Ogni anno miliardi di euro destinati allo sviluppo dell’Ue vengono intascati o sprecati da governi e aziende. Nonostante le denunce, trovare e punire i responsabili è ancora troppo complicato
In Polonia un gruppetto di multinazionali ha speso circa sette milioni di euro provenienti dai Fondi sociali europei (Fse) per offrire corsi di formazione ai propri dipendenti. Questi fondi, in verità, erano destinati alle piccole e medie imprese, non per chi è già occupato e di certo non per i manager. In primo luogo, infatti, questi fondi sono stati studiati per aiutare chi ha una formazione inadeguata ed è da tempo disoccupato.
Il quotidiano olandese Trouw, che aveva rivelato l’uso improprio dei fondi europei, ha chiamato le multinazionali con il loro nome: Ing, Unilever, Philips e Bgz, la consociata polacca di Rabobank.
Il livello di uso improprio dei fondi è talora sconcertante. L’articolo riporta una dichiarazione di Grzegorz Gorzelak (foto a destra) del Centro per gli studi europei regionali e locali di Varsavia, secondo il quale “sembra che tutti cerchino di intascare soldi facilmente. Organizziamo corsi di formazione del tutto inutili. Spendiamo per album, biglietti da visita, copertine di cd, tazze, giocattoli e schede di memoria”.
Le voci sull’uso improprio dei fondi europei non sono nuove. Due anni fa il Financial Times, in collaborazione con il Dipartimento per il giornalismo investigativo, ha presentato i risultati di una minuziosa inchiesta che ha scoperto che i programmi europei per lo sviluppo delle regioni europee bisognose “sono paralizzati dal peso della burocrazia”.
Del resto, anche quando vengono individuati truffe e usi impropri di rado sono perseguiti. All’epoca il quotidiano aveva parlato di casi di multinazionali come Ibm, Fiat e H&M. La British American Tobacco aveva raccolto 1,6 milioni di euro di aiuti per la costruzione di una fabbrica di sigarette. Secondo la polizia italiana ogni anno circa 1,2 miliardi di euro in fondi europei finiscono nelle mani della mafia.
Bart Staes, europarlamentare dei verdi e membro della Commissione per il controllo del budget spiega: “L’uso improprio non riguarda soltanto i soldi provenienti dai tre Fondi strutturali europei più importanti che avrebbero dovuto essere destinati all’occupazione per lo sviluppo regionale e la coesione sociale. Anche i sussidi all’agricoltura molto spesso non sono utilizzati per i fini per i quali sono stati messi a punto”.
L’anno scorso la Corte dei conti europea ha smascherato l’esistenza di vaste estensioni di “terreni destinati permanentemente a pascolo” in Italia e in Spagna che avevano ottenuto sussidi, ma in realtà erano aree boschive o siti di “altri elementi non aventi i requisiti per ottenere i sussidi”. La compagnia aerea olandese Klm invece ha dato prova di maggiore creatività: ha ricevuto aiuti per 600mila euro per il catering offerto a bordo, spacciato per “esportazione di prodotti agricoli”.
Come chiarisce Staes, “non sempre il problema è una truffa. Per esempio, è stata davvero una buona idea utilizzare i soldi del fondo per lo sviluppo regionale europeo per ricostruire le strade intorno alla città di Anversa?”. La Commissione per il controllo del budget del Parlamento europeo lavora già da sette anni per incrementare la trasparenza e la vigilanza sui fondi europei. Il vero problema è che le istituzioni europee sono incapaci di monitorare l’uso corretto dei molti miliardi di euro messi a disposizione. Nel budget pluriennale del 2007-2013, ai soli tre fondi strutturali sono stati allocati non meno di 347 miliardi di euro, circa un terzo del budget complessivo dell’Ue. Se a questi si aggiungono i sussidi all’agricoltura, si arriva verosimilmente a una cifra pari ai tre quarti di quel budget.
Gli Stati membri sono responsabili della gestione di questi fondi e del loro uso a integrazione dei loro stessi investimenti. Da questo punto di vista godono di un grado considerevole di autonomia, e la Commissione europea ne è ben consapevole. Secondo il “Blunder Book”, la Commissione ammette che “vi sono considerevoli lacune in alcune aree come lo sviluppo rurale, la coesione e la ricerca”.
Staes aggiunge che “nel corso degli anni le amministrazioni nazionali e regionali poco alla volta hanno iniziato a considerare i fondi come fondi propri invece che soldi europei. Di conseguenza la vigilanza è inadeguata. La Corte dei conti europea ha calcolato che nel 70 per cento dei casi di uso improprio scoperti nei controlli, gli Stati membri avrebbero dovuto essere consapevoli che i soldi non erano utilizzati nel modo previsto”.
Fare i nomi. Nel 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per chiedere l’adozione della politica di “naming & shaming”, per rivelare e smascherare pubblicamente i colpevoli. I precedenti tentativi sono falliti per obiezioni legali: gli accusati possono infatti rivolgersi alla Corte di giustizia europea, che quando si tratta di tutelare la privacy adotta un approccio molto inflessibile. Alla fine dello scorso anno i commissari europei per le politiche sociali, regionali e agricole avevano promesso di unire le forze e garantire il successo dell’iniziativa.
Nel frattempo, la Commissione di controllo del budget del Parlamento europeo ha proposto che i ministri delle Finanze degli Stati membri siano tenuti a rispondere del loro operato. Fino a questo momento soltanto quattro Stati membri hanno appoggiato la proposta: Svezia, Danimarca, Regno Unito e Paesi Bassi. Secondo Staes, “non è un caso che proprio questi siano i membri più euroscettici dell’Ue”.
La crisi potrebbe indurre sempre più Stati membri a guardare all’Europa come a una mucca da mungere. Dice ancora Staes: “La tentazione di accedere ai fondi europei è sempre più forte”. Al momento la crisi sta creando buchi a un ritmo maggiore rispetto a quello col quale i Fondi strutturali europei possono ripararli. Il mese scorso Eurostat ha calcolato che nel 2011 viveva sotto la soglia di povertà o poco al di sopra di essa quasi un quarto dei 500 milioni di persone che compongono la popolazione europea. “Oltre il 27 per cento dei bambini dell’Unione è a rischio povertà o emarginazione sociale”, è stata la conclusione di Laszlo Andor, il commissario per l’occupazione, gli affari e l’inclusione sociale.
Fonte: De Standaard, Bruxelles / PressEurop – Traduzione di Anna Bissanti