Barca: “Il capitalismo? Va ridiscusso. Più giustizia sociale altrimenti le disuguaglianze ci travolgeranno”

Qualcuno se lo sarà chiesto: che fine ha fatto Fabrizio Barca, l’ex ministro ‘illuminato’ che doveva rigenerare i circoli del Pd e rilanciare la sinistra? La risposta è arrivata quando, lo scorso 25 marzo, ha illustrato a Roma un rapporto con 15 proposte programmatiche che mirano a modificare i principali meccanismi che determinano la formazione e la distribuzione della ricchezza: dal cambiamento tecnologico al salario minimo, dal concetto di sovranità collettiva al campo della ricerca. “L’ingiustizia sociale e la percezione della sua ineluttabilità sono all’origine dei sentimenti di rabbia e di risentimento dei ceti deboli verso i ceti forti e della dinamica autoritaria in atto”, evidenzia Barca. Lontano dai riflettori, ha ideato il Forum disuguaglianze e diversità collaborando con le migliori menti in circolazione ed aprendo a volti noti come l’ex presidente dell’Istat Enrico Giovannini, il direttore del Servizio Analisi statistiche di Bankitalia Andrea Brandolini e a diverse onlus come la Fondazione Lelio Basso, ActionAid, Cittadinanzattiva, Caritas e Legambiente.

Partiamo dai numeri: i dati Oxfam evidenziano come nell’era della crisi ci sia stata un’accumulazione delle ricchezze nelle mani di pochi a scapito di molti. Ciò dimostra che la crisi non è stato un fenomeno generalizzato?

Da come si evince dal grafico relativo al periodo tra il 1995 e il 2016, la quota di ricchezza dell’1% più ricco della popolazione adulta è passata dal 18 al 25%, quella del 10% più ricco dal 49 al 62%: l’andamento, quindi, è cominciato vari anni prima della crisi economica. Il problema era strutturale. Possibile che la politica ha impiegato 20 anni per capire che, persino in una società capitalistica, quel trend era insostenibile?

Mentre le diseguaglianze crescevano, la politica non si occupava minimamente del tema: scelta strategica o semplice svista?

Di mezzo ci sono gli interessi di una classe dirigente – sempre più intrecciata ai poteri economici e finanziari – che ne ha tratto beneficio. Esiste, secondo me, anche una seconda ragione che gli studi di Anthony Atkinson ci sottolineano: alla fine degli anni ‘70 è cambiato il senso comune su parole chiave come povertà e merito.

Ci faccia capire meglio…

Prima il merito era legato al visibile impegno di una persona nell’aggiungere valore, anche privato, che avesse delle ricadute sociali. Oggi viene vincolato al risultato patrimoniale che una persona esibisce nella vita. Quindi il solo aumento di ricchezza viene inteso come segno di successo. Lo stesso discorso vale per la parola povertà: una volta si pensava – finanche con pietismo – alle sciagure capitate al povero disperato, adesso si tende a colpevolizzarlo. Questo cambiamento gramsciano del senso comune ha sviluppato una distorsione culturale.

Fabrizio Barca (Torino, 1954).

Il sociologo Luciano Gallino parlava di una controffensiva neoliberista iniziata da Reagan e Thatcher che aveva portato a un pensiero unico dominante, riducendo le differenze tra destra e sinistra. Questo dato rimane, però, centrale?

La svolta avviene quando si accetta in maniera dogmatica il motto “There is no alternative”. Ma la crisi che la socialdemocrazia incontra alla fine degli anni ‘70 non è casuale: quel modello evidenzia i propri limiti in quanto burocratico e top-down. L’idea straordinaria di Olof Palme e Willy Brandt di celebrare la redistribuzione delle ricchezze e la partecipazione democratica vacilla perché l’intervento, a monte, sul come si formasse la ricchezza era stato insufficiente.

Sta criticando il pensiero keynesiano?

Certo, la diseguaglianza non si può contrastare soltanto con la redistribuzione. Bisogna assumere il dato che la socialdemocrazia viene spazzata via da Reagan e Thatcher perché il modello keynesiano, in quegli anni, manifesta i suoi limiti.

Il miliardario Warren Buffett è il terzo uomo più ricco al mondo e qualche anno fa ha detto: “La lotta di classe esiste da vent’anni e la mia classe l’ha vinta”. Che ne pensa? È ancora sensato parlare di lotta di classe?

A lui piace il paradosso, però coglie una verità all’interno del processo finora descritto: l’arroganza dei Mark Zuckerberg di questo mondo che si permettono di non recarsi nemmeno davanti al Parlamento britannico. I potenti dettano legge e si sentono intoccabili.

Passiamo al rapporto del Forum, le vostre 15 proposte si possono considerare liberal-socialiste?

Dal punto di vista culturale riflettono le tre componenti – liberale, socialista e cristiano sociale – che sono nell’articolo 3 della Costituzione che sancisce come “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Sono due le parole che ci contraddistinguono. La prima è “persona”, termine che rappresenta un valore comune a tutte le culture politiche. Una seconda parola è “radicale”. Non ci interessa il riformismo perché non sfrutta i grandi spazi non capitalistici che puoi guadagnare dentro il capitalismo. Si deve ricominciare a incidere sui meccanismi di formazione della ricchezza.

Un Barca rivoluzionario che mette in discussione il capitalismo?

È stato già messo in discussione tra gli anni ‘50 e ‘70. Poi abbiamo lasciato per 30 anni che la società si adattasse al capitalismo, ora dobbiamo invertire la rotta: pretendiamo che la società riprenda il governo del cambiamento tecnologico e del passaggio generazionale ridando potere negoziale al lavoro.

Tra le proposte, alcune mirano a contrastare i giganti del web. Come si possono combattere i vari Amazon, Google e Facebook?

Sono almeno 4 anni che una letteratura globale ha la consapevolezza di aver abbandonato il web nelle mani di pochissimi e questa consapevolezza parte da intelligenze femminili perché le donne hanno sempre lottato contro il lavoro gratuito e hanno intuito la sussunzione (in generale la sussunzione è l’atto del sussumere, il ricondurre un concetto nell’ambito di uno più ampio che lo comprende, Ndr) dei giganti del web insita nel caricamento dei nostri dati. Per questo bisogna riconquistare una sovranità collettiva sui dati personali e sugli algoritmi, pur sapendo che sarà una battaglia lunga e non facile. Siamo agli inizi.

Cosa significa, in pratica, costruire nuove sovranità collettive?

Innanzitutto reclamare la possibilità di esprimerci sul modo in cui vengono utilizzati i nostri dati. In secondo luogo, significa chiedere l’aumento del numero di open data in modo tale da far accedere ai dati web nuove Comunità di Innovatori.

Quali sono le altre problematiche che avete riscontrato nel mondo della Rete?

In una logica di pricing l’amministrazione pubblica regala i numeri alle grandi multinazionali senza passare per la Rete per cui il cittadino si ritrova a pagare i propri stessi dati. Capisce bene l’assurdità.

Nella proposta 2 si parla del “modello Ginevra per un’Europa più giusta”. L’idea è dell’economista Massimo Florio, in che consiste?

Si va oltre il pensiero di Mariana Mazzucato, non sono sufficienti le mission strategies. I grandi monopoli sicuramente vengono infastiditi dal lavoro dal basso, ma vanno contrastati in altro modo. Come? Creando un gigante ex novo che entri in competizione con loro. È una vecchia idea geniale di Enrico Mattei. E questo gigante deve essere pubblico. In Europa già esistono 300 infrastrutture pubbliche governate da manager con autonomia di bilancio. Si fermano alla ricerca di base. Con il modello Ginevra chiediamo che a partire da quelle stesse strutture si dia vita a hub tecnologici pubblici o pubblico-privati che si spingano a realizzare innovazioni di prodotto e commercializzarle.

Nell’era delle privatizzazioni selvagge, Barca va controcorrente e si schiera per il ritorno alle nazionalizzazioni?

Mettiamola così: l’Italia detiene molte imprese pubbliche, dalle Casse depositi e prestiti a Leonardo, per intenderci. Esse non ricevono dallo Stato una trasparente missione strategica sulla competitività, sull’ambiente e sulla giustizia sociale. Noi chiediamo che ciò avvenga, introducendo regole che garantiscano da un uso distorto di tale ruolo.

Parlate anche del salario minimo fissato a 10 euro l’ora…

È una battaglia fondamentale e il salario minimo legale deve riguardare tutti perché ci dobbiamo prefissare l’obiettivo di raggiungere anche il lavoro dipendente ma non riconosciuto, oggi, come subordinato o la vasta area del precariato giovanile.

A tal proposito come giudica il provvedimento del M5S e il niet dei sindacati?

La proposta pentastellata ha un pregio: intuisce che non è realizzabile il salario minimo in Italia se prima non è stato risolto il problema di rendere validi erga omnes le condizioni minime sindacali dei contratti nazionali. Questa è la via maestra.

Come replica a chi le dice che al Sud costa meno la vita e, quindi, fissare il salario minimo a 10 euro ha valore diverso a seconda dell’Italia che si abita?

Che è una follia, se da un lato in alcune zone del Mezzogiorno costa meno la vita dall’altra si hanno meno servizi pubblici garantiti (trasporto, sanità, scuola). Il provvedimento deve essere su scala nazionale.

Un’altra proposta è quella di introdurre un’eredità incondizionata di quindici mila euro per tutti i giovani che raggiungono la maggiore età. Dove si trovano le coperture economiche per un provvedimento simile?

La proposta viene associata a un’altra che riguarda la trasformazione delle imposte di successione, che a oggi coinvolge circa 110mila persone. Il meccanismo attuale infastidisce il ceto medio e fa il solletico ai ceti abbienti. Noi vorremmo che 80mila persone cessino di pagare ogni imposta sui lasciti delle donazioni e che gli altri 30mila benestanti paghino quello che è dovuto. La proposta di una robusta progressività viene caldeggiata persino dall’Economist, la potremmo considerare liberale e di destra.

Franco Ippolito, presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso.

Le aggiungo una sedicesima proposta: la patrimoniale. È favorevole o meno?

La patrimoniale appartiene a un’altra storia, al passato. In queste 15 proposte noi vogliamo cambiare i meccanismi di formazione della ricchezza e guardiamo al futuro. Come ha detto Franco Ippolito, il presidente della fondazione Basso: siamo convinti che ognuna di queste proposte sia realizzabile fin da subito. Aggiungo che se si attuassero tutte e 15, il Paese verrebbe così radicalmente trasformato che non ci sarebbe bisogno di una sedicesima proposta.

Quale partito guarda al futuro e può fare sue queste 15 proposte?

Noi siamo un piccolo gruppo – o forse neanche così troppo piccolo – che si è dato lo scopo di lavorare subito con 12 alleati nella società e poi di essere usati dai partiti per iniettare idee nel loro lavoro. Non vediamo un progetto ma vediamo molti giovani in partiti diversi che cercano una strada.

Al momento non ci sono chance per costruire un’alternativa al salvinismo ma sono necessari tempi lunghi?

In atto ci sono due partite. La prima è nell’immediato: a breve ci saranno le elezioni Europee e ognuno voterà secondo coscienza nella consapevolezza che siamo nell’ottica del “meno peggio”. La seconda partita è, invece, sul lungo periodo: bisogna mettere insieme le conoscenze dei mondi della ricerca e della cittadinanza attiva. Vanno costruiti nuovi luoghi che possano acquistare egemonia culturale e politica nel Paese, penso al frammentato, ma ricco, mondo dell’associazionismo alle campagne sociali, ai movimenti, alle alleanze contro la povertà. Per fare questo lavoro ci vorranno almeno 3-4 anni.

Non siete, quindi, soltanto un semplice think-thank utile a rielaborare idee e teorie?

Siamo un misto di “ricercazione”. Abbiamo rispolverato questo termine nobile perché abbiamo mescolato teste e braccia delle organizzazioni di cittadinanza con teste e braccia dell’accademia.

Quali sono i prossimi passi del Forum?

Abbiamo posto la base programmatica, nei prossimi mesi gireremo l’Italia per dibattere e sperimentare queste proposte. Ci interessa realizzare campagne sociali e radicarci sui territori. Riteniamo che non ci sia nulla di ineluttabile nelle disuguaglianze: se i poteri, le opportunità e i risultati non vengono riequilibrati, è perché si è scelto di non farlo. Un’alternativa esiste ed esistono le condizioni per trasformare i sentimenti di rabbia nella leva di una nuova stagione di emancipazione che accresca la giustizia sociale.

* Twitter dell’autore: @giakrussospena. MicroMega, “per una sinistra illuminista”, è una rivista bimestrale di cultura, politica, scienza e filosofia. Fondata nel marzo 1986, la rivista è diretta da Paolo Flores d’Arcais ed edita da GEDI Gruppo Editoriale. Link per iscriversi alla newsletter.

A PROPOSITO/ QUANDO LO INCONTRAI IO

“Il mio uomo faro? Amartya Sen. Quell’economista e Nobel indiano ha dato una risposta alle paure e alla arida globalizzazione”

intervista di Salvatore Giannella per Sette / Corriere della Sera*

FABRIZIO BARCA (Torino, 1954). Nel 2013 ha aderito al Partito Democratico, l’anno dopo ha dato vita al progetto Luoghi idea(li), finanziato tramite raccolta fondi, con il quale si propone di sperimentare una nuova forma di “partito palestra” che adotti nuovi metodi di azione, partecipazione, produzione di conoscenza e comunicazione. La sua nuova avventura… con 31 persone speciali è a questo link.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Caro Barca, la ritrovo con piacere a Praiano, dove dalla primavera 2016 hanno aggiunto alla bellezza della Costiera amalfitana otto itinerari d’arte grazie a un progetto finanziato dai cittadini, che si sono autotassati, e da fondi europei: un modello di riscossa civica da imitare secondo lei che, come ministro del governo Monti, aveva fatto un buon lavoro per intercettare maggiori quote dei fondi Ue, e come direttore generale del ministero dell’Economia…

“Alt, mi sono dimesso un mese fa. Ritengo che il mio patrimonio di conoscenze possa essere di maggiore aiuto a giovani e associazioni che devono progettare il futuro. E voglio favorire la conoscenza di storie virtuose come quella del museo all’aria aperta di Praiano”.

L’ho sentita parlare di crisi dei partiti, di incertezza generale, di una fase in cui si cercano persone di riferimento delle quali fidarsi. Chi orienta lei?

“L’economista Amartya Sen. l’ho conosciuto negli Stati Uniti grazie all’usanza della Banca d’Italia di mandare i suoi funzionari all’estero per aggiornamento. Lo convinsi a venire in Italia ed è cominciata una studiosa amicizia, rafforzata dalla lettura (favorita dalla rottura di un malleolo nel 2009 che mi costrinse a letto) del suo libro-chiave ‘L’idea di giustizia’. quella lettura mi ha cambiato la vita. Amartya rappresenta, in questi anni che hanno acuito le diseguaglianze sociali, una risposta completa alle sfide e alle paure che ci pone la globalizzazione”.

AMARTYA SEN (Santiniketan, India, 1933). Ha vinto il Nobel per l’economia nel 1998. Insegna ad Harvard. Si è sposato tre volte: con Nabaneeta Dev, scrittrice e studiosa indiana; con Eva Colorni, figlia di Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann; nel 1991 con l’attuale moglie, Emma Georgina Rothschild, della famiglia Rothschild. Il suo libro L’idea di giustizia, è stato pubblicato in italiano da Mondadori nel 2009.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Mi aveva colpito un allarme che Sen aveva lanciato anni fa contro il mono-identitarismo, il pericoloso fanatismo delle identità.

“Amartya ci sprona a impegnarci per prevenire ed eliminare le ingiustizie gravi, partendo dai bisogni del singolo. Lui l’ha chiamata capability, la capacità di mettere gli individui in condizione di sviluppare la personalità e realizzare le aspirazioni grazie al diritto alla salute, al lavoro e all’istruzione: in fondo questo ci dicono i nostri Padri costituenti quando, all’articolo 3, sottolineano che

è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Un promemoria importante per le sinistre europee, in difficoltà perché parlano poco ai diseredati facendoli finire nelle maglie del populismo. Un altro suo insegnamento è che le soluzioni ai problemi possono nascere solo da un confronto sincero, acceso, aperto (anche agli antagonisti, ma mai alla violenza) e informato (sempre corredato da numeri e dati di fatto). Un confronto capace di farci contaminare da opinioni e valori diversi, che ci consentono di raggiungere dei compromessi: lui porta l’esempio della riforma sanitaria voluta da Obama, che non è certo il massimo ma è un passo avanti per mitigare un’ingiustizia”.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

* La mia intervista a Fabrizio Barca è apparsa nel giugno 2016 nella serie “I miei eroi”, 220 dialoghi da me curati sullo storico magazine del Corriere della Sera, per un quinquennio diretto da Pier Luigi Vercesi. Una prima selezione di 67 interviste, arricchita con retroscena e curiosità, è stata raccolta nel libro “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo”, Minerva Edizioni, Bologna, 2018.

Dalla collana “Il mio eroe”: