Vie d'Italia: è il museo degli errori. Il nuovo atlante delle papere stradali dalle Alpi ai nuraghi (3)
Continua il viaggio nella penisola del nostro autorevole e pignolo “cacciatore di errori urbani” che invita i lettori a sorridere tra curiosità e aneddoti e i sindaci a mettere mano alle correzioni delle targhe. Qui la terza puntata del suo singolare Giro d’Italia all’insegna di “Basta con l’approssimazione”
IL TEMPO DELLA STORIA
testo di Roberto Angelino¹ per Giannella Channel
Vie d'Italia: è il museo degli errori. Il nuovo atlante delle papere stradali dalle Alpi ai nuraghi (3)
Continua il viaggio nella penisola del nostro autorevole e pignolo “cacciatore di errori urbani” che invita i lettori a sorridere tra curiosità e aneddoti e i sindaci a mettere mano alle correzioni delle targhe. Qui la terza puntata del suo singolare Giro d’Italia all’insegna di “Basta con l’approssimazione”
IL TEMPO DELLA STORIA
testo di Roberto Angelino¹ per Giannella Channel
Nella targa giusta, in fondo alla strada, il povero Rosso è stato piazzato all’incrocio con un suo collega e coetaneo, il napoletano Vincenzo Gemito (1852-1929), al quale è stato riservato l’identico impreciso trattamento, con il cognome che precede l’iniziale del nome. A lui, comunque, hanno almeno riconosciuto professione e date di nascita e morte, per fortuna tutte esatte!
Sarà che la grafia straniera è più complessa, sta di fatto che sui cartelli stradali il nome di qualche vip non italiano è scritto in modo inesatto. Tra i più “storpiati”, chissà perché, tre politici statunitensi, capitanati da John Fitzgerald Kennedy, che in Sicilia è diventato Kennedj a Montallegro (AG), dove tra l’altro un burlone non certo di destra ha scritto via Togliatti sotto la targa. La pugliese Modugno (BA) ha invece dedicato al presidente ucciso a Dallas nel 1963 via Kennedi, poi maldestramente corretta a mano con l’aggiunta di due stanghette oblique che gridano vendetta.
Nel Salento leccese, per la precisione a Trepuzzi, due cartelli posti uno di fronte all’altro chiamano JFK sia Kennedi che Kennedy.
Gli altri due statunitensi con il nome “stropicciato” sono Benjamin Franklin (1706-1790), diventato Frenklin per pochi giorni nel 2014 a Prato,
e il presidente Franklin Delano Roosevelt, trasformato nel 2017 in Rooswelt nella piazza a lui dedicata a Palo del Colle, nel Barese.
Sempre nella cittadina pugliese, e proprio all’angolo con piazza Roosevelt, c’è poi l’equivalente di uno strike al bowling dell’ignoranza: via Nicolò Macchiavelli, con incise sul marmo una “C” di meno nel nome e una di troppo nel cognome.
Scorretta è anche la grafia sulla targa dello scrittore di Boston Edgar Allan Poe (1809-1849) che a Bologna, a due passi dal fiume Reno, si è visto aggiungere una “d” alla fine del primo nome, mossa degna di un maestro dell’horror come lui.
Latina, seconda città del Lazio dopo Roma per numero di abitanti (poco più di 127 mila) e di errori stradali (parecchi), è uno dei Comuni più devastati dalle cantonate verticali. Con una di queste apro il capitolo sulle parole che nelle targhe raccontano vita, morte e miracoli delle persone cui sono dedicate strade o piazze. La didascalia di via Pietro Verri a Latina Scalo, per esempio, definisce con tono eccessivamente telegrafico il filosofo e storico milanese “benemerito crescita e prestigio nostra città”. Peccato che Verri sia morto nel 1797, più di 135 anni prima che Latina venisse edificata dal regime fascista con il nome di Littoria.
E che dire dell’errore-orrore, corretto in velocità, segnalato nel 2019 al villaggio Palazzolo di Belpasso (CT), dove il domenicano e filosofo di Nola Giordano Bruno (1548-1600) era indicato sulla targa della sua via “matematico del Sec. 6° a.c.” (definizione che, per altro, sarebbe perfetta per il greco Pitagora)? Forse solo: beata ignoranza!
Nella didascalia della strada a lui intestata a Giubiano, rione di Varese, l’operaio-sindacalista Guido Rossa (1934-1979), assassinato a Genova negli anni di piombo dalle Brigate Rosse, era invece stato inizialmente presentato come “sacerdote filosofo (1797-1855)”. Però quelle – basta cercare su Internet – sono la qualifica e le date di nascita e morte di Antonio Rosmini, teologo originario di Rovereto beatificato nel 2007, pure lui con una strada dedicata a Varese, a un chilometro da via Guido Rossa. E il cui cognome inizia per Ros: vuoi vedere che il pasticcio all’ufficio toponomastico parte tutto da lì. Perdindirindina che equivoco, avrebbe celiato Tino Scotti nel Carosello dei confetti lassativi Falqui.
Però il massimo del minimo l’hanno raggiunto i tecnici comunali di Ravenna, che per spiegare che cosa ha reso celebre Guglielmo Marconi, sulla targa della sua via hanno scritto “1874-1937 Inventore della Radiografia”. Se avessero messo soltanto “Radio”, quanti sorrisi e sberleffi avrebbero evitato.
Infinite sono poi le inesattezze circa le date di nascita o di morte. Ecco tre esempi di targhe stradali con annesso strafalcione storico riguardanti: a Latina (ancora lei!) l’asso romagnolo dell’aviazione Francesco Baracca (deceduto in guerra nel 1918, non l’anno successivo); a Torino il politico napoletano Giovanni Amendola (nato nel 1882 anziché nel 1886) e a Ravenna il conte di Cavour (scomparso nel 1861 e non quattro anni dopo).
Per non farsi mancare nulla, nell’ottobre del 2019, sempre a Ravenna (dal lato della Capitaneria di Porto Corsini) hanno preceduto di un anno lo strafalcione in cui sarebbero incappati a Nichelino (TO): chiamare una strada via Po’, con un apostrofo sufficiente a tramutare l’omaggio al fiume più importante d’Italia nel troncamento della parola “poco”. Per la cronaca, il cartello è stato sostituito otto giorni più tardi (hanno tolto l’apostrofo e aggiunto una “P” maiuscola) dopo che alcuni residenti avevano pubblicato l’anomalia sul sito Facebook “Sei di Porto Corsini se…” e inoltrato una segnalazione a Palazzo Merlato, sede del Consiglio Comunale.
A proposito di apostrofi, nel 2013 il Comune di Milano ha accolto una richiesta della Lega per correggere le targhe stradali di una cinquantina di vie e piazze cittadine, sostituendo tutti gli apostrofi fino a quel momento erroneamente usati al posto degli accenti. Da allora, le targhe sono state quasi interamente corrette durante la manutenzione ordinaria.
Per restare a Milano, città della mala e di sublimi romanzieri polizieschi e noir come Scerbanenco, Olivieri, Crovi, Dazieri e Pinketts, segnalo un thriller stradale: il giallo delle targhe nere. La più allarmante sta dal 2013 in piazza Frattini, all’angolo con via Bartolomeo D’Alviano, di fronte agli uffici dell’Automobile Club, sulla cui facciata proietta un’ombra sinistra. Pareva un caso isolato ma in men che non si dica altre gemelle color antracite sono comparse qui e là in città, da Lambrate a piazza Repubblica. Appena fa buio non le si vede più e quindi paiono un mistero degno di essere “illuminato” da Agatha Christie.
Spesse due centimetri, pesano tra i sei e gli otto chili e misurano da un minimo di 60×30 cm. a un massimo di 90×35 (di più, le facciate non reggerebbero il peso). Una volta i teppisti tiravano sassate alle targhe, oggi le imbrattano usando vernici spray o pennarelli: ma se le prime si possono lavare, i pennarelli penetrano il marmo e la targa è da buttare. In certe vie di Milano più di 50 anni fa erano state piazzate delle orrende e luminose targhe in plexiglass, il bersaglio più amato dai vandali: ormai sono state sostituite quasi tutte con altre di marmo.
In città i nomi sulle targhe vengono incisi da tempo immemorabile con lo stesso carattere, un elegante “romano”, il più leggibile di tutti, in uso da prima dell’ultima guerra ed erede diretto del precedente corpo tipografico, che oggi si può ammirare a pochi metri dalle Colonne di San Lorenzo, sulla targa superstite più “storica”, quella in via Edmondo De Amicis all’incrocio con corso di Porta Ticinese
E proprio in corso di Porta Ticinese, strada fra le più alternative della città, nel 2011 un commerciante s’è opposto al degrado e ai graffiti lanciando il progetto “Via dell’ironia” in collaborazione con l’Accademia di Brera. Tra le tante idee, geniale quella di affiancare alle lastre marmoree altrettante targhe in legno colorate in cui il nome del corso si è trasformato in un simpatico rebus.
A voler esagerare, si poteva forse sostituire la scritta “corso” con il ritratto di Napoleone, nato ad Ajaccio.
Sempre a Milano mi piace ricordare i due attacchi cartacei subiti in tempi recenti dalle targhe di piazzale Luigi Cadorna (davanti alla stazione delle Ferrovie Nord), intitolato al discusso generale della disfatta di Caporetto. Il primo blitz risale alla notte del 21 novembre 2018: le targhe sono state coperte con adesivi ritagliati su misura con il nome e le date di nascita e di morte di suo padre Raffaele Cadorna, l’eroe della breccia di Porta Pia che nel 1870 guidò i Savoia alla presa di Roma. L’idea di dedicare la piazza a un altro Cadorna, che fosse il padre di Luigi o suo figlio (anche lui Raffaele e generale, decorato nella guerra di liberazione) era venuta due anni prima ai radicali di Milano, autori di una campagna contro Luigi, “per via dei 4.000 soldati italiani condannati a morte dai tribunali militari in processi sommari e perché dopo la Grande Guerra fu riabilitato da Mussolini, che alla sua morte gli dedicò vie e piazze”. A Ferragosto 2021, poi, hanno raccolto migliaia di firme in poche ore per intitolare con procedura d’urgenza assoluta piazzale Cadorna a Gino Strada, il medico fondatore di Emergency scomparso due giorni prima, a 73 anni.
L’altra incursione notturna contro i rettangoli di marmo di Cadorna è del 6 marzo 2021, quando la sua si è trasformata per un giorno in piazza trans-femminista grazie al blitz del collettivo Non Una Di Meno (sempre loro nel marzo 2019 e poi nell’estate 2020 avevano imbrattato di vernice rosa la statua di Indro Montanelli nei giardini che portano il suo nome in piazza Cavour). E così, per poche ore, piazzale Luigi Cadorna è diventato piazza Rita Hester, omaggio a una celebre transgender americana di colore, la musicista-ballerina-performer drag assassinata nel 1998 con venti pugnalate da mani sconosciute nella sua casa di Boston.
Povero Cadorna, Maresciallo d’Italia bistrattato a destra e manca, anche se pare che gli attacchi se li fosse meritati per davvero. Oggi, comunque, in cambio di pace marmorea, lui per primo sostituirebbe volentieri la propria targa milanese con quella più anonima che a Bologna indica dal 1877 via Senzanome. Alla prossima, con gli strafalcioni sulle strade. (3 – continua)