Approda nella prestigiosa rubrica del Corriere.it “Voci dal vicino Oriente”, curata dall’editorialista del Corriere della Sera Antonio Ferrari (per oltre trent’anni inviato per la sezione Esteri del quotidiano milanese) la storia del ministro norvegese Johan Holst, infaticabile mediatore della pace tra israeliani e palestinesi, ucciso un anno dopo l’accordo di Oslo, a 57 anni, dallo stress per quella fatica immensa.

Holst l’avevo incontrato vent’anni fa a Rimini, durante le Giornate internazionali di studio organizzate annualmente dal Centro Pio Manzù, e mi aveva raccontato i retroscena, anche personali, di quell’accordo. Particolari che avevo riversdato su Giannella Channel nel ricordo dal titolo L’attualità della memoria: Johan Holst, “l’angelo della pace” che pagò con la vita lo sforzo per pacificare il Medio Oriente.

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Rimini, 1993: Edward, 4 anni, arriva con il padre,
il ministro norvegese Johan Holst, all’incontro
con il cronista Salvatore Giannella. Oggi Edward
è presidente della sezione norvegese di Amnesty International.

Devo a Ferrari, nell’introduzione della sua videorubrica, una generosa citazione del mio lavoro (link al video).

E ricambio l’attenzione con la trascrizione integrale del suo testo:

Johan Holst, ucciso per la pace

Testo della videorubrica di Antonio Ferrari, da Corriere.it, il giornale on line del Corriere della Sera, 2 dicembre 2013

A Rimini gli organizzatori delle annuali Giornate di studio del Centro internazionale Pio Manzù vent’anni dopo li ricordano ancora. Ricordano quel signore alto, distinto e gentile e il suo vivace figlioletto di quattro anni, che portava una cascata di capelli biondi da farlo somigliare all’angelo di un’icona religiosa. Allora erano vezzeggiati entrambi, come ricorda un testimone di quell’incontro, il bravissimo collega Salvatore Giannella che Paulo Coelho ha definito “cronista della luce”. Ora però sono stati quasi dimenticati. Eppure, se abbiamo avuto una vera, seppur (ahinoi) effimera, o quantomeno limitata nel tempo, parentesi di pace tra israeliani e palestinesi, lo dobbiamo proprio a quel signore distinto, Johan Jorgen Holst, più volte ministro norvegese (Esteri e Difesa), e persino al suo innocente figlioletto, che fu candidato come il padre al Nobel per la pace.

E’ una bellissima storia, una storia che provoca un moto di commozione in chi ama la vita e ama gli altri. Del signor Holst anche noi assidui frequentatori del Medio Oriente, sapevamo poco. Era quasi un nome misterioso, da pronunciare con cautela. Il perché lo abbiamo capito dopo, ed è un bene che sia stato così.

Nel 1992 a Londra vi fu un incontro importante fra un israeliano e un palestinese, evento difficile proprio per le difficoltà che gli israeliani avevano a incontrare esponenti dell’Olp di Yasser Arafat. Eppure quell’incontro era stato voluto proprio da Johan Holst. Ci pensava da mesi e ne studiava gli sviluppi assieme alla moglie Marianne che era impegnata in tante iniziative di pace. La seconda tappa fu Zagabria: israeliani e palestinesi erano sempre più vicini.

A quel punto Holst propose di trasferire i due team di negoziatori, fino ad allora inconcludenti, in una foresta norvegese non lontana da Oslo dove il ministro aveva la villa di famiglia: insomma, la casa delle vacanze e del riposo. Il padrone di casa pensò a tutto, dal tenere accesa la fiamma del caminetto al cibo migliore e alle bevande più stuzzicanti. Pose una sola condizione: la più assoluta discrezione. Holst sapeva bene che anche la più piccola fuga di notizie avrebbe compromesso quello sforzo titanico.

Quando capiva che la discussione si stava arenando e che gli emotivi negoziatori mediterranei cominciavano a litigare su un dettaglio quasi insignificante, Holst faceva entrare il suo bimbo biondo, il piccolo Edward, con un pallone. Il bimbo inseguiva il pallone e i negoziatori lo trattavano con grande tenerezza, prendendolo sulle ginocchia, accarezzandogli i capelli e addolcendo le loro pretese negoziali. A quel punto il padre, vedendo che israeliani e palestinesi si stavano rilassando, accentuava l’importanza del momento con un monito quasi scherzoso: “Vedete”, diceva, “le nuove generazioni aspettano soluzioni, non chiacchiere inconcludenti”.

E’ stato lassù, nel gelo norvegese, che le tensioni si sono raffreddate. Nel gelo, infatti, è nata una rosa e alla fine, dopo quattordici settimane di trattative, si è arrivati nell’agosto inoltrato del 1993, alla firma degli accordi di Oslo. Ed è stato allora, e solo allora, che gli artefici politici di una volontà che la determinazione di Johan Holst aveva reso possibile, sono venuti allo scoperto. Da una parte il primo ministro israeliano Isaac Rabin e l’instancabile Shimon Peres, dall’altra Yasser Arafat. Alla cerimonia del 13 settembre, nel Giardino delle rose della Casa Bianca, abbracciati idealmente da un raggiante Bill Clinton, Rabin e Arafat si sono stretti la mano. C’era anche Holst, che raccoglieva ringraziamenti mentre i politici calamitavano tutti gli onori.

A Rimini Holst fu premiato per il suo sforzo e la sua perseveranza. Uno sforzo che il mediatore avrebbe dovuto modulare per non aggravare qualche problema legato alla sua salute. Ma il desiderio di arrivare al risultato era troppo forte.

L’anno dopo, 1994, il ministro norvegese è stato colpito da un ictus. E’ morto a 57 anni, ucciso dallo stress per la pace e forse dal destino di dover stare sempre nell’ombra, defilato.

Edward, che è uno dei suoi cinque figli, ora ha ventiquattro anni. Durante l’ultima guerra di Gaza voleva sapere se il giardino dedicato a suo padre nella Striscia, fosse stato risparmiato. Non so se abbiano avuto il coraggio di dirgli che anche quel simbolo di pace e di speranza era stato colpito.

Antonio Ferrari
per Corriere.it