LExpo 2015, l’Esposizione universale attesa a Milano per l’anno venturo, ha due temi: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. “Energia per la vita” può essere intesa sotto molti aspetti, ciascuno dei quali merita approfondimenti di carattere storico, ambientale, economico. Innanzitutto “la vita” per definizione, coinvolge un flusso di energia che comincia sempre con il Sole; anzi la vita, come noi la conosciamo, è comparsa quando la radiazione solare ha trovato sulla Terra le condizioni chimiche (acqua liquida, presenza di sali nei mari e sulle terre emerse, presenza di ossigeno, azoto e anidride carbonica nell’atmosfera) e fisiche (temperatura vicino a quella attuale), per avviare le prime reazioni chimiche che hanno portato alla formazione di esseri capaci di riprodursi.

Dapprima i vegetali che trasformano l’anidride carbonica in molecole organiche, poi gli animali capaci di nutrirsi di vegetali, poi gli organismi capaci di riciclare le spoglie e le scorie dei vegetali e degli animali e di rimettere in circolazione sostanze chimiche come “nutrimento” per gli altri esseri viventi. Vegetali, animali, decompositori, tutti tenuti in moto dall’energia solare, erano, da oltre un miliardo di anni, i protagonisti della vita quando alcuni animali si sono evoluti diventando i nostri antichi predecessori del genere Homo, poi evolutisi ancora nella specie Homo sapiens a cui apparteniamo noi.

A mano a mano che è aumentata la popolazione degli umani è aumentata la richiesta di alimenti ricavabili da vegetali e animali, la cui produzione ha richiesto a sua volta quantità crescente di energia, fino a quando è stato necessario integrare l’apporto dell’energia solare con l’energia muscolare del lavoro umano o degli animali e poi con l’energia dei combustibili fossili, carbone, petrolio, gas naturale, estratti dalle viscere della terra.

L’energia ha quindi un ruolo centrale per la vita e per l’alimentazione; occorre infatti altra energia per conservare i prodotti agricoli, per spostarli dai campi alle fabbriche, per trasformarli in alimenti commerciali, per trasportarli nei negozi e infine per consumare il cibo nella vita familiare e collettiva. Per ciascun alimento si parla infatti di un “costo energetico” (alcuni lo chiamano “impronta energetica”), definito come la quantità di energia necessaria per ottenere gli alimenti che entrano nella nostra dieta; una grandezza difficile da calcolare, tanto che i diversi studiosi propongono risultati molto differenti per lo stesso alimento.

Prendiamo il costo energetico di un uovo; un uovo pesa circa 60 grammi ed è costituito da circa 6 grammi di guscio, da circa 18 grammi di tuorlo e da circa 36 grammi di albume. Un uovo fornisce, a chi lo mangia, circa 300 chilojoule (circa 80 chilocalorie, come si diceva una volta) di energia vitale e circa 8 grammi di proteine, le due componenti principali dal punto di vista nutritivo, insieme a piccole ma essenziali quantità di vitamine. L’uovo è il risultato di un lungo ciclo vitale che cominciato con l’alimentazione di una gallina ovaiola che “consuma” ogni giorno circa 100 grammi di mangime, il cui costo energetico è di circa 400 chilojoule.

Supponendo che nel corso di una giornata la gallina deponga un uovo, si potrebbe dire che sia questo il “costo energetico” dell’uovo. Ma l’uovo deve fare ancora molta strada prima di arrivare a casa nostra; dall’allevamento alle operazioni di lavaggio, poi di timbratura e di imballaggio, poi di trasporto al negozio, poi di trasporto dal negozio a casa. Si può quindi stimare che il costo energetico di un uovo ammonti a circa 2000 chilojoule, in parte sotto forma di prodotti agricoli, i mangimi per la gallina, in parte sotto forma di elettricità o gasolio per il funzionamento delle macchine, per la fabbricazione dell’imballaggio e per il trasporto. Se si considera che in Italia si “consumano” circa 13 miliardi di uova all’anno, si fa presto a vedere che il costo energetico delle uova corrisponde, nello stesso periodo, a quello di oltre mezzo miliardo di litri di gasolio.

Si può calcolare che l’energia necessaria, nei campi e negli allevamenti e per azionare macchine e mezzi di trasporto, solo per soddisfare i bisogni alimentari italiani in un anno, rappresenti circa la metà di tutta l’energia usata nel nostro paese. Circa la stessa proporzione vale se si calcola il costo energetico di tutti gli alimenti, più o meno due miliardi di tonnellate all’anno, usati per nutrire i settemila milioni di abitanti del nostro pianeta. L’intreccio fra energia e alimentazione è ancora più stretto perché gli alimenti rappresentano soltanto una piccola frazione, circa un quarto, della grandissima biomassa di prodotti agricoli e zootecnici che vengono trasformati in pane, pasta, carne, latte, conserva di pomodoro, zucchero, verdura, eccetera, cioè negli alimenti che arrivano ai consumatori finali.

I tre quarti di tale biomassa, quella “perduta” negli scarti e nei residui agricoli e industriali, e l’altra materia presente negli scarti e negli sprechi dei consumi finali, “contengono” a loro volta una grande quantità di energia che potrebbe, almeno in parte, essere recuperata sotto forma di sostanze combustibili e quindi come energia utile per le attività umane. Una sfida per quella merceologia e tecnologia agricola e alimentare da cui almeno un miliardo di persone nel mondo aspetta una risposta alla propria fame di energia oltre che di cibo.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno. Per contattare Giorgio Nebbia, merceologo e pioniere della ecologia in Italia: nebbia@quipo.it