fondi-europei-2014-2020Dei tanti, preoccupanti dati affiorati oggi, lunedì 30 dicembre 2013, dalla XVI indagine Demos per Repubblica (crolla la fiducia nei partiti e nelle istituzioni, persino nel Presidente della Repubblica) c’è uno in particolare che colpisce il curatore di Giannella Channel, che auspica da sempre più Europa virtuosa in Italia e più Italia efficiente in Europa. Si tratta del calo di fiducia (-11,2%) degli italiani nei confronti dell’Unione Europea: Unione che evidentemente non piace più a due italiani su tre.

Questo calo di fiducia arriva in coincidenza con un altro numero, da altra fonte: al 31 dicembre 2013, giorno di chiusura del ciclo settennale 2007-2013, dei 45 miliardi di euro destinati dall’Unione Europea all’Italia (come ci ha ricordato con quotidianità assillante l’orologio alla rovescia di Giannella Channel), siamo riusciti a utilizzarne meno della metà: più precisamente, il 52,7%, pari a 23 miliardi (dato al 31 dicembre 2013, fonte: ministero per la Coesione territoriale).

Qualche altro miliardo del settennato trascorso lo recupereremo in extremis: il ministro per la Coesione Carlo Trigilia ha presentato in Consiglio dei ministri, il 27 dicembre, una manovra per recuperare altri 6 miliardi di fondi UE, consentendo così di ridurre i rischi di perdita delle risorse europee (la cui spesa va certificata entro il 31 dicembre 2015).

La destinazione dei 6 miliardi recuperati è stata precisata dal ministro Maurizio Lupi (Infrastrutture e Trasporti) al cronista del Corriere della Sera e sul suo sito mauriziolupi.it: “Cantieri nuovi e da completare, scuole, Piano Città e progetto 6.000 campanili, cioè piccole opere nei Comuni sotto i 5.000 abitanti”.
La persistente incapacità di utilizzare a pieno i fondi UE, pur essendo aumentato il prelievo rispetto ai precedenti settennati, fa ricordare la “sensazione sgradevole” di Carlo Azeglio Ciampi che provava quando a Bruxelles, da ministro del Tesoro, si sentiva dire che fra i Paesi europei l’Italia era quello “più indietro nell’uso dei fondi comunitari” (amara confessione pubblica di Ciampi a Nuoro il 10 ottobre 2000).

Questo dato va unito alla triste constatazione della scarsissima partecipazione dei nostri parlamentari in Europa, che fa posizionare l’Italia al sestultimo posto tra i 28 Paesi membri con l’82% di presenze, a quasi dieci punti percentuali dagli eurodeputati austriaci che guidano la classifica (per non parlare dei singoli casi, come il calabrese Gino Trematerra, Udc, ultimo nella classifica individuale con il 35% di presenze alle votazioni).
Il che fa capire come, più che “gli italiani perdono fiducia nell’Europa”, il sondaggio dovrebbe essere così riorientato: In Europa l’Italia pigra e disattenta perde da sempre battaglie per l’assenteismo dei suoi delegati, l’Europa perde la fiducia negli italiani che si dimostrano più attaccati al loro orticello casalingo che alle sfide del continente consentendo così insultanti sprechi di denaro riservato alle loro terre assetate di progetti e di soldi. Sulle cause si è discusso a lungo. Spesso si tira in ballo la scarsa (o scarsissima) capacità progettuale delle amministrazioni locali o centrali. Ma non c’è dubbio che ci sia anche il concorso dell’indolenza burocratica e di una miopia della politica.
Voltiamo pagina, occhio al nuovo orologio. Per l’ennesima volta, proviamo a voltare pagina, facciamola finita con le opere incompiute e mettiamoci d’impegno per usare i soldi del prossimo settennato (come ci ricorderà da ora in poi l’aggiornato orologio di Giannella Channel). Perché, come ricordò Ciampi a Nuoro, “ognuno è artefice del proprio destino”.

Con il 1° gennaio 2014 parte il nuovo ciclo dei fondi europei 2014-2020. L’Italia beneficerà di un totale di risorse comunitarie pari a 32 miliardi e 268 milioni di euro, di cui 7.695 milioni per le regioni più sviluppate (nel documento ufficiale di programmazione sono così elencate: Val d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio); 1.102 milioni per le regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna); e 22.334 milioni per le regioni meno sviluppate (Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata). Alla quota comunitaria, ci ricorda il ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia, si aggiungerà il cofinanziamento nazionale a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183 del 1987, preventivato nel d.d.l. per la formazione del bilancio annuale (Legge di stabilità per il 2014) nella misura di 24 miliardi di euro, nonché la quota di cofinanziamento di fonte regionale a destinare ai POR (quantificabile in una cifra pari al 30% del cofinanziamento complessivo del programma).
Il cofinanziamento consentirà, in pratica, di raddoppiare il volume di risorse assegnato dalla Commissione europea.

Alle risorse sopra accennate si aggiungeranno anche quelle del Fondo Sviluppo e Coesione, il cui rifinanziamento per il periodo 2014-2020 è previsto nel disegno di legge di Stabilità per il 2014 per un importo complessivo, nel settennio di programmazione, di circa 54 miliardi di euro. Il Fondo opererà per investimenti pubblici destinando l’80% delle risorse alle regioni del Centro-Sud e il 20% del Centro-Nord.

Nel complesso il volume di risorse per la Coesione territoriale nel prossimo ciclo 2014-2020 toccherà la quota di 117 miliardi di euro.
A tutt’Italia. “L’uso più efficiente e più efficace dei fondi del prossimo ciclo deve contribuire a superare la crisi più pesante che ha investito la nostra Italia dal secondo dopoguerra e che ha aggravato i problemi di coesione territoriale: il tradizionale divario economico e sociale tra Nord e Sud si è allargato”, sostiene il ministro Trigilia in una proposta che diamo qui di seguito.

Giannella Channel conferma l’impegno a seguire con studiosa attenzione gli sforzi progettuali tesi a togliere i soldi giacenti nel cassetto dell’Europa, preziosa acqua potabile oggi sprecata ma essenziale per far tornare a rifiorire i giardini di tutt’Italia. A tutt’Italia.

Salvatore Giannella

A PROPOSITO

Una strategia per vincere la crisi italiana,

grazie anche all’Europa.

Parola di Carlo Trigilia,

ministro per la Coesione territoriale

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Carlo Trigilia (Siracusa, 1951) è un sociologo e politico italiano, docente universitario e ministro per la Coesione territoriale nel Governo Letta.

“La particolare gravità della crisi italiana discende dal fatto che essa è frutto non solo delle tensioni internazionali, ma ha origini in debolezze interne che si sono accumulate nel tempo, specie negli ultimi 15 anni. E’ necessaria una valutazione strategica che deve partire dall’analisi delle sfide alle quali sono sottoposte le diverse aree del Paese e dalla considerazione delle risorse su cui è più opportuno puntare. Perché soffriamo. Nelle aree più sviluppate del Centro Nord il sistema produttivo ha sofferto da un lato della maggiore concorrenza internazionale legata alla globalizzazione e dall’altro del venir meno della leva del cambio con l’adozione dell’euro. La combinazione tra questi due fenomeni ha aggravato un quadro già segnato dalla incapacità di affrontare inefficienze di lunga data nel campo dei servizi pubblici e privati e dalla crescente pressione fiscale legata all’elevato debito pubblico.

Ciò non ha impedito a segmenti significativi della struttura produttiva (soprattutto le medie imprese del made in Italy) di reagire alla prolungata fase recessiva e al calo della domanda interna avviando strategie di riorganizzazione e di innovazione con una forte propensione alle esportazioni. Queste strategie vanno dunque rafforzate e ampliate con il sostegno della politica territoriale, che deve assumersi il compito di promuovere l’innovazione e l’internazionalizzazione secondo due sentieri complementari: da un lato, la modernizzazione del made in Italy attraverso la crescita di innovazione che sposti i vantaggi competitivi sulla qualità più che sui costi; e dall’altro, la crescita di settori ad alta tecnologia legati alle conoscenze specializzate presenti nelle università e nelle strutture di ricerche, sostenendo anche in questo caso nuove attività meno esposte alla concorrenza di costo dei Paesi emergenti. Nel Sud il binomio cult & colt (cultura e colture). Nelle aree tradizionalmente meno sviluppate del Mezzogiorno l’accrescersi della competizione internazionale, l’impossibilità di svalutare, l’elevata pressione fiscale, si sono combinate con una inefficienza dei servizi e del contesto istituzionale in genere ben più grave che in altre regioni. Questi fattori hanno dunque colpito ancor più duramente un’economia già fragile, segnata dal minore sviluppo di attività aperte al mercato e capaci di esportare, e in particolare hanno messo in crisi quei settori del made in Italy tardivamente avviatisi nell’area e ancora più legati a una competizione di costo che nel Centro-Nord.

Nelle regioni del Mezzogiorno non si tratta dunque solo di rafforzare innovazione e internazionalizzazione sostenendo processi già in corso, occorre far crescere le attività produttive e le imprese capaci di stare sul mercato per attivare uno sviluppo autonomo e sostenibile. In questa prospettiva, particolare attenzione va anche dedicata alla possibilità di cogliere in modo più estensivo vantaggi comparati rilevanti in settori di lunga specializzazione e spesso trascurati, come l’agricoltura e l’agroindustria. Altrettanto impegno merita inoltre il settore dei beni culturali e ambientali, che ha una dotazione particolarmente ricca anche nel confronto con le regioni più sviluppate, ma non è riuscito finora a esprimere attività imprenditoriali capaci di accrescere significativamente la fruizione. Così come maggior cura richiedono le opportunità offerte dalle università meridionali, pur con le loro debolezze, al fine di rafforzare attività produttive già esistenti, sia nell’agricoltura che nell’industria, e di promuovere nuove attività innovative.

Insomma, nelle regioni meno sviluppate del Mezzogiorno la politica di sviluppo territoriale, oltre a consolidare e sostenere il sistema delle imprese, deve agire da stimolo all’ampliamento di altri segmenti produttivi più innovativi, capaci di sfruttare le opportunità che si aprono a livello della domanda internazionale per produzioni specializzate e di qualità e per il turismo legato ai beni culturali e ambientali.

E’ dunque alla luce dei fattori sopra richiamati che si devono leggere le difficoltà serie dell’economia italiana e l’acuirsi negli ultimi anni dei problemi di coesione territoriale, ma anche le potenzialità su cui agire. Fattori di crisi, processi di riaggiustamento in corso e potenzialità esistenti orientano la scelta degli obiettivi su cui concentrare gli sforzi nell’allocazione dei fondi europei. Da qui discende il bisogno di una forte concentrazione delle risorse europee che integri l’orientamento antirecessivo, oggi più che mai necessario per sostenere la domanda e l’occupazione, con pochi obiettivi strategici di tipo strutturale: internazionalizzazione, digitalizzazione, innovazione, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, qualità dell’istruzione e del capitale umano, lotta alla povertà.

Agli interventi cofinanziati con i fondi strutturali si affiancheranno anche quelli a valere sulle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC). Il FSC, com’è noto, è uno strumento nazionale finalizzato a promuovere la coesione territoriale, attraverso investimenti nelle grandi reti infrastrutturali, materiali e immateriali. Questo fondo, inoltre, per la sua maggiore flessibilità nella gestione dei tempi, si presta meglio a sostenere gli investimenti infrastrutturali considerati prioritari nel prossimo periodo di programmazione… Un’importante innovazione per il nuovo ciclo sarà pertanto costituita dal ricorso prevalente a questo strumento per la realizzazione di grandi reti infrastrutturali (ferroviarie, stradali, aeroportuali e portuali)., per investimenti pubblici nel campo della prevenzione dei rischi ambientali e per il completamento e miglioramento della rete digitale (banda larga e ultra-larga)”.