Alla Regione Lazio i consiglieri guadagnano quattro volte di più dei deputati a Montecitorio. Lo rivela il Corriere della Sera, indicando in 211.064 la spesa annua della Regione per ognuno dei 71 membri del suo parlamentino. Soldi destinati a coprire gli stipendi dei collaboratori che compongono la squadra di ogni consigliere. Ogni eletto a Roma e dintorni ha diritto a un numero di sette. Inoltre, ogni consigliere ha ricevuto con apposita delibera dell’ufficio di presidenza 3.000 euro di forfait per sostenere ulteriori spese. Moltiplicato per i 71 consiglieri dei 17 gruppi fanno altri 2,5 milioni. Ma non è tutto. A prescindere dal come si sia scelto di contrattualizzare i propri collaboratori, ogni gruppo può fare delle assunzioni extra. Co.co.pro. o altre forme di lavoro a termine, senza limiti di numero, vincoli di durata, specifiche di ruolo. E giustificazioni formali che solo sulla carta hanno a che fare con l’attività politica. Sull’uso appropriato di queste somme, 211mila euro a consigliere, non c’è nessun controllo terzo, come ammette l’ufficio di presidenza.

La sede della Regione Lazio.

«È una enorme zona d’ombra – denunciano i due consiglieri Radicali Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo -, una prassi consolidata su taciti accordi sconosciuti e nascosti ai cittadini, che aumentano in modo poco trasparente i costi della politica».

Queste cifre, cadute nella quasi generale indifferenza dell’agosto rovente, meritano un confronto con l’Europa cui questo sito guarda come bussola.
La Danimarca ha una popolazione di poco inferiore a quella del Lazio: 5.728.688 sono i residenti sui 17.203 chilometri quadrati di quella regione dell’Italia centrale (dati al 31.12.2010); 5.574.000 gli abitanti di quello Stato europeo, sparsi su 43.094 kmq (Groenlandia esclusa). Quando arrivai a Copenhagen per il viaggio nell’Europa virtuosa che è uscito poi con il libro Voglia di cambiare (Chiarelettere, 2008), fui accolto dal primo autorevole testimonial incontrato lassù: Bruno Amoroso, economista e scrittore di origine italiana, professore emerito (e critico) nella storica università di Roskilde, a trentacinque chilometri da Copenhagen. Amoroso mi parlò di una qualità che è musica alle orecchie degli italiani, scioccati dai faraonici costi dei loro politici e, soprattutto, dei loro scarsi risultati concreti: «I politici danesi devono essere francescani e trasparenti, altrimenti è meglio che cambino mestiere, la casta italiana non abita qui». Francescani non è un aggettivo esagerato: qui i deputati sono quasi poveri, e quasi umili nell’apparire, e ognuno di loro ha un sito internet per dialogare con elettori e non.

Nel Parlamento danese (foto a destra) i centosettantanove membri (l’80 per cento sono impiegati, trentotto su cento sono donne, uno su tre va al lavoro in bici) guadagnano 72,4 mila euro lordi annui. E le spese del Parlamento sono di 79,3 milioni di euro, contro i 1589 milioni dell’Italia, dato di allora 2006, leggermente ritoccati in basso nell’ultoimo anno. (Altro dato utile: la legislatura danese dura quattro anni e il sistema elettorale è di tipo proporzionale con soglia di sbarramento al 2 per cento). «La politica danese sarà pure noiosa», ha scritto il quotidiano inglese Times, «ma ai danesi piace così. Hanno un alto prodotto interno lordo, bassa disoccupazione e amano la famiglia reale» (i cui figli hanno sempre frequentato asilo e scuole pubbliche).

Anche per questa politica francescana e insieme efficace (sono i danesi ad aver vinto la paura della disoccupazione grazie alla flessicurezza, formula che garantisce massima libertà agli imprenditori ma anche massima siurezza per i lavoratori accolti dopo l’eventuale licenziamento sotto l’ombrello protettivo dello Stato), la Danimarca è diventata il paradiso e una bussola per gli economisti.

E l’obiezione, spesso incontrata durante le mie conferenze di presentazione del libro, che in Danimarca le cose vanno meglio perché è un Paese piccolo rispetto all’Italia, è un’obiezione clamorosamente smentita dagli ultimi dati della Regione Lazio, equivalente (in abitanti) e grande più del doppio come estensione geografica.

Dopo questi dati, è facile immaginare un aumento degli italiani che vorrebbero essere danesi.