CENTENARI DI GRANDI ITALIANI: PUCCINI, L'AMORE EGOISTA E LA VERITA' DI ELVIRA. QUANDO IL GENIALE COMPOSITORE LUCCHESE SCOPRI' DI AVERE L'INFERNO IN GOLA
introduzione di Salvatore Giannella -
testo di Isabella Brega*
Incontro Giacomo Puccini nei luoghi e nei siti più impensati. Vado allo spettacolo “Libere sempre“, firmato da Martesana InCanto Ensemble e organizzato dalla Cooperativa La Speranza a Cassina de’ Pecchi in occasione del 79° anniversario della Liberazione, e il coro polifonico intona tra gli altri, in modo suggestivo, un brano tratto da Madama Butterfly, l’opera pucciniana in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dedicata alla regina d’Italia Elena di Montenegro.
Un lettore e amico da Pavia mi manda il link al popolare sito Dagospia che annuncia uno scoop: un brano inedito di Puccini sarà eseguito per la prima volta al Lucca Classic Music Festival il prossimo 28 aprile: s’intitola “I figli dell’Italia bella – Cessato il suo dell’armi” e fu composto da un giovane Puccini : era rimasto a lungo “nascosto e ora riportato alla luce nella sua integrità grazie al Centro Studi Puccini.
E alla riunione di Neos (l’associazione dei giornalisti di viaggio) incontro la brava collega Isabella Brega che, in occasione del centenario della scomparsa di Puccini (ecco il motivo della fioritura d’interesse intorno al geniale compositore lucchese) ha pubblicato la nuova edizione, riveduta e ampliata con un itinerario nei luoghi pucciniani, del libro Puccini e l’amore egoista. La verità di Elvira (Albeggi Edizioni).
La copertina del libro di Isabella Brega, editore Albeggi, 240 pagine, acquistabile via Internet: https://www.hoepli.it/libro/la-verita-di-elvira-puccini-e-l-amore-egoista-ediz-ampliata/9788898795758.html
Fra vita reale e vita teatrale, una sequenza di volti, voci, sentimenti, gioie e dolori svelata dalle quasi diecimila lettere conosciute del Maestro, di cui 1.500 pubblicate. Solo una piccola parte delle circa 20 mila che si stima egli abbia scritto dal 1877 alla morte nel 1924.
Puccini, uomo e artista, è ancora un mistero affascinante e per alcuni versi insondabile. Su di lui, musicista tra i più ricchi e popolari, è stato scritto tanto. Tantissimo. Si è osannato l’artista. Sezionato, analizzato e talvolta persino condannato l’uomo, come mai è stato fatto per altri musicisti. L’originalità del progetto è proprio nel mettere pace tra la personalità dell’artista e quella dell’uomo. E uomo, prima di tutto e sempre, con le sue miserie e le sue grandezze, fu Puccini. Uomo di ieri come del nostro tempo, fragile, insicuro, a tratti depresso. Moderno anche per quelle sue passioni così forti e vitali: le donne, le armi, le macchine, il fumo, i soldi, il successo. Virile nella caccia, scopo della vita insieme alla musica, e virile nella sua passione per le donne. Un uomo complesso, non sempre all’altezza del grande compositore. Ma è quel fondo di verità, di umanità sofferente e autentica, fatta di grandi passioni in piccoli cuori comuni, che ha fatto grande la sua musica. Il Puccini musicista è sicuramente superiore all’uomo Puccini, con tutte le sue contraddizioni, le sue piccinerie e i suoi egoismi. Giacomo non sempre esce bene nei libri. Divisi fra l’agiografia tardo ottocentesca e lo scandalismo irriverente del Novecento, fra l’esaltazione del musicista e la condanna della persona. Spesso con la tentazione di scusare l’uomo in virtù̀ del grande artista o di esaltare l’artista ignorando i suoi limiti di uomo.
L’universo di Giacomo è femminile: la madre tanto amata, le sette sorelle dai nomi impossibili, l’energica, passionale e autoritaria moglie Elvira. Ma anche le amanti, vere o presunte, le confidenti, le nipoti. Un vero e proprio gineceo di cui per tutta la vita Puccini fu circondato e di cui amò circondarsi. Un porto accogliente, un nido sereno o tormentato, felice o infelice, ispirato o ispiratore, l’unico in grado di alimentare genio e creatività, indagine psicologica e freschezza musicale. All’universo femminile di Puccini appartengono anche le sue protagoniste musicali: la coraggiosa e determinata Tosca, la fragile ma volitiva Mimì, la distruttiva e autodistruttiva Manon, l’ingenua Butterfly, l’algida e feroce Turandot, la mite e infelice Liù. Se è pur vero che nell’opera lirica le eroine hanno spesso la rilevanza del protagonista, in Puccini assurgono a vero e proprio fulcro drammatico e drammaturgico. Donne dotate di grande personalità̀, capacità di introspezione, profondità̀ psicologica, soprattutto se paragonate ai personaggi maschili, certamente più̀ rigidi e monocordi, spesso incapaci di evolversi emotivamente. Puccini ha regalato ai soprani e ai contralti alcune fra le più belle, e difficili, arie del panorama operistico. E alle sue eroine un’anima. Nessuno come lui ha saputo raccontare le tensioni, i travagli, le sfumature e le mille sfaccettature dell’universo femminile.
Il fondo dell’anima di Puccini sarà per tutta la vita preda di qualcosa di indefinito, una malinconia, un groviglio inestricabile e inesplicabile di emozione e di noia, di sofferenze e di rimpianti. In ogni caso lui non può̀ e non deve essere scisso dall’artista e ha il diritto di essere protetto, anche da quello che non è stato o non ha saputo essere. È tempo di dare tregua all’uomo. E celebrare l’artista.
Dal libro di Isabella Brega estraggo l’emozionante brano centrale di uno degli ultimi capitoli: “Ho l’inferno in gola“. (s.g.)
Elvira Bonturi, di Lucca, fu la compagna di Puccini.Si conobbero nel 1885. Per seguire Giacomo lasciò il marito, Narciso Gemignani, ricco commerciante lucchese dal quale aveva avuto due figli, Fosca e Renato. Elvira portò con sé la figlia Fosca, lasciando al marito il piccolo Renato.Dalla relazione con Puccini nacque Tonio. Puccini la sposò nel 1904, dopo un anno dalla morte del marito di Elvira, e vissero insieme altri vent’anni fino alla scomparsa del compositore, nel 1924. Elvira morì a Milano sei anni dopo, nel 1930, a 70 anni.
1924, Elvira
L’ho capito subito. Ho capito che era finita, ma non ho voluto, non potevo crederci. I tuoi mal di gola che non passavano mai, le cure alle terme, le visite, i rimedi suggeriti da parenti e amici. Nulla di grave, dicevano i medici. Non è nulla, ti ripetevamo io e i figli, ben conoscendo il tuo terrore per le malattie. Nulla, ma il mal di gola era sempre lì. Implacabile. Fingevamo tutti. A questa frase rassicurante alla fine non credevamo più neanche noi. E forse neppure tu. Tanto che a un certo punto la tua spavalderia, quella che ti faceva fumare ancora come nulla fosse, ti ha abbandonato. Senza dire niente sei andato a Firenze dal dottor Torrigiani, che ha diagnosticato un papilloma sotto l’epiglottide destra. Ne hai parlato con Tonio, che era già stato messo in allarme da Sybil, alla quale questi continui mal di gola sembravano troppo strani. È vero che qualche anno prima, durante un giro con alcuni amici in macchina, in Germania un osso d’oca ti si era conficcato nella gola. Era stato necessario chiamare un medico per estrarlo, ma questo fatto non giustificava il continuo malessere.
Una nuova visita, un consulto e la tremenda realtà è venuta a galla. Il nostro povero figlio ha dovuto sopportare da solo il peso della verità: cancro in stadio avanzato. Abbiamo deciso di affidarci alle cure sperimentali al radio del dottor Ledoux, all’Institut de la Couronne di Bruxelles.
Tra verità e finzione, la partenza. Ti confidavi con l’Adami, il librettista della Turandot, la tua ultima opera, quella che aveva seguito il Trittico, con Il tabarro, Gianni Schicchi, Suor Angelica: “Sono in un periodo tremendo. Questo mio mal di gola mi tormenta, ma più moralmente che per pena fisica. Andrò a Bruxelles da un celebre specialista. Partirò presto… Mi opererò? Mi si curerà, mi si condannerà? Così non posso più andare avanti”. A Schnabl scrivevi: “Vado con Tonio a Bruxelles, Elvira è troppo in tocchi per intraprendere un lungo viaggio. Che miseria! Turandot? Mah! Non averla finita quest’opera mi addolora. Guarirò? Potrò finirla in tempo?”
La tua opera incompiuta era il tuo più grande cruccio. La tua angoscia, il tuo tormento. La musica? Per te cosa inutile.
Non avendo un libretto, come potevi fare della musica? Come ripetevi spesso, avevi quel grande difetto di scriverla solamente quando i tuoi carnefici burattini si muovono sulla scena. Per settimane avevi blandito, supplicato, preteso dagli autori gli ultimi pezzi del libretto: “O voi che lavorate per me e che invece fate tutt’altro, chi dei film, chi delle commedie, chi poesia e non pensate come dovreste a ricordarvi di un uomo che ha la terra sotto i piedi e che si sente sfuggire ogni giorno, ogni ora il terreno come una frana che lo travolge!… Mi scrivete delle lettere tanto carine, incoraggianti… Ma se invece mi arrivasse un atto di questa Principessa di princisbecco, o non sarebbe meglio?… Mi ridareste la calma, la fiducia e la polvere sul pianoforte non si poserebbe più, tanto lo pesterei, e la scrivania avrebbe il suo bravo foglio a mille righe… O cittadini, pensate più sul serio a chi sta in campagna”.
Da subito avevi intuito l’urgenza di portare a termine quella che sentivi sarebbe stata la tua ultima opera. Ho fretta, tantissima fretta, ripetevi, sono un vecchio che vuole correre. Sono un vecchio maestro alle prese con un’opera che può uscire bellissima e straordinaria (e io ci credo molto), ma riuscire a farlo capire anche ai poeti che mi scrivono il libretto? Riuscirò a spiegare che cosa sia l’ansia e la paura di un vecchio?
E io? Certo ero “in tocchi”, avevo la bronchite ma in realtà ero terrorizzata e non mi facevo illusioni. Però non parlavo. Tutti avevamo intuito la verità eppure, pietosamente, continuavamo la commedia. Per te, per noi stessi. Bisognava partire. In fretta, il destino ti attendeva in Belgio.
Ero malata, è vero, il viaggio sarebbe stato lungo e faticoso. Ma non ti ho accompagnato di proposito. Il mio ultimo regalo d’amore, il più straziante, è stato quello di non venire con te. Avresti dovuto ammettere che era un affare serio. E non lo volevi. Come non lo volevo io. Quanto amore c’è voluto per lasciarti partire senza di me, ben sapendo di correre il rischio di non rivederti più. Il 26 ottobre sei tornato per l’ultima volta a Celle, la culla dei Puccini. Il 30 hai salutato il tuo lago, andando a caccia a Massaciuccoli. Il pomeriggio del 4 novembre – come potrò mai dimenticare quella data – dopo aver girato in silenzio tutta la casa, insieme a Fosca e al buon Raffaello, il caro marito di Ramelde, sul cancello della nostra casa di Torre del Lago, l’ultimo bacio. L’automobile non era ancora sparita dalla nostra vista e io cercavo già disperatamente di fissare nella mente il suono della tua voce, i tuoi gesti, il tuo volto che spariva nella polvere della strada. Ti accompagnavano il Tonio e il tuo fedele amico Marotti. Nella borsa avevi la partitura di Turandot e gli appunti dell’ultimo atto; nel cuore la speranza di salvarti. O almeno di salvare il finale della fiaba triste della principessa crudele.
Così non fu. Il viaggio fra dolore e paura. L’angoscia che montava alle notizie in arrivo da Bruxelles. I primi giorni in albergo, ancora con qualche traccia di normalità, il pranzo al ristorante, il cinema, la visita di Sybil, la Madama Butterfly vista a teatro, un giro al mercato, ma anche l’orrore dei fazzoletti intrisi di sangue vivo che sgorgava a boccate e che il Tonio, per risparmiarti la mortificazione delle chiacchiere del personale, lavava nel lavandino della camera dell’hotel.
L’inizio delle cure. Quanto dolore, fisico e morale! Non posso e non voglio neanche immaginarlo. Prima un collare di cera per le applicazioni esterne poi il 24 un’operazione di 3 ore e 40 minuti, con la morfina come unico anestetico, per paura che il cuore non reggesse. Un taglio di dieci centimetri in gola, una ferita aperta da cui uscivano sette aghi di platino irradiati che erano stati infissi nel tumore, grande come una noce, la canna nel naso per alimentarti. Quel corpo tanto amato così martoriato e umiliato. Nessuno doveva sapere, lo facesti promettere a tutti. Eri Giacomo, certo, ma eri ancora e soprattutto Puccini, il grande compositore. Fino alla fine il tuo privato doveva rimanere tale.
Arrivavano auguri da tutte le parti del mondo, telegrammi, fiori, ma tu eri solo in quella stanza. Solo con il tuo dolore atroce e la paura che ti stringeva il cuore. Solo con il tuo destino non facevi più domande, non protestavi per le cure, anche se spesso dicevi “Mi vien voglia di piangere”.
Io ero tornata a Milano, dove era più facile avere notizie, e Fosca poté così raggiungervi a Bruxelles, così come fecero anche l’amico Angiolino Magrini e Carlo Clausetti di Casa Ricordi. All’operazione seguirono cinque giorni di paura e preghiere, di ansia e angoscia. Tonio ti bagnava le labbra con lo champagne e ti passava i fogli coi quali, non potendo parlare, comunicavi con i medici e gli amici: “Mi pare di avere delle baionette in gola, mi hanno massacrato”.
Nonostante la pena e il dolore tutto sembrava procedere bene, a Magrini chiedevi se la Maremma era ancora bella e se si andava a caccia. “Puccini en sortira” diceva il professor Ledoux, i medici erano ottimisti e così il Tonio e la Fosca, che non ti avevano mai lasciato solo, avvicendandosi giorno e notte al tuo capezzale, e che nelle lettere ti descrivevano buono, coraggioso e remissivo.
Poi improvvisamente il tuo cuore diede segni di affaticamento. Una crisi cardiaca, ti tolsero gli aghi, su un foglietto scrivesti “Sto peggio di ieri. L’inferno in gola. Mi sento svenire. Acqua fresca”. Arrivò il nunzio apostolico.
Tre ore dopo tutto era finito. E io con te.
In un foglio, scritto con una grafia incerta e tremolante, le tue ultime parole, l’ultimo pensiero. Per me: “Elvira povera donna finita”.
Ti hanno riportato a Milano, i solenni funerali in Duomo, con l’orchestra e il coro della Scala diretti da Arturo Toscanini nel Requiem dell’Edgar, fra tante corone di re e politici (ci sono voluti 40 carri per trasportarle tutte) il mio cuscino di viole con la scritta “dalla tua Elvira”. Quanta gente a renderti omaggio sotto una pioggia battente e a seguire il corteo funebre fino al cimitero Monumentale, dove sei stato provvisoriamente sepolto nella cappella dei Toscanini.
Non ti ho visto soffrire, non ti ho visto morire. Non ho partecipato al tuo funerale. Non ci sono riuscita. Non avrei potuto sopportare l’odore dolciastro dei fiori spampanati dall’acqua che incominciavano a disfarsi e a marcire, il crepitìo implacabile della pioggia che dilania il cuore, reparti militari a precedere la bara, drappi funebri, velluti, crespo e gramaglie: sarei soffocata. E poi il rumore sordo e indifferente delle porte di bronzo della cappella che si chiudevano alle mie spalle. Su di te. Sulla nostra vita. Dividendoti dal mondo; dividendoti da me…
Con te ero qualcuno, la signora Puccini, la donna del grande compositore. Ora sono solo la tua vedova… La vedova. Impossibile, io sono ancora e per sempre la tua Elvira. Amante, moglie, vedova. Non è cambiato nulla. Eppure, come hai scritto nell’ultimo biglietto, è finita. Tutto è cambiato. Il nostro legame appassionato, infernale, violento, feroce si è spezzato. Ora che ho vinto su tutte le altre ho perso. Anche me stessa. Ora non potrò mai sapere se quello che mi ha tenuto nonostante tutto accanto a te è stato vero amore oppure orgoglio, il desiderio di trionfare sulle mie rivali. La morte ha chiuso la nostra eterna partita a scacchi. Ora sei mio.
RIVIVERE IL MONDO DI PUCCINI
Gli indirizzi utili per un itinerario sulle tracce del genio lucchese
° Museo Pucciniano di Celle, Associazione Lucchesi nel Mondo, via Meletori 27, Celle, frazione di Pescaglia (Lucca), tel. 320.6077784; mail: lucchesinelmondo.it. Aperto da giovedì a domenica in orari diversi.
° Museo del Castagno, Colognora di Pescaglia, tel. 0583.358159; museodelcastagno.it. Domenica, ore 15-19. Anche su prenotazione. Ha una sala dedicata al musicista Alfredo Catalani.
° Circolo Amici della Musica Alfredo Catalani, via Catalani 8, Porcari (Lu), tel. 3479951581; circolocatalanilucca.it.
° Museo Casa Natale di Giacomo Puccini, Corte San Lorenzo 9, Lucca, tel. 0583.584028; puccinimuseum.org. Accessibile anche ai disabili, a esclusione di due sale.
Per prenotare le visite guidate al Villino Puccini di viale Buonarroti, a Viareggio, tel. 0583.1900379.
° Villa Museo Puccini, viale Puccini 266, Torre del Lago Puccini, tel. 0584.341445; giacomopuccini.it. Orari di apertura diversi a seconda della stagione, normalmente visite ogni 40 minuti. Chiuso lunedì mattina (escluso dal 1° giugno al 30 settembre).
° Villa La Piaggetta, via della Piaggetta 863, Quiesa, Massarosa (Lu), tel.339.7874041; lapiaggetta.com.
° Villa Orlando, viale Puccini 252, Torre del Lago Puccini, tel. 0584.341886; villaorlando.it.
° Festival Puccini; puccinifestival.it. Quest’anno la 70ma edizione del Festival, dal 12 luglio al 24 agosto, celebrerà i cento anni dalla morte di Puccini.
° Associazione Culturale Ville Borbone e Dimore Storiche della Versilia, Villa Borbone, viale dei Tigli, Viareggio; associazionevilleversilia.com.
° Ciclopedonale Puccini; turismo.lucca.it/ciclopedonale-puccini, con tracce GPX scaricabili.