,6 miliardi di debiti dovuti a certe avventure finanzarie (tra cui un’Opa su un canale televisivo a pagamento, Sogecable, che ha aperto una voragine tra i suoi debiti) e ha approfittato delle riforme del mercato del lavoro volute da Rajoy per mandare a casa manovali dell’informazione con annesse famiglie e stuoli di collaboratori, fotografi, poligrafici etc.

Gli uni licenziati, gli altri (manager) arricchiti. Parallelamente, però, ai vertici salivano personaggi del mondo della finanza e delle banche e, mentre si licenziava a destra e a manca, quest’ultimi se ne uscivano paradossalmente arricchiti con bonus e benefit. Un esempio su tutti: mentre la ricapitalizzata Prisa accusava perdite dell’ordine di 450 milioni di euro e sopprimeva il 18% dei suo effettivi chiudendo le sue attività in Spagna, Portogallo e America Latina, il suo presidente e direttore tuttofare si metteva in tasca un bonus tra gli 11 e i 13 milioni di euro! Alla faccia della crisi. Non un’ironia della sorte ma una precisa strategia di guadagno, come denunciarono all’epoca diverse sottili penne d’El Pais (frattanto spennate).

Una svolta nei modelli economici. In realtà, una svolta nei modelli economici è necessaria in quanto la situazione della stampa in Spagna (e altrove in Europa) è estremamente drammatica. Secondo le stime della Federazione della Stampa Spagnola (FAPE) dal 2008 oltre 8.800 giornalisti sono stati licenziati. Nel solo 2012 i media che hanno chiuso i battenti sono stati 70 e i giornalisti rispediti a casa 3.879. Oggi in Spagna ci sono almeno 10.000 giornalisti disoccupati. Numeri da epidemia. Di fronte a una crisi che sembra non arrestarsi e di fronte al saccheggio continuo di ciò che resta di giornali e media, una risposta decisa può essere allora quella di una sorta d’autosufficienza finanziaria dei giornali, un’indipendenza economica e dunque editoriale che porrebbe le basi per l’instaurazione di un rapporto di fiducia tra giornalisti e lettori.

Confrontati al flusso di notizie spazzatura e contemporaneamente al diktat dei poteri forti, un’informazione di qualità e al tempo stesso indipendente non incontrerebbe invece il favore di una certa opinione pubblica, quella più stanca dell’informazione usa e getta? Giornalisti a schiena dritta. L’idea di un’informazione libera e indipendente che faccia inoltre da contraltare ai governi e ai poteri forti può allora passare anche attraverso formule di azionariato collettivo in cui i giornalisti abbiano voce in capitolo, in cui siano essi stessi a dettare la linea editoriale. In un mondo ovattato i giornalisti dovrebbero avere la schiena dritta.

Il problema è che nella maggioranza dei casi questa è, per forza di cose, piegata a 90 gradi. Di fronte al desolante spettacolo di marionette e pennaioli in mano al potente di turno non sarebbe salutare vedere qualche esempio di sano e indipendente giornalismo?

* Fonte: www.linkiesta.it, 3 febbraio 2013. Linkiesta.it è un giornale online di inchieste e approfondimenti su temi economici, politici e sociali. Quest’anno festeggia il quinto anno di vita.