Come e perché gli Emirati Arabi Uniti usano l'inseminazione delle nuvole
di cui si parla dopo l'alluvione a Dubai.
(E una fosca profezia che raccolsi
da un meteorologo italiano)

Dopo le alluvioni di Dubai si è discusso molto di cloud seeding,
la tecnica di “inseminazione delle nuvole” per aumentare la pioggia: vediamo come funziona questa tecnica negli Emirati Arabi Uniti, tra progressi e criticità. E come
uno scienziato itaiano mi avvertì dei rischi derivanti dalla manipolazione della forza degli elementi naturali

testo introduttivo di Stefano Gandelli/Geo Pop*
intervista di Salvatore Giannella con il meteorologo Ezio Rosini (Europeo, 1975)

Il 16 aprile 2024  la città di Dubai e buona parte degli Emirati Arabi Uniti e dell’Oman sono stati colpiti da forti piogge e alluvioni che hanno mandato in tilt aeroporti e strade (nella foto d’apertura:  gli allagamenti in falso colore scuro visti da satellite, fonte: dati di Sentinel 2 – Copernicus elaborati da Esa). Oltre 250 millimetri di pioggia caduti in 24 ore in un’area che mediamente riceve 95 millimetri in un anno.

Le cause di questi rovesci sono multiple: da una parte nella Penisola Arabica era già presente un’area di bassa pressione (quindi di maltempo), dall’altra nei giorni precedenti erano state condotte 7 missioni di cloud seeding, “inseminazione delle nuvole”. Si tratta di una discussa tecnica di geoingegneria che permette di favorire lo sviluppo di pioggia all’interno di nubi già esistenti per mezzo di sostanze chimiche con funzione igroscopica o di condensazione. Gli Emirati sperimentano il cloud seeding da diversi anni, ma le piogge record dei giorni scorsi hanno riacceso i riflettori su questa tecnologia (e la memoria di un’intervista profetica con uno scienziato della meteorologia che condussi nel lontano 1975 per l’Europeo, Ndr).

Gli Emirati Arabi Uniti (UAE) sono forse il Paese che più sta investendo nella ricerca in questo campo e proprio per questo motivo vale la pena fare il punto della situazione, andando a vedere come funzionano le tecniche usate dagli UAE, quante missioni fanno all’anno e se queste funzionano veramente oppure no.

Il programma per il cloud seeding degli Emirati. Tutto ciò che riguarda il cloud seeding negli Emirati Arabi Uniti viene gestito dall’UAE Research Program for Rain Enhancement Science (UAEREP) al quale è stato garantito un fondo di 1,5 milioni di dollari distribuito in 3 anni per realizzare tutte le ricerche necessarie per studiare e migliorare questa tecnica. Nello specifico si occupano di:

[] prevedere dove e quando si formeranno nubi idonee per la formazione di pioggia;

[] quali sono le particelle corrette da “spruzzare” in atmosfera a seconda del tipo di nube;

[]  migliorare il monitoraggio delle nubi in tempo reale per comprendere meglio il funzionamento del cloud seeding.

Come funziona. Dal punto di vista tecnico il cloud seeding prevede di rilasciare in atmosfera varie tipologie di particelle per stimolare la formazione di pioggia all’interno delle nubi. Solitamente negli UAE vengono utilizzate:

[]   particelle igroscopiche come il cloruro di sodio, che assorbe l’umidità e quindi favorisce la condensazione nelle nubi umide;

[]  particelle come ioduro di argento o ghiaccio secco, che fungono da nuclei di condensazione in nubi fredde.

Schema e metodi per effetuare il cloud seeding li trovate a questo link:

https://www.geopop.it/cloud-seeding-emirati-arabi-uniti-come-perche-efficacia-inseminazione-artificiale-nuvole/

Teniamo comunque presente che queste sono le principali ma il programma di ricerca del Paese è molto attivo e, anche in questo momento, sono in fase di sviluppo nuove tecniche per ottimizzare il metodo e ottenere risultati sempre più inequivocabili e performanti. Per esempio è in fase di sperimentazione una tecnica che prevede di utilizzare piccole scariche elettriche per stimolare la formazione di pioggia, quindi senza l’uso di sostanze chimiche.

Inoltre gli Emirati avrebbero come obiettivo 300 missioni di cloud seeding nel 2024…

Perché viene fatto il cloud seeding negli Emirati Arabi? Riprendendo le parole del presidente dell’UAEREP Alya Al Mazroui,  valorizzare le piogge rappresenta un’opportunità per diversificare le risorse idriche e ridurre la dipendenza dalle forniture tradizionali. La popolazione degli Emirati, infatti, è in una fase di crescita e, di conseguenza, è in costante aumento la pressione sulle risorse idriche del Paese: con il cloud seeding il governo spera di mitigare la siccità e riuscire a ottenere un approvvigionamento idrico costante e affidabile.

Il cloud seeding funziona davvero? Domanda da un milione di dollari alla quale oggi non esiste ancora risposta certa al 100%. Da una parte abbiamo alcune fonti – come vari enti e associazioni di settore – che sostengono l’efficacia del cloud seeding, con un aumento delle precipitazioni attorno al 20-30% circa.

Dall’altra parte, però, non solo viene fatto notare che dal punto di vista statistico non esistono prove inequivocabili, ma anche che il cloud seeding per funzionare necessita di nuvole già cariche di pioggia, che quindi avrebbero potuto portare a precipitazioni anche senza l’intervento umano.

Proprio per questi motivi ancora oggi viene messa in discussione l’effettiva efficacia del cloud seeding. []

* Stefano Gandelli (foto) è un geologo appassionato di scrittura, collaboratore di Geopop (www.geopop.it), un popolare  progetto editoriale di Ciaopeople. In particolare a Gandelli piace raccontare il funzionamento delle cose e tutte quelle storie assurde (ma vere) che accadono nel mondo ogni giorno. “Credo che uno degli elementi chiave per creare un buon contenuto sia mescolare scienza e cultura “pop”: proprio per questo motivo amo guardare film, andare ai concerti e collezionare dischi in vinile”. Contatto: sgandelli@geopop.it.

QUANDO UNO SCIENZIATO MI SORPRESE: IL CLIMA PUò DIVENTARE UN’ARMA SEGRETA

colloquio di Salvatore Giannella con il meteorologo Ezio Rosini (da Europeo, 16.5.1975)

Roma. luglio 1975 – Si possono dirottare gli uragani? La possibilità di fare “pirateria meteorologica” sembrava appartenere al mondo della fantascienza o dell’umorismo. E invece è questa l’accusa che uno scienziato messicano (Sorge A. Vivo, direttore del Centro di ricerche geografiche dell’Università del Messico) ha rivolto agli esperti americani del Centro nazionale uragani di Coral Gables degli Stati Uniti: aver dirottato sull’Honduras un distruttivo uragano, denominato Fifi. La causa del dirottamento: “Anni fa l’Ufficio meteo americano annunciò l’avvicinarsi di un uragano alla Florida nel giro delle prossime 24 ore. I turisti cominciarono a lasciare gli alberghi di Miami e del resto della costa. Gli effetti sulla economia della Florida furono disastrosi. Dopo quell’episodio le autorità decisero di farla finita con gli uragani”. L’accusa di Vivo agli americani (che ovviamente respingono l’accusa) è arrivata un mese dopo l’appello del leader sovietico Breznev per mettere al bando una nuova arma (“ancor più terrificante di quella nucleare””), quella della guerra meteorologica.

Cominciava così il mio testo sull’Europeo e con quella domanda chiave (“E’ possibile che la meteorologia possa diventare un’arma climatica?”) andai a trovare uno dei maggiori esperti italiani: Ezio Rosini. 61 anni, che dirigeva a Roma l’Ufficio centrale di Ecologia agraria e difesa delle piante coltivate dalle avversità atmosferiche e insegnava meteorologia all’Università romana della Sapienza.

Il professor Ezio Rosini (Parma 1914 - Roma 2002), fondatore e pilastro della moderna climatologia italiana. Già ufficiale del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica militare, dopo il 1970 collaborò alla costituzione del Servizio meteorologico dell'Emilia Romagna. Tra i suoi libri: "Simposio sulla fisica delle nubi: applicazioni all'agricoltura" (1958), Il suo profilo biografico completo è su http://www.nimbus.it/articoli/2002/020405rosini.htm>

Il professor Rosini spiega: “Lo scienziato, quello che ricerca e pubblica tutto quello che ha scoperto, è colto di sorpresa sia dalla notizia che giunge dal Messico, sia  dall’appello-denuncia di Brežnev. Perché? Perché c’è un distacco, che negli ultimi anni si è andato sempre più accentuando, tra la scienza ufficiale e quella (chiamiamola così) occulta, coperta da segreto militare. I metereologi sono arrivati a modificare il tempo. La modifica si ottiene con l’uso di particelle microscopiche dette nuclei  glaciogeni (tipo ioduro di argento) o grossi nuclei di condensazione (tipo cloruro di sodio o anidride carbonica, cioè il sale comune e ghiaccio secco). Introducendo nelle nuvole tali nuclei, si possono provocare la stimolazione e l’aumento delle precipitazioni piovose o la prevenzione (e quindi la soppressione) della grandine. Le applicazioni all’agricoltura hanno reso ormai note queste tecniche. Quello che da tempo stanno cercando di scoprire negli Stati Uniti (periodicamente soggetti a questi disastrosi fenomeni) è la possibilità di modificare le caratteristiche degli uragani.

I tifoni, ormai, non colgono di sorpresa più nessuno. Satelliti e aerei ne spiano la formazione, gli uffici meteorologici ne valutano con ragionevole esattezza i movimenti. Ma è possibile fermarli prima che scarichino la loro violenza su una zona abitata? I tecnici americani che lavorano al Progetto Stormfury (furia dell’uragano) ritenevano di essere riusciti seminando una certa quantità di ioduro d’argento nell’occhio del tifone. Teoricamente la semina avrebbe dovuto funzionare così: le particelle di ioduro d’argento favoriscono la trasformazione in ghiaccio delle gocce d’acqua contenute nelle nubi. Il congelamento provoca una dispersione di calore all’interno del tifone. Il calore riduce la pressione atmosferica nella zona adiacente il centro a bassa pressione del tifone, e quindi elimina, o almeno riduce, la differenza di pressione che determina l’altissima velocità del vento negli uragani. Questo in teoria. In pratica, però, la semina dei tifoni ha avuto risultati contrastanti. Nel 1947 un uragano seminato deviò improvvisamente, ritornò sugli Stati Uniti e provocò nuovi ingenti danni in Florida, Carolina del sud e Georgia. Altri due tentativi di semina effettuati nel 1965 e nel 1967 provocarono anche loro un aumento di intensità degli uragani che deviarono dalla loro rotta. Non fu possibile accertare un rapporto di causa ed effetto tra semina e inversione di cammino. Il governo americano, comunque, impose una maggiore cautela. Gli aerei del Progetto Stormfury furono autorizzati ad affrontare il tifone solo quando esistevano meno di 10 probabilità su 100 che esso raggiungesse la costa nelle 24 ore successive alla semina.  Per l’uragano deviato sull’Honduras, lo scienziato messicano accusa gli Stati Uniti (che negano) di aver usato proprio la semina di ioduro d’argento. Ma non ha le prove”.

Professor Rosini, lei parla di una metereologia occulta…

“Sì, gestita dai militari si sta sviluppando questa scienza tanto potente quanto pericolosa per l’umanità. Essa sfugge a ogni regola morale e le grandi potenze la sviluppano in insanabile contraddizione con la conclamata volontà di pace. Mi viene in mente, ad esempio, l’allagamento provocato con la semina artificiale delle nubi da parte dell’aviazione americana nel Vietnam per allagare il sentiero di Ho Ci-min (con danni incalcolabili e duraturi per l’agricoltura e l’ambiente). Della passione del Pentagono per la guerra meteorologica si seppe nel 1970 . allorché si parlò del progetto Nilo blu o, in parole più chiare, ricerca per la modifica del clima. Quell’anno il governo americano ne ammise per la prima volta l’esistenza durante la discussione del bilancio militare al Senato. ‘Il progetto – dichiarò Stephen Lucas, direttore dell’Ufficio ricerche avanzate del Pentagono –  è stato istituito nell’anno fiscale 1970 dato che parrebbe accertata la capacità di creare cambiamenti di clima tali da mettere in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti’ , Ora c’è l’appello di Breznev”.

L’uomo della strada si chiede perché mai, avendo a disposizione arsenali di armi nucleari capaci di distruggere l’intero globo, si spendano tanti soldi per ricerche sulla guerra meteorologica.

“La risposta è facile, l’ha dato già il professor McDonald, consigliere scientifico dei presidenti Johnson e Nixon, in un suo libro che resta l’unico saggio su una guerra del genere. Il fascino della guerra meteorologica sta nella segretezza che offre all’aggressore. Terremoti, siccità, piogge sarebbero interpretati come fenomeni naturali”.

Così tramonta del tutto l’immagine della meteorologia come “scienza che indovina il tempo che ha fatto
ieri “…

“Che le due megapotenze tendano a farne una terribile arma lo dimostrano i recenti avvenimenti, passati inspiegabilmente sotto silenzio, che mi hanno visto sgomento testimone. A Washington e a Ginevra si sono tenuti i congressi dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Io rappresentavo l’Italia. E lì l’ONU ha lanciato un appello per un programma di assistenza agrometeorologica della quale avrebbero beneficiato i paesi africani, asiatici e dell’America latina. I rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Unione sovietica hanno sabotato il programma ed ecco che la meteorologia, invece che aiutare a ottenere raccolti agricoli più consistenti, viene indirizzato nel settore politico militare e si avvia a innescare e a far esplodere la bomba della fame. []

Fonte: L’Europeo, 16 maggio 1975. Due anni dopo, nel 1977, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, con l’India e alcune nazioni europee, hanno firmato la Convenzione sulle modificazioni ambientali. L’accordo vieta tecniche di modificazione del tempo per scopi militari.

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