Le istruttive parole del “grande vecchio” della socialdemocrazia tedesca all’ultima conferenza nazionale della SPD per evitare che, come agli inizi degli anni Trenta, una depressione economica e un livello intollerabile di disoccupazione portino, come allora, alla caduta della democrazia
Motivazioni e origini dell’integrazione europea. Anche se in alcuni dei 40 stati d’Europa, la coscienza nazionale si è sviluppata tardi (come in Italia, Grecia e Germania) ci sono sempre state guerre sanguinose. E qui, nel cuore del continente, questa tragica storia, questa serie di scontri fra centro e periferia è sempre stato il campo di battaglia decisivo. E la memoria va alle due guerre mondiali del XX secolo, perché l’occupazione tedesca gioca ancora un ruolo dominante, anche se latente.
Quasi tutti i vicini della Germania (e anche gli ebrei di tutto il mondo) ricordano l’Olocausto e le atrocità che sono avvenute durante l’occupazione tedesca nei paesi periferici. Noi tedeschi non siamo sufficientemente consapevoli del fatto che probabilmente quasi tutti i nostri vicini hanno ancora sfiducia nei tedeschi: un fardello storico con il quale dovranno convivere le nostre generazioni. E non dimentichiamo che c’era sospetto circa lo sviluppo futuro della Germania anche quando nel 1950 ha avuto inizio l’integrazione europea.
Del resto si è realizzata in una visione realistica di sviluppo ritenuta possibile e allo stesso tempo per il timore di una futura forza tedesca. Non si trattava dell’idealismo di Victor Hugo che pensava all’unificazione dell’Europa nel 1849. Gli statisti poi leader in Europa e in America (George Marshall, Eisenhower, Kennedy, Churchill, Jean Monnet, Adenauer , De Gaulle, De Gasperi e Henri Spaak) non hanno agito in base a un idealismo europeo, ma sono stati spinti dalla conoscenza della storia del continente. Hanno agito in una visione realistica, nella necessità di evitare la continuazione della lotta tra la periferia e il centro. Tutto questo è ancora un elemento portante per l’integrazione europea e chi non lo ha compreso manca di un presupposto essenziale per la soluzione della crisi attuale in Europa.
Quanto più nel corso dagli anni 60 agli ‘80, l’allora Repubblica Federale aumentava il proprio peso economico e politico, tanto più agli occhi degli statisti dell’Europa occidentale l’integrazione europea è apparsa come una polizza assicurativa. La resistenza iniziale di Margaret Thatcher, Mitterrand o Andreotti (era il 1989/90) contro l’unificazione tedesca era chiaramente giustificata dal timore di una forte Germania, al centro del piccolo continente europeo.
L’Unione europea è necessaria. De Gaulle e Pompidou negli anni ‘60 e fino ai primi anni ‘70 hanno continuato l’integrazione europea, per integrare la Germania, ma hanno anche voluto incorporare il proprio stato in meglio o in peggio. Dopo di che, la buona intesa tra me e Giscard d’Estaing ha portato a un periodo di cooperazione franco-tedesca e il proseguimento dell’integrazione europea, un periodo che è stato continuato con successo dopo la primavera del 1990 tra Mitterrand e Kohl.
Allo stesso tempo, la Comunità europea è gradualmente aumentata raggiungendo nel 1991 i 12 stati membri. Grazie al lavoro di preparazione svolto da Jacques Delors (allora presidente della Commissione europea), Mitterrand e Kohl a Maastricht hanno dato vita all’euro. La preoccupazione di fondo era, di nuovo sul fronte francese, di una potente Germania e (più precisamente) di una moneta tedesca, il marco, super potente. Da quegli anni l’euro è diventato la seconda valuta più importante nell’economia mondiale. Questa moneta europea sia internamente che nelle relazioni esterne è di gran lunga più stabile rispetto al dollaro americano (ed è stato più stabile del marco nei suoi ultimi 10 anni). Tutti parlano e straparlano di una presunta “crisi dell’euro”, ma è un frivolo chiacchiericcio di giornalisti e politici.
A partire da Maastricht il mondo è cambiato enormemente. Siamo stati testimoni della liberazione delle nazioni dell’Europa orientale e l’implosione dell’Unione Sovietica. Stiamo assistendo lo sviluppo prodigioso della Cina, India, Brasile e altri “mercati emergenti” che sono stati precedentemente chiamati “terzo mondo”. Allo stesso tempo la parte reale delle maggiori economie della terra si è ”globalizzata”: quasi tutti i Paesi del mondo dipendono l’uno dall’altro. E soprattutto è accaduto che gli attori sui mercati finanziari globali abbiano acquisito un potere del tutto incontrollato. Ma al tempo stesso (e quasi inosservata) la razza umana si è moltiplicata e ha superato i 7 miliardi di persone. Quando sono nato, ce n’erano appena 2 miliardi. Tutti questi cambiamenti hanno un impatto enorme sui popoli d’Europa, sui loro Stati e le loro ricchezze.
D’altra parte tutte le nazioni europee stanno riducendo i loro cittadini. A metà del 21° secolo è probabile che vivano anche 9 miliardi di persone sulla Terra, mentre le nazioni europee insieme costituiranno solo il 7% della popolazione mondiale: 7% di 9 miliardi. Per due secoli, e fino al 1950, gli europei hanno rappresentato più del 20% della popolazione mondiale. Analogamente, l’Europa vedrà scendere il proprio prodotto globale al 10% dal 30 che era nel 1950.
Ognuna delle nazioni europee rappresenterà nel 2050 solo una frazione pari all’1% della popolazione mondiale. Vale a dire: se vogliamo sperare di avere un ruolo nel mondo, lo possiamo avere solo congiuntamente. Quindi gli interessi strategici a lungo termine degli Stati-nazione europei è nella loro fusione. Questo interesse strategico nella costruzione europea assume sempre maggiore importanza. Anche se la maggior parte degli abitanti non ne è ancora consapevole e i governi non ne parlano. Quindi se non si farà una vera Unione europea nei prossimi decenni ciò significherebbe che i singoli Stati del continente e della civiltà europea nel suo complesso si emarginerebbero da soli. Potrebbe anche accadere.
Né si può escludere che in questa situazione riemerga la concorrenza e la lotta per il prestigio tra i diversi Paesi. Il vecchio gioco tra centro e periferia potrebbe tornare a essere una realtà.
Il processo di educazione globale, la diffusione dei diritti individuali e della dignità umana, lo stato di diritto e la costituzione della democratizzazione dell’Europa non potrebbe avere uno stimolo più efficace. Sotto questi aspetti, la Comunità europea è una necessità vitale per gli Stati del nostro vecchio continente. Questa esigenza si estende oltre le ragioni di Churchill e De Gaulle. Si estende ben oltre le motivazioni di Monnet e Adenauer.
Io aggiungo: certo, ma occorre una reale integrazione della Germania. Quindi dobbiamo chiarirci le idee circa la nostra missione tedesca, il nostro ruolo nel contesto dell’integrazione europea.
La Germania ha la continuità e l’affidabilità necessarie. Se alla fine del 2011 si guarda dal di fuori della Germania attraverso gli occhi dei nostri vicini diretti e indiretti, emergono notevoli dubbi e si dissolve l’immagine di una Germania poi dalla Germania dal cammino sicuro: emergono ombre sulla continuità della politica tedesca. E la fiducia nella affidabilità della politica del Paese è sempre meno netta.
Qui i dubbi e i timori sono basati sugli errori della politica estera e dei governi. Essi si basano in parte sulla forza sorprendente del mondo economico della Repubblica federale unita. La nostra economia è tecnologicamente e socialmente una delle più potenti del mondo. La nostra forza economica e la nostra pace sociale relativamente stabile, hanno anche innescato invidia, soprattutto per il tasso di disoccupazione inferiore e il rapporto tra debito e Pil tra i migliori.
Tuttavia politici e cittadini non sono sufficientemente consapevoli del fatto che la nostra economia è altamente integrata sia con il mercato comune europeo e sia con l’economia globalizzata. Al tempo stesso, però, questo può portare a un grave squilibrio: il nostro surplus commerciale è enorme, per anni le eccedenze hanno costituito circa il 5% del Pil. Sono cifre simili a quelle della Cina, anche se la cosa non emerge con chiarezza per via della sostituzione del marco con l’euro. Ma sembra che i nostri politici non siano a conoscenza di questo fatto. Le nostre eccedenze sono in realtà i deficit di altri. Le affermazioni che abbiamo sentito sugli altri, sui loro debiti sono fastidiose violazioni di un ideale equilibrio esterno. Non solo questa disturba i nostri partner, ma solleva sospetti ed evoca brutti ricordi.
In questa crisi economica, nella reazione delle istituzioni dell’Unione europea, la Germania ha avuto ancora una volta un ruolo centrale. Insieme con il presidente francese, il Cancelliere ha accettato volentieri questo ruolo. Ma ci sono molte capitali europee in cui sta crescendo una preoccupazione crescente di un dominio tedesco che per ora si esprime su giornali e Tv. Questa volta non si tratta di potenza militare e politica, ma economica. A questo punto, è necessario un promemoria per i politici tedeschi, per i media e la nostra opinione pubblica.
Noi tedeschi di sinistra non dobbiamo farci prendere da illusioni o farci confondere da cortine fumogene: se la Germania tenterà di essere il primus inter pares nella politica europea, una crescente percentuale dei nostri vicini penserà di doversi difendere efficacemente da questo tentativo di primato. Tornerebbe la preoccupazione della periferia per un centro troppo forte. E le probabili conseguenze di un tale sviluppo sarebbero paralizzanti per l’UE, mentre la Germania cadrebbe nell’isolamento. In fondo abbiamo bisogno di proteggerci da noi stessi.
Quindi nel processo di integrazione europea bisogna partire dall’articolo 23 della Costituzione che impone di di partecipare allo sviluppo dell’Unione Europea. E nell’articolo 23 ci si impegna anche al “principio di sussidiarietà”. L’attuale crisi del funzionamento delle istituzioni dell’UE non cambia questi principi.
La nostra posizione geopolitica centrale, in fondo una sfortuna fino alla metà del XX secolo, richiede un alto grado di empatia per gli interessi dei nostri partner europei. E la nostra volontà di aiuto sarà fondamentale.
Noi tedeschi abbiamo ricostruito la nostra grande potenza, lo abbiamo fatto, certo da soli, ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto delle potenze occidentali, senza la nostra integrazione nella Comunità europea, senza l’aiuto dei nostri vicini, senza gli sconvolgimenti politici in Europa Centro-Orientale seguiti alla dissoluzione dell’Urss. Abbiamo molti motivi di essere grati. E abbiamo il dovere di dimostrarci degni della solidarietà ricevuta.
Al contrario, la ricerca di un esclusivo ruolo e prestigio nella politica mondiale sarebbe inutile e probabilmente anche dannoso. Sono convinto che è negli interessi strategici a lungo termine della Germania, non isolarsi. Un isolamento all’interno dell’Occidente sarebbe pericoloso. Un isolamento all’interno dell’Unione europea o della zona euro sarebbe catastrofico. I politici e i media tedeschi hanno il dovere e l’obbligo di difendere questo punto di vista e di sostenerlo presso l’opinione pubblica.
Ma se qualcuno ci dice o ci fa capire che il futuro d’Europa parla tedesco. Se un ministro degli Esteri tedesco ritiene che le apparizioni in Tv mentre è a Tripoli, al Cairo o a Kabul siano più importanti dei contatti politici con Lisbona, Madrid e Varsavia o Praga, con Dublino, L’Aia, Copenaghen ed Helsinki e se un altro pensa di dover impedire trasferimenti di un po’ di sovranità all’Unione, beh tutto questo è solo dannoso.
In realtà, la Germania è stata un contributore netto per molti decenni fin dal tempo di Adenauer. E, naturalmente, Grecia, Portogallo e Irlanda sono sempre stati beneficiari netti. Lo abbiamo fatto a lungo e possiamo permettercelo. Il principio si sussidiarietà, anche contrattualmente richiesto da Lisbona prevede che che l’Unione faccia ciò che uno Stato da solo non può fare.
Konrad Adenauer, a partire dal Piano Schumann, ha tentato di correggere istinti politici e resistenze perché sapeva che l’interesse strategico a lungo termine era questo, anche nel quadro della divisione permanente della Germania. E tutti i successori (compreso Brandt, io stesso, Kohl e Schröder) hanno continuato la politica di integrazione concepita da Adenauer.
La situazione attuale richiede l’energia dell’UE. Non possiamo in questo momento anticipare un futuro lontano. Correzioni a Maastricht potrebbero solo in parte eliminare errori e omissioni, così come mi sembrano inutili le proposte di modificare l’attuale trattato di Lisbona che comunque dovrebbe passare attraverso il vaglio di referendum nazionali. Sono quindi d’accordo con il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, quando ha detto alla fine di ottobre in un discorso straordinario, che oggi abbiamo bisogno di concentrarsi su ciò che è necessario fare oggi. E che abbiamo bisogno di sfruttare le opportunità che l’attuale trattato UE ci dà, in particolare il rafforzamento delle regole di bilancio e politiche economiche nell’area dell’euro.
Con l’eccezione della Banca centrale europea, le istituzioni – il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Commissione di Bruxelles e il Consiglio dei ministri – hanno concluso poco nel superare la grave crisi bancaria del 2008 e soprattutto l’attuale crisi del debito. Per superare l’attuale crisi di leadership dell’Unione Europea, non esiste una panacea. Si richiedono diversi passaggi, a volte contemporanei a volte successivi e ciò richiederà energia e pazienza. E il contributo tedesco non potrà essere limitato a slogan per il mercato televisivo.
In un punto importante sono d’accordo con Jurgen Habermas, che ha recentemente affermato che – cito testualmente – “… Abbiamo fatto l’esperienza per la prima volta nella storia dell’Unione europea di un degrado della democrazia”. Infatti: non solo il Consiglio europeo, compreso il suo presidente, proprio come la Commissione europea, compreso il suo presidente e i vari Consigli dei ministri e tutta la burocrazia di Bruxelles hanno congiuntamente messo da parte il principio democratico.
Perciò mi appello a Martin Schulz: è ora che voi e i vostri democristiani, i vostri omologhi socialisti, liberali e verdi, insieme, portiate all’attenzione del pubblico i problemi veri e drammatici. Mostrare che alcune migliaia di persone che operano nella finanza negli Stati Uniti e in Europa, più alcune agenzie di rating hanno preso in ostaggio i governi d’Europa. E’ improbabile che Barack Obama farà molto. Lo stesso vale per il governo britannico. I governi del mondo nel 2008/2009 hanno salvato le banche, ma dal 2010 il branco di finanzieri ha ripreso a svolgere il vecchio gioco di nuovo con profitti e bonus. Una scommessa a spese di tutti i non-giocatori.
Se nessun altro vuole agire, allora l’eurozona devono agire in valuta euro.
Questo è il modo di interpretare l’articolo 20 del trattato UE di Lisbona. Vi è espressamente previsto che uno o più Stati membri dell’Unione europea “… instaurino una cooperazione rafforzata tra di loro”. In ogni caso, i Paesi della zona euro devono mettere in atto regolamenti finanziari comuni. Dalla separazione tra normali banche commerciali e di banche di investimento, al divieto di effettuare vendite allo scoperto di titoli in una data futura, dall’impedire il commercio di prodotti derivati, se non sono approvati ufficialmente dalla Securities and Exchange Commission – fino a un sistema di ritenute efficaci su determinate operazioni finanziarie. Non voglio infastidirvi, onorevoli deputati, con ulteriori dettagli. Naturalmente, la lobby bancaria globalizzata, si è già messa in moto per ostacolare tutto questo ed evitare regole comuni. I governi europei sono stati costretti a dover inventare nuovi “paracadute”. E’ ora di difendersi contro di essa. Quando gli europei avranno il coraggio di applicare una nuova regolamentazione ai mercati finanziari, allora potremo essere in una zona di stabilità. Almeno a medio termine. Ma se falliamo qui, allora il peso dell’Europa continuerà a diminuire mentre il mondo si sta evolvendo verso un duumvirato tra Washington e Pechino.
Per l’immediato futuro della zona euro continuano a essere necessari, e certamente tutti i passi precedentemente annunciati. Questi includono il fondo di salvataggio, i limiti del debito e il loro controllo, una politica economica e fiscale comune per avere una estensione di ogni politica fiscale nazionale, la politica della spesa, politiche sociali e le riforme del mercato del lavoro. Ma un debito comune sarà inevitabile. Noi tedeschi non possiamo rifugiarci in una posizione nazional-egoistica.
Ma non dobbiamo propagare in tutta Europa una politica di deflazione estrema. Occorre avviare progetti e per finanziare la crescita e il miglioramento. Senza crescita, senza lavoro, nessuno Stato può ristrutturare il proprio bilancio. Chi crede che l’Europa possa essere maestra solo nel risparmio, dovrebbe leggere qualcosa sull’impatto fatale della politica deflazionista attuata da Heinrich Brüning nel 1930/32. Ha innescato una depressione e un livello intollerabile di disoccupazione e pertanto avviato alla caduta la prima democrazia tedesca.
Ai miei amici. Infine, cari amici: la socialdemocrazia tedesca è stata per mezzo secolo internazionalista, abbiamo lottato per mantenere la libertà e la dignità di ogni essere umano. Abbiamo inoltre creduto nella rappresentanza della democrazia parlamentare. Questi valori ci impegnano oggi per la solidarietà europea.
Certamente l’Europa è formata anche nel 21° secolo da Stati-nazione, ognuno con una propria lingua e con la propria storia. Pertanto, non è certamente facile trasformare l’Europa in un Unione federale. Ma l’UE non deve degenerare in una semplice confederazione di Stati, deve rimanere una rete che si evolve in modo dinamico. Noi socialdemocratici dobbiamo contribuire al dispiegamento graduale di questo progetto.
Più si invecchia, più si pensa a lunghissimo termine. Anche da vecchio ho ancora stretti fra le mani i tre valori fondamentali del Programma Godesberg: libertà, giustizia, solidarietà. E credo che la giustizia richieda oggi pari opportunità le nuove generazioni.
Quando mi trovo a guardare indietro, agli anni bui dal 1933 al 1945, i progressi che abbiamo realizzato sembrano quasi incredibili. Cerchiamo quindi di lavorare e di combattere, perché l’Unione europea che storicamente è senza precedenti, esca dalla sua attuale debolezza.
Dobbiamo essere chiari e fiduciosi.
Fonte: Socialisti.net, dicembre 2011. Traduzione a cura di Paolo Borioni