Arriva il mattino in cui ti svegli a Parigi. Vacanza? Trasloco? No, Erasmus: statuto intermedio tra quello di viaggiatore e quello di cittadino. Così ti senti tu e così ti percepiscono gli altri.
Cominciamo dagli altri, con un breve elenco delle primissime persone che incontri nel tuo nuovo mondo:
- portinai della Sorbona: tra lo scontroso e l’ammiccante ti avvisano che questa sarà l’unica volta in cui potrai metter piede nell’edificio sprovvisto di badge, solo perché non ne sei ancora in possesso;
- addetti al servizio di Relazioni internazionali: cominciano a mettere timbri su timbri e a sfornare badges, tesserini, volantini che sembrano pubblicizzare la facile vita degli studenti parigini. Il tutto con un sorriso smagliante, una voce dolce e musicale e nessuno sguardo diretto negli occhi, naturalmente. Cominci a pensare di avere per loro esattamente lo stesso valore dei documenti che timbrano incessantemente;
- infine ci sono “quelli come te”: ma come te lo sono davvero? Vivono tutti o quasi in qualche foyer fuori Parigi (ma perché quando tu avevi inoltrato la richiesta di un’economicissima camera in un collegio tutti i posti erano occupati?), il che significa che probabilmente non godranno mai della vera vita parigina, ma trascorreranno i loro pomeriggi sui libri, i loro week-end nei musei, e le loro serate tutti chiusi in una stanza, organizzando festini come si faceva in vacanza studio.
Passiamo a te: questa non è una vacanza studio, e la sola sistemazione che hai trovato è una carissima, ma deliziosa mansarda al sesto piano, senza ascensore, senza lavatrice e senza cucina; “quelli come te” non ti interessano, i tuoi amici “veri” li hai in Italia. Ora però sei a Parigi, e per ora una vita qui, “in prestito”, è tutto quello che hai.
Ovviamente sei partito con la mente nutrita di miti cinematografici: la Nouvelle Vague, l’amore, la Tour Eiffel, lo shopping, il Louvre, le Sacre Coeur, il Pantheon… li dimentichi ben presto! Cominci piuttosto a osservare; all’inizio nessuno ti nota.
La vita scorre lenta. A lezione non si socializza. In mensa si socializza solo con gli altri Erasmus. I parigini pranzano da soli, e non è un problema, come invece sembra che sia a te, italiano, abituato a pranzi universitari con venti persone che sgomitano per mangiare tutti insieme al troppo piccolo tavolo di un paninaro troppo piccolo. Si spostano in bici, o con il monopattino; sui mezzi pubblici non c’è mai così tanta gente come a Milano; i super- mercati sono piccoli e ben organizzati, con ampi reparti bio, ma non molta frutta e verdura; la vita quotidiana scorre lenta per una capitale (vengono in mente, per contrasto, le parole di Tito Balestra, grande poeta della piccola Longiano in Romagna, a un amico di Roma: “In paese, caro amico, tutto lentamente: morale e proprietà, polvere e mosche, eterna estate di mosche e di sole. Mia moglie ingrassa, il raccolto è abbondante. Che dirti d’altro? Giocare a carte, sudare, bere, oziare ossequiati, il mare è a un’ora d’auto, la casa è grande, ceniamo in giardino. Se ti capita, vieni. Se vieni, telefona. Comunque scrivi”). Scorre lentamente tra l’università e i libri nuovi, che tuttavia non aiutano a migliorare il tuo francese; le biblioteche di sezione della Sorbona sono fornitissime, ma troppo silenziose per te, che normalmente studi nel caos. Così arrivi pedalando sulla Velib (servizio bike-sharing di Parigi, molto efficiente) fino al 13 arrondissement, dove i quattro libri stilizzati che costituiscono la BnF Mitterrand ti si aprono davanti, pronti a essere letti e vissuti. Questa sì che è una biblioteca. Ma anche qui, nonostante la percentuale di visi amichevoli sia nettamente aumentata, non appena il tuo marcato accento italiano fa capolino sul tuo stentato francese, farsi accettare diventa difficile.
Ma non ti arrendi e continui a osservare; giorno per giorno acquisisci il ritmo della vita parigina, riconosci i quartieri, come se fossero tanti piccoli paesi uniti in una sola metropoli, i volti si fanno distinti, i ragazzi sorridono: ora Parigi ti scorre dentro, e leggere la guida best-seller di Inès de la Fressange serve a ben poco.
È vero, la prima sera sei uscito di casa da sola, ma con un bicchiere di vino in più la barriera tra osservazione e conversazione è finalmente caduta, e hai incontrato persone che accettano il tuo essere a metà: forse partirai fra qualche mese, ma potrai tornare quando vorrai, e magari, chissà, un giorno ti trasferirai qui definitivamente.
Quello che speravi sta succedendo: sei riuscito a evitare gli affollatissimi party Erasmus, perfetti nelle piccole cittadine universitarie, ma fuori luogo nella grande Parigi: quella che respiri è aria francese, come ti aspettavi.
Beh, a dire il vero non è esattamente come la si percepisce dall’Italia… La Tour Eiffel? Hai capovolto la prospettiva, ammirandola dal basso durante un picnic al Champ de Mars: chitarra, amici e bottiglia a portata di mano e la giornata finisce fin troppo in fretta. Saint-Germain? Il quartiere dello BCBG è troppo caro per lo shopping, molto meglio perdersi nei vicoli all’ora dell’apèro e sorseggiare un kir in un piccolo bar. Montmartre? Non perdi tempo con i ritratti, piuttosto entri nello spirito del quartiere e trascorri una piacevole domenica tra brunch e negozi (lì si che sono economici!). Il Louvre? All’entrata secondaria nascosta sotto l’Arc du Carrousel non c’è mai coda, per gli studenti è gratis e val la pena visitarlo sezione per sezione nei momenti liberi, evitando il famoso “tour de force” tra Gioconda (il capolavoro leonardesco che molti vorrebbero riportare in Italia, farebbero meglio a importare la valorizzazione dei beni culturali e il gran turismo alla francese raccontati nel volume “Voglia di cambiare”, Chiarelettere. Ndr), Amore e Psiche e Zattera della Medusa in un solo giorno. L’Opera? Non è un lusso per ricchi! Gli ultimi biglietti, due ore prima dello spettacolo, se ti accontenti della “piccionaia” costano meno di dieci euro; l’Impressionismo? Impressionante, sì, ma perché non andare oltreoceano visitando anche il Musèe du Quai Branly? La Senna? Romantica, si, per fare una corsa. Il Pantheon? Ecco dove pranzano i parigini quando c’è il sole: sulla piazza antistante (e tutti insieme!). Place des Vosges? Una delle più suggestive, sì, ma per una cena indimenticabile i ristorantini nascosti tra i vicoli del Marais sono decisamente migliori di quelli sul parco. Arc du Triomphe, Champs-Élisées e Avenue Montaigne? Puoi permetterti solo di osservare la vita di facoltosi stranieri tra corse in tassì e shopping bags di lusso. E la Banlieue? Per abbandonare Boulevards hausmanniani, palazzi liberty, ricche chiese e negozi luccicanti non serve spostarsi di molto; nell’undicesimo arrondissement si respira l’aria un po’ malfamata della povertà; kebab a ogni angolo, mercatini, bambini che si rubano il pallone, a poche pedalate dalla neonata culla della moda dell’Haut-Marais. Montparnasse? Gli artisti della generazione di Gertrude Stein non ci sono più, ma l’arte contemporanea è in continua evoluzione alle mostre della Fondation Cartier pour l’Art Contemporain; insomma, una guida Lonely Planet può sempre servire, ma la cosa migliore è sperimentare, passeggiare, provare finché in quella “vita in prestito” non ci entri completamente.
Nostalgia dell’Italia? Fai una passeggiata in Rue Charles-Francois Dupuis, verso una vetrina tutta rosa: incontri Mary, che aveva una gelateria a Milano e ora fa il gelato più buono di Parigi.
Lei, di nostalgia dell’Italia, proprio non ne ha.
Camilla Nacci
A PROPOSITO
Turismo francese (e non solo): sette istruzioni per il miglior uso
Pur essendo da molti anni il paese leader nel turismo internazionale (seguito da Spagna, Stati Uniti, Cina e Italia), i francesi continuano a perfezionare la loro filosofia dell’ospitalità presso tutti gli imprenditori. Per esempio, il responsabile del Tiurismo francese, Luc Chatel, con un coraggioso atto di umiltà ha invitato nel settembre 2007 i suoi connazionali a rimboccarsi le maniche e a essere più pazienti e più sorridenti con i visitatori. Ecco le sette regole di buona educazione che Chatel (ex portavoce del presidente Nicholas Sarkozy) ha dettato agli addetti, e più in generale ai francesi a contatto con il grande pubblico:
- Siate i primi a salutare il turista straniero.
- Non gettate il resto sul bancone con malagrazia e siate pazienti nelle trattative.
- Se sapete un po’ di inglese, non fate finta di non conoscerlo. Siate coraggiosi e generosi: usatelo con gli stranieri.
- Se i turisti che vengono dall’estero cercano di parlarvi in francese, non mostrate fastidio per i loro errori.
- I dipendenti delle poste agli sportelli dovrebbero portare delle spille che indicano con chiarezza quali lingue parlino.
- Appendete un cartello con la scritta “benvenuti” alla vostra vetrina. Meglio se il cartello è in più lingue.
- Se non siete in grado di seguire questi consigli, allora siate almeno gentili e sfoggiate sempre un bel sorriso.
Alle raccomandazioni del ministero del Turismo francese, piace accostare idealmente il decalogo del sociologo Domenico De Masi, per tre anni assessore di Ravello, sulla costiera amalfitana, per coloro che vogliono coltivare e aumentare la bellezza del loro luogo.
- Eliminate quel che c’è di brutto nel vostro centro ed educate i ragazzi ad amare i punti belli della loro città;
- il punto in cui è nato un poeta o è avvenuto un incontro storico importante deve diventare il cuore del paese;
- fate incontrare gli «spiriti» del posto affinché costruiscano qualcosa di grande per la vostra terra;
- rispettate i visitatori, affinché i visitatori rispettino il luogo;
- assicurate la qualità dei servizi e l’equità dei loro costi;
- fate capire ai commercianti che parte del loro guadagno deve essere restituito alla città. Tutto servirà per abbellire e rendere più funzionale il vostro luogo;
- esaltate anche gli altri punti di un centro: cultura contadina, arti minori, borgo di pescatori e così via;
- ottenete dagli amministratori pubblici una promessa: se non raggiungono l’obiettivo, dovranno dimettersi;
- procuratevi e trasmettete le informazioni con accuratezza;
- contribuite personalmente all’ulteriore perfezionamento dello spirito del vostro paese.
Camilla è una persona stupenda, questo testo è stupendo e la sua esperienza è stupenda.