BARI VECCHIA FA IL PIENO DI TURISTI CON LOLITA LOBOSCO.
E IO RICORDO UN TESTO ANTICIPATORE DI ORONZO VALENTINI,
MITICO
(E CARO) DIRETTORE DELLA GAZZETTA
I LIBRI SOMMERSI, SULLE SPALLE DEI GIGANTI
introduzione di Salvatore Giannella – testi di Nicola Mascellaro e Oronzo Valentini
La seconda stagione di Lolita Lobosco su Rai 1 è finita con successo (con punte di oltre 6 milioni di spettatori, ma non la voglia di calpestare i luoghi dove l’attrice Luisa Ranieri ha posato il suo tacco dodici.
“Siamo nel pieno della Lolitamania”, informa il Corriere della Sera. “Non si contano tour guidati a sfondo pugliese, in particolare in Bari Vecchia, dove c’è la casa televisiva di Lolita. Merito del sito BariExperience.it che propone vari itinerari sui luoghi della serie, specificando che il tour “può essere personalizzato, in base a interessi e al tempo a disposizione”.

Lolita Lobosco (Luisa Ranieri nella fiction di Rai 1) con la madre Nunzia, impersonata da Lunetta Savino, sul terrazzo della casa in Bari Vecchia, con sullo sfondo la basilica di San Nicola.
La buona notizia per un pugliese ancora innamorato della sua terra nativa è affiancata da una curiosa scoperta giornalistica che mi riporta indietro negli anni nei vicoli di Bari vecchia. Dalle pagine di un libro sommerso che meriterebbe successo editoriale e commerciale (Il direttore Oronzo Valentini, di Nicola Mascellaro, Di Marsico Libri, Modugno, 22 euro) affiora la storia di un uomo (nella foto di apertura) che ha sacrificato tutto al giornalismo che includeva l’amore per la sua terra, per la crescita civile e sociale della “gente di Puglia”.
Valentini era nato nel Palazzo della Gazzetta, firmato da Saverio Dioguardi: aveva 16 anni quando, nel 1938, ha varcato per la prima volta la soglia del quotidiano dove era poi cresciuto e maturato professionalmente per diventare, 24 anni dopo, Il Direttore, contribuendo a fare in diciassette anni di un “foglio senza pretese” il più autorevole quotidiano di Puglia. E a far crescere una generazione di giornalisti (compreso chi vi scrive) che a lui deve tutto: formazione, carriera, prestigio personale.
La copertina del libro di Nicola Mascellaro dedicato a “Il Direttore Oronzo Valentini”, prefazione di Gianni Spineli, Di Marsico Libri, 400 pagine, 22 euro)
Il libro di Mascellaro, ricco di foto e documenti, ricostruisce la sua vita professionale di Valentini (Nino per gli amici): lo raccomando a ai giovani giornalisti e agli studenti che hanno curiosità per il nostro recente passato. Ed è in queste pagine che scopro un Valentini nuovo, che per la prima volta svela a me, e credo a tanti altri colleghi, una insolita intimità di barese verace, riflessioni su di sé e sulla sua famiglia, stimolate dalle tavole di un volume dell’architetto Pietro Maria Favia sulla città vecchia. Era il 28 aprile 1948, due mesi dopo che Donna Rita Valentini aveva messo al mondo il primogenito Giovanni destinato a sua volta a una brillante carriera giornalistica. Torniamo alle parole di Nino Valentini, che all’epoca abitava con la famiglia in Bari vecchia:
“Il libro dell’architetto Favia è stata una scoperta occasionale anche per noi che oramai da molti anni avevamo la nostra casa nel cuore della città vecchia… nelle notti ormai dimenticate dei lunghi anni di guerra, finito il lavoro, si tornava a casa. In quelle notti in cui la luna rompeva le tenebre fitte e dava ai viandanti frettolosi il conforto e la silenziosa compagnia della sua fredda luce, scoprimmo il volto antico di Bari, le bellezze dell’antico nucleo primigenio della città… una lieta scoperta che forse mai alla luce del giorno, nel fragore della strada, nel frettoloso passaggio degli uomini o accecati dai lampioni dei tempi normali, avremmo fatta e goduta: come capita a tanti che passano e ripassano dinanzi alle bellezze custodite nel cuore di Bari vecchia senza accorgersene, senza levare mai gli occhi in alto. La colpa non è tutta degli uomini, della loro affaticata distrazione. La colpa è anche della finora mancata e pur tante volte discussa e invocata saggia opera demolitrice che crei lo spazio necessario all’osservatore, che vi porti aria e luce, che predisponga le platee e scrolli d’attorno e di dosso alle numerose artistiche costruzioni, tutta la serie di fabbriche posticce, improvvisate che nel corso degli anni andavano aggiungendosi sia pure per esigenze demografiche in un disordine antiestetico e, per quel che conta, antigienico. È per questo forse che gran parte dei baresi ignora quello che invece tanti forestieri e stranieri sono venuti ad ammirare. È per questo che forse gran parte di noi, posti di fronte ai ricordi sempre vivi di costoro, restiamo pressoché muti e della nostra città vecchia non sappiamo ripetere che una facile, superficiale e riflessa impressione sintetica: quella di un dedalo di strade contorte dal quale pochi san districarsi o di una pittoresca vita all’aperto di una moltitudine di donne e bambini. Quanti di noi saprebbero indicare la Corte del Notar Maurea, la Corte del Catapano, le casette romaniche della Corte Morgese. Quanti han notato il bell’arco romanico del largo Maurelli o si son fermati qualche volta dinanzi alla fuga degli aerei archi rampanti, ai terrazzi pensili, ai bugnati, alle torri, ai balconi o ai loggiati secenteschi, alle casette settecentesche della corte Maurea, all’andamento poligonale delle casette di Strada Santa Maria. Forse assai meno baresi di quanto si pensi han levato gli occhi allo stesso San Nicola, ai campanili, ai frontoni, alle cornici delle chiesette barocche e romaniche che pur tanti frequentano. E se qualcuno potesse organizzare delle gite collettive, al chiar di luna, come facemmo noi in una di quelle notti lontane e ormai dimenticate degli anni di guerra, per i meandri e le strade della città vecchia, scoprirebbe la silenziosa città venirci incontro come mossa dalla mano sapiente di uno sceneggiatore… E quella fantastica gita ci è sempre rimasta viva nel ricordo, un ricordo che da allora ci fece più cara la nostra vecchia città e ci spinse spesso a ritrovarla nelle notti in cui tornavamo stanchi dal lavoro e ci sentivamo rianimati e lusingati dal fascino delle memorie che vivono una loro vita staticama vibrante nella pietra”.


Alcune delle 112 tavole del volume dell’architetto Pietro Maria Favia dedicate alla Bari vecchia.
Nino Valentini si è spento il 13 agosto 2008, aveva 86 anni. A scrivere il necrologio sulla sua Gazzetta è Antonio Rossano, uno dei suoi colleghi maggiormente apprezzato per il tatto, il gusto, la delicatezza della sua prosa: “Ecco cosa mi avrebbe detto: ‘Mi raccomando, con il nostro consueto equilibrio!’. Ma questo non è un pezzo qualunque. Si tratta del ricordo commosso di un collega che ha segnato la vita professionale di tanti di noi, di un Direttore di straordinarie capacità professionali, di un uomo del tutto particolare… del giornale aveva imparato a conoscere con certosina, artigianale abilità tutti i segreti operativi…il suo spirito critico, la capacità di cogliere il senso del nuovo che avanzava nella società, aprì spazi di crescente libertà anche all’intero”.
A me resta la piccola soddisfazione di averlo raggiunto a Bari e di avergli detto GRAZIE nelle orecchie, quando era in posizione verticale. ()
IL BELLO DELLA MEMORIA
QUESTO E’ IL MESTIERE DEL VERO GIORNALISTA.
UNA RIFLESSIONE TARGATA ORONZO VALENTINI
“Pochi conoscono la realtà concreta e precisa della professione giornalistica. Non è quella romanzesca o cinematografica. È una realtà fatta di gravi rinunce personali e familiari, di una permanente e sfibrante sollecitazione di responsabilità, di continui shock cui non può mai opporsi sufficientemente l’efficace assuefazione professionale, che in altri casi è possibile, mentre per il giornalismo costituisce una delle antinomie fondamentali. È una realtà fatta di mille dubbi e tormenti, segnata drammaticamente dalla persecuzione degli errori irrimediabili che sfuggono e possono sfuggire ai giornalisti come ad altri uomini profondamente impegnati nel nostro tempo. Una realtà che richiede implacabilmente una vigilanza, una presenza, uno stato di allarme che non finisce mai. Le nostre sirene suonano anche quando tutto intorno è silenzio. Si dice, con un po’ d’invidia, dI ammirazione e un po’ di dispetto, che il giornalismo è uno dei poteri della nostra società. È un modo di considerarci, di adularci, qualche volta un tentativo d’imbonirci e di propiziarci, che non è gradito. Pochi sanno quale routine massacrante celano gli apparenti splendori e privilegi che molti invidiano ai giornalisti. I pericoli della retorica nel parlare della nostra professione sono moltissimi, anche quando si muove proprio dal proposito di smontare le facili retoriche d’uso, ma è questo il quadro vero della realtà quotidiana del giornalismo”. (Oronzo Valentini, 12.12.1960)
