La crisi editoriale sta mietendo vittime illustri, come il Frankfurter Rundschau e il FT Deutschland. In Ticino si susseguono le voci di tagli e accorpamenti. Quale il futuro della carta stampata? Le risposte di Matthias Karmasin, professore di scienze della comunicazione e dei media all’Università di Klagenfurt.

Matthias Karmasin

Professore, le ventilate chiusure del Frankfurter Rundschau e del Financial Times Deutschland sono le prime avvisaglie di una tempesta editoriale in Germania e in Europa?

“Temo che questi non saranno casi isolati. Il fenomeno a cui si assiste già negli Stati Uniti, dove stanno sparendo dal mercato quotidiani di lunga tradizione e vi sono città orfane dei loro giornali locali, non si esclude si possa presentare anche in Europa. Sono infatti note le difficoltà dei quotidiani svizzeri e austriaci, che da tempo vedono diminuire le loro entrate”.

I quotidiani cercano ormai da tempo di stare al passo coi tempi proponendo un’offerta su internet, smartphone e tablet. Tutto ciò basta loro per sopravvivere?

“Per quanto riguarda i giornali su internet si osserva che né l’online né le applicazioni su smartphone e tablet bastano per coprire le perdite. E se penso al The Guardian, il quotidiano con più successo nella sua versione online, si nota che la sua situazione economica è lungi dall’essere buona. Il problema che sembra essere comune a molte aziende che hanno messo a disposizione contenuti gratuiti dei loro giornali su internet, è quello di registrare, comunque, un ristagno degli introiti pubblicitari, anche per quelli ad alto contenuto qualitativo. Anche le cosiddette Mobile Devices, come per esempio le applicazioni sull’iPhone, a pagamento o meno, non forniscono garanzie sufficienti per sopravvivere”.

Oggigiorno si osserva il proliferare di giornali gratuiti. In Svizzera sono praticamente gli unici a registrare un aumento del numero di lettori. In questo caso la Svizzera rappresenta un’eccezione?

“No, la Svizzera non è un’eccezione. In tutti i casi non ci si può illudere che i loro lettori, in gran parte giovani e pendolari, all’improvviso si mettano a leggere quotidiani di qualità. L’alternativa è che questa tipologia di lettori non legga più alcun giornale. Ci si sbaglia quando si crede che i lettori di giornali gratuiti un giorno si metteranno a leggere la NZZ o la Süddeutsche Zeitung. Al massimo andranno su internet o su facebook. La sfida sarà quella di poter assicurare, anche in futuro, la qualità dell’opinione pubblica quando il mercato non darà più la possibilità di farlo. E quindi bisognerà trovare un altro modo per finanziarla”.

Attraverso il contributo pubblico? D’altronde anche le televisioni pubbliche come la SRG, la ÖRF o ARD sono finanziate dai cittadini e dallo Stato. Se vogliamo mantenere la qualità dell’informazione, sarebbe possibile proporre il finanziamento pubblico anche per i giornali?

“Sì, un finanziamento di base statale lo ritengo possibile. Questo per una questione di interesse pubblico, di bene comune (Public Value). In questo periodo in Svizzera e in Germania è animato il dibattito su questo tema, in particolare ci si chiede quale sarà in futuro la qualità dell’informazione. Qualità che di riflesso si riflette sull’opinione pubblica. E la domanda che ci si pone è come poter fare per assicurare a livello qualitativo il prodotto dei quotidiani e dei settimanali. Ma non solo. La domanda si pone anche per la qualità dell’informazione online e su come poterla finanziare. L’informazione e la sua qualità devono essere finanziate perché esse sono paragonabili alle infrastrutture di un paese, come lo sono le strade e la ferrovia, che costano agli Stati miliardi ogni anno. E “l’infrastruttura della democrazia” costa parecchi soldi”.

Quindi lei sarebbe favorevole a un finanziamento pubblico destinato ai giornali?

“Sì, ma bisogna in tutti i modi mantenere l’indipendenza di questi media. E bisogna fare molta attenzione. Il finanziamento pubblico non può superare il 50% del totale. L’indipendenza dei media è un valore importante. Media che devono essere liberi di essere critici e mantenere quella necessaria “distanza di sicurezza” dallo Stato. La politica non deve entrare nei media come è accaduto in altri paesi come l’Italia, che sotto questo punto di vista rappresenta un pessimo esempio”.

Qualche tempo fa in una trasmissione culturale di ÖRF un giornalista austriaco ha lodato i suoi colleghi tedeschi, molto più critici e grintosi rispetto ai suoi connazionali. Asseriva che in Germania quando un politico sbaglia, la stampa non lo perdona. In Svizzera come siamo messi?

“In Svizzera ci si conosce un po’ tutti e i giornalisti che si occupano di politica molto spesso danno del tu ai rappresentanti politici e molto spesso li frequentano anche nella vita privata. E’ naturale che quando vi sono questi presupposti risulta un po’ più difficile la critica rispetto a una Germania dove vi è una notevole distanza tra giornalisti e politici”.

E per finire, professore, come giudica la qualità dell’informazione in Svizzera?

“Gli svizzeri sono sempre molto apprezzati per la presenza di pluralità d’informazione e di opinione. Questa situazione, naturalmente, ha molto a che fare con la realtà plurilinguistica svizzera. In Austria, il giornalismo svizzero e i suoi canali pubblici come la SRG, sono da sempre molto apprezzati”.

fonte: www.tio.ch