Invece di piegarsi all’austerity, l’isola ha reagito alla crisi continuando a investire in settori alternativi come la musica e il cinema. Così ha rilanciato l’economia e scongiurato l’esclusione sociale

Il festival Sonar 2013 all'Harpa di Reykjavik, febbraio 2013

Il festival Sonar 2013 all’Harpa di Reykjavik, febbraio 2013

Se il tracollo finanziario del 2008 in Islanda spesso è stato interpretato come un segno premonitore della crisi europea, forse adesso è ora di ispirarsi alle soluzioni adottate dal paese. A differenza del sud dell’Europa, dove i tagli alla spesa e gli aumenti delle imposte hanno dissanguato l’ambiente culturale, questo paese di 320mila abitanti, grande quanto il Portogallo, dal 2008 ha investito proprio nella cultura. Le ricadute economiche di questo settore (che assicura al paese introiti per circa un miliardo di euro l’anno) sono due volte più importanti di quelle dell’agricoltura, e il settore creativo segue da vicino la prima attività industriale del paese, nonché la prima risorsa delle esportazioni: la pesca.

Ha lasciato fallire le banche. Ciò si deve in parte a una dolce e minuta signora di 37 anni, la ministra della cultura, che in quattro anni al governo ha scelto di mettere gli artisti al primo posto e di farne i protagonisti della ripresa economica del paese. Oggi il tasso di disoccupazione in Islanda è del 5,7 per cento e la crescita è al 3 per cento. È vero, il paese ha svalutato la sua moneta e ha lasciato fallire le banche, rifiutandosi di pagare i loro debiti con l’estero. Ma in buona parte la ripresa è dovuta anche a questa specie di New Deal culturale-artistico.

Il 27 aprile prossimo, in occasione delle prime elezioni indette da quando il paese è riuscito a superare la crisi, questo inedito approccio potrebbe però avere fine. A quanto sembra, infatti, gli islandesi hanno la memoria corta e oggi il grande favorito dai sondaggi è il Partito conservatore che era al governo quando il paese è andato in crisi (la Borsa precipitò del 90 per cento, il pil di 7 punti percentuali). La coalizione formata dal partito dei Verdi e dai socialdemocratici e guidata da Jóhanna Sigurdardottir (prima donna premier del paese) è in difficoltà.

Katrin Jokobsdottir

Katrin Jokobsdottir

La sala voluta da Katrin. La ministra della cultura Katrin Jakobsdottir, indubbiamente il personaggio più carismatico del governo, non lo nasconde. Nel suo ufficio che si affaccia sul porto di Reykjavik, ripensa al suo mandato, che simbolicamente associa alla costruzione della spettacolare sala da concerti Harpa. I lavori del cantiere erano stati fermati a causa della crisi, e rilanciandoli lei ne ha voluto fare il simbolo della volontà del governo di creare ricchezza attraverso lo sviluppo delle arti.

“Noi consideriamo la cultura come la premessa dell’intero settore creativo, che a sua volta costituisce una parte sempre più importante della nostra economia. Quando sono entrata nel governo, la cultura per me era una questione di sopravvivenza. Ed è questo che ho cercato di far capire alla gente: la cultura è un fattore economico molto importante. E può far guadagnare tanto quanto l’industria dell’alluminio”.

Il governo ha effettuato alcuni aggiustamenti di bilancio. Ha ridotto il personale ai ministeri e tagliato le spese fisse. Ma tutto ciò non ha impedito di aumentare i finanziamenti ai progetti culturali indipendenti. Questa collaborazione tra pubblico e privato non ha mai prodotto un disimpegno dello Stato in tema di cultura e di istruzione.

Musica, software e videogame. La musica prima di tutto: l’80 per cento dei giovani (soprattutto residenti nei piccoli centri) suona uno strumento e impara il solfeggio. Questo si traduce in decine di gruppi con un pubblico internazionale. Se la maggior parte dei turisti è attratta dalle bellezze dell’isola, secondo un recente sondaggio il 70 per cento dei giovani si reca in Islanda per ascoltare la musica. Ciò era vero già nel 2006, quando fu creato un ente apposito, incaricato di promuovere la musica islandese all’estero sotto la guida di Sigtryggur Baldursson, ex batterista dei Sugarcubes, la band con la quale esordì Bjork e che contribuì a creare la reputazione musicale dell’isola. Stando a quanto dichiara l’ente, l’anno scorso si sono esibite al’estero 43 band islandesi.

In parallelo alla musica, il settore del software e dei videogiochi ha conosciuto una crescita esponenziale: “Anche qui siamo alle prese con un derivato della cultura che dà lavoro a molte persone del settore, specialmente gli illustratori” ha spiegato la ministra. Quanto alla settima arte, da quando una nuova legge assicura il rimborso dei costi di produzione dei film girati in Islanda, i registi continuano ad arrivare: Ridley Scott ha girato qui il suo Prometheus e Darren Aronofsky Noé.

Andri Magnason

Andri Magnason

Basta soldi facili. In realtà, già quando soldi e champagne scorrevano a fiumi erano in molti a vedere nella cultura l’unica boa di salvataggio per l’Islanda. Lo scrittore e poeta Andri Magnason nel 2006 ha denunciato nel suo libro Dreamland un modello economico imperniato sui soldi facili e sulla speculazione. “Negli anni del benessere e del boom il governo si è concentrato nello sviluppo delle banche, e nei settori dell’alluminio e dell’energia idroelettrica che distruggono l’ambiente. Alcuni auspicavano invece un’economia basata sulla creatività”. Proprio da qui nacque questa insolita alleanza tra gli ambientalisti e i fan delle nuove tecnologie, ricorda Magnason.

Bjork e altri personaggi famosi islandesi si sono interessati a quel movimento. “E quando la crisi è arrivata, il movimento aveva già messo radici e coinvolgeva molti giovani”. Vari gruppi di lavoro si sono così radunati in un Ministero delle Idee, riunitosi in una ex fabbrica alla periferia della capitale. Ma Magnason riconosce anche il ruolo importante rivestito dal governo. “I teatri sono andati di bene in meglio. La vita letteraria ha trovato nuovo impulso (ogni anno il governo sostiene 60 scrittori). La produzione cinematografica ha conosciuto un netto miglioramento, proprio come il panorama musicale. Tutto ciò ha portato frutti in ambito economico. Le arti non si sviluppano in parallelo all’economia, ma sono essenziali al benessere economico del paese”.

Ma allora perché la gente ha intenzione di votare per il Partito conservatore? “Indubbiamente hanno nostalgia della loro Range Rover”, sbotta il musicista Olafur Arnalds in un caffè di Reykjavik.

Malgrado tutto, questo modello sarebbe perfettamente esportabile in paesi come la Spagna o l’Italia, dove gli abitanti – come i problemi economici – sono 150 volte di più. Magnason concorda: “Si tratta di un modello valido nella maggior parte delle situazioni. Il problema dell’Europa, e soprattutto dell’Italia e della Spagna, è proprio la grande massa di giovani disoccupati, senza progetti, dei quali governo e industria si disinteressano completamente. Questo è un vero spreco di talenti”. Bisognerà toccare il fondo prima di pensarci?

Fonte: El Pais, quotidiano di Madrid. Traduzione di Anna Bissanti

A PROPOSITO

Islanda 2 / Il segreto è stato mandare le donne al potere

Come ha fatto l’Islanda, che tre anni fa era uno Stato praticamente fallito, a riprendersi tanto da avere ritmi di crescita superiori a quello medio dell’Unione Europea e un tasso di disoccupazione inferiore, seppure alto, il 7%, per i suoi standard? El Pais, in un articolo firmato da John Carlin, elabora un’altra teoria, altrettanto interessante. L’Islanda si è affidata alle donne per uscire dalla crisi economica e finanziaria in cui l’avevano cacciata gli uomini.

Le tre banche principali dell’Islanda sono fallite a ottobre 2008 e hanno lasciato debiti che ascendevano a oltre 10 volte il PIL del Paese. L’Islanda si è trovata ben oltre la bancarotta. E ha dato la colpa agli uomini. Nel partito di governo dominavano gli uomini, i banchieri erano senza eccezione uomini e i temerari, e assurdamente ambiziosi, che hanno condotto la piccola nazione di pescatori a credere che tutti si sarebbero bagnati in champagne francese per sempre, erano categoricamente, decisamente uomini. Perciò, come ha commentato il Financial Times allora, sono apparse le donne per sistemare le cose.

Jóhanna Sigurdardóttir

Jóhanna Sigurdardóttir

Il premier è stato sostituito dalla prima donna nella storia d’Islanda a occupare la poltrona, Jóhanna Sigurdardóttir (omosessuale e sposata, con due figli dal fallito matrimonio precedente con un uomo), che continua a occupare la carica anche adesso. Le donne costituiscono la maggioranza del Governo, cinque ministeri contro i quattro degli uomini. Sono stati licenziati i consiglieri delegati (tutti uomini) delle banche fallite, si sono cambiati i nomi alle entità e si sono messe al loro posto le donne. Sempre più donne sono imprenditrici o iniziano ad apparire nei Consigli di Amministrazione delle imprese private. Per scegliere tra i numerosi esempi, l’amministratore delegato della maggior compagnia d’assicurazioni d’Islanda è una donna, così come la responsabile per il Paese di Rio Tinto Alcan, che guida il potente settore nazionale dell’alluminio.

Per dimostrare le sue tesi, Carlin intervista la 36enne ministra dell’Educazione, Scienza e Cultura Katrin Jakobsdottir, appena tornata al lavoro dopo la terza maternità (una donna di 36 anni, con 3 figli in tenera età, ministro dell’Istruzione e della Cultura: un altro mondo è possibile, un’altra Italia è possibile!). La parola chiave della nuova Islanda è la sostenibilità: l’epoca del capitalismo dall’arricchimento rapido è finita ed è tempo di costruire un modello sostenibile. Un concetto caro a tutti i partiti islandesi e che Jakobsdottir sintetizza così: “Molti hanno addossato gli eccessi dei banchieri che ci hanno causato tanti problemi alla cultura maschile. Nel 2009 tutti dicevano: ‘Quello di cui abbiamo bisogno è meno pensiero di arroganza maschile e più donne con idee praagmatiche e strategiche’. Quello che abbiamo imparato da allora è che, se vogliamo rimanere lontani dalla crisi e costruire, non bisogna pensare nel futuro immediato, ma ai prossimi 10-20 anni. Questo non è il modo di pensare di un Governo dominato dagli uomini; questo è un modo di pensare femminile”. Gli esempi che porta il ministro a questo nuovo modo di pensare riguardano soprattutto le diverse mentalità tra uomini e donne: “In generale l’influenza femminile si vede nell’enfasi che diamo allo sviluppo sostenibile, nel costruire l’economia pensando al lungo termine, in modo affidabile e sicuro. Le donne pensano in questi termini perché è la loro natura. Un esempio più specifico: come stiamo affrontando i temi delle tasse e dei bilanci. L’idea è analizzare i diversi impatti che il sistema ha su uomini e donne, e vedere come possiamo adattarli affinché ci sia più uguaglianza di genere. Si vede l’influenza femminile nella discussione sull’impiego. Gli uomini si concentrano di più in cose come l’industria dell’alluminio, noi parliamo dei settori creativi. Siamo arrivati alla conclusione che le arti, in particolare musica e letteratura, apportano al Paese tanto denaro quanto l’estrazione di alluminio. Non credo che agli uomini sarebbe neanche venuto in mente”. Le donne stanno dunque cambiando l’Islanda? Secondo Jakobsdottir sì: la forza maschile, che ha definito l’epoca in cui gli islandesi hanno giocato a essere banchieri e ad arricchirsi rapidamente, è stata sostituita da “una forza femminile, che è sulla terra, che non punta alle stelle e che cerca di piantare radici e lavorare per un futuro sicuro”.

Uno degli esempi scelti da Carlin per parlare di questo impegno con radici e futuro è Birna Einarsdottir, una delle donne chiamate a sostituire gli uomini nei CdA delle banche islandesi. “Dobbiamo attenerci a quello che sappiamo, non fare i furbi e, invece di pensare di sapere tutto, chiedere aiuto”. Cosa che, commenta Carlin, gli uomini non fanno. Con questa mentalità più pragmatica, molte donne hanno iniziato la loro attività imprenditoriale: una di loro è Sjöfn Sigurgisladottir, che nel 2009 ha lasciato il suo posto di direttore esecutivo di un organismo statale sulla sicurezza alimentare per dedicarsi a un’impresa ittica, messa su con due socie. “Stiamo entrando in un’industria che prima era esclusivamente maschile, questo è sintomatico del cambio in corso in Islanda da quando è scoppiata la crisi. Le donne stanno assumendo un ruolo molto più attivo nell’economia, assumono più responsabilità; è anche vero che ci appoggiamo le une alle altre, creando club femminili e approfittando più che mai le opportunità”. In questo sono aiutate, tutto bisogna dirlo, da una società creata da decenni di socialdemocrazia (diciamo tutto fino in fondo, giusto?), che non le obbliga a scegliere tra lavoro e famiglia e divide le responsabilità familiari tra i due sessi.

“Secondo un rapporto del Fondo Economico Mondiale sull’uguaglianza di genere, l’Islanda occupa il primo posto nel mondo (“Vivo parte del mio tempo in Svizzera”, mi ha detto Sigurgisladottir “e la differenza con il posto che occupano lì le donne nella società è scandalosa”)”. Ma non c’è solo la disposizione culturale resa possibile da decenni di socialdemocrazia: “Le donne d’Islanda hanno ottenuto questi risultati prima che la crisi finanziaria colpisse il Paese. Quello che è successo da allora è che hanno complementato l’uguaglianza in casa e nel lavoro con un nuovo grado d’influenza e autorità nel cuore del potere politico ed economico”. Ed è Katrin Jakobsdottir a spiegare cosa significa l’ingresso delle donne nel cuore del potere politico ed economico: “Avere un Gabinetto con metà uomini e metà donne, e adesso con più donne, fa la differenza. Il centro dell’attenzione politica cambia, quando ci sono più donne al Governo”.

Le donne islandesi di governo, fotografate durante un tipico bagno termale in Islanda: Jóhanna Sigurdardóttir, Katrin Jakobsdottir, Birna Einarsdottir e Sjöfn Sigurgisladottir.

Le donne islandesi di governo, fotografate durante un tipico bagno termale in Islanda: Jóhanna Sigurdardóttir (seconda da sinistra), Katrin Jakobsdottir (terza), Birna Einarsdottir (quarta) e Sjöfn Sigurgisladottir (ultima).

Hanno ottenuto anche risultati che, se non hanno ridato agli islandesi il tenore di vita perduto, hanno rimesso il Paese in carreggiata, con numeri che causano invidia nel Paesi della UE, e hanno ottenuto il plauso del FMI. El Pais riassume così i tre anni della nuova Islanda: “Il bilancio statale è quasi in equilibrio, le esportazioni superano le importazioni, la moneta è stabile e l’anno scorso il FMI ha pubblicato un rapporto positivo. (…) Nella mia recente visita ho assistito al Festival Gastronomico annuale dell’Islanda, Food and Fun, che si celebra dal 2002 ma è stato a punto di essere sospeso, per mancanza di soldi, nel 2009, 2010 e 2011. Quest’anno è tornato a fiorire con la partecipazione di 30 chefs di tre continenti e 25mila islandesi che pagano 40 euro a testa nei ristoranti locali (c’è un 50% di locali per mangiare in più a Reikyaviik rspetto a tre anni fa). Icelandair ha raddoppiato le sue rotte dal 2009 e ha aumentato il numero di passeggeri del 20%. Si è creata una nuova linea aerea, WOW, e il turismo è tornato; i posti letto per luglio e agosto sono praticamente esauriti; i prezzi delle case sono aumentati del 10% e le vendite delle Mercedes Benz sono improvvisamente aumentati. Quanto alla sanità e alla scuola pubblica, così buone che neanche i fugaci milionari dell’epoca del boom hanno sentito il bisogno di passare ai privati, non hanno sofferto perdita di qualità, nonostante i tagli che il Governo ha dovuto fare. Come prova della normalità arrivata dove prima era pronta l’Apocalisse, il dibattito fondamentale tra i partiti di sinistra e di destra in Parlamento è oggi l’eterna questione di routine: se bisogna aumentare o tagliare le tasse. Se, dopo essere ricorsi con successo alla svalutazione della moneta per riprendere salute, conviene adesso entrare nell’euro”.

(Fonte: El Pais, 11.3.2012 tradotto su rottasudovest.typepad.com)