Riannodiamo il filo nel nome di Maria Lai, artista sarda, bambina antichissima

Nome Maria
Cognome Lai
Data di nascita 27 settembre 1919
Luogo di nascita Ulassai (Nuoro)
Data di morte 16 aprile 2013
Nazionalità Italiana
Segni particolari Artista

L’edizione 2020 della autunnale Marcia per la Pace Perugia-Assisi è stata caratterizzata dalla catena umana dei costruttori di pace legati simbolicamente da un filo. Quel filo simboleggiava, l’11 ottobre scorso, l’impegno dei 2.500 partecipanti alla marcia, per lo più giovani, a tessere nuovi rapporti umani basati sulla cura reciproca. E pure un filo ha accolto i turisti sbarcati ultimamente in Sardegna. Scorgiamo un gruppo di ragazzi con un cartello in mano:

Mostra Fame d’infinito. Segui il filo e non aver paura, sei parte di un’opera d’arte,

non importa se non capisci, segui il ritmo.

Quel filo porta in un posto veramente magico, dove un intero paese è un museo a cielo aperto, e gli abitanti di questo paese incantato sono parte attiva di un’opera d’arte, legati l’uno all’altro con un filo.

Era l’8 settembre 1981 e l’opera “Legarsi alla montagna” sarà la prima opera di arte relazionale d’Italia. La donna che progettò e ideò questa opera che coinvolse tutto il paese di Ulassai, è Maria Lai.

Maria Lai nasce proprio ad Ulassai, un piccolo paese di 1.500 anime in provincia di Nuoro, nel 1919. L’intera zona insieme ad alcuni centri della Ogliastra, è nota per essere la “zona blu” internazionale, così denominata per identificare l’area demografica/geografica con la presenza di ultracentenari e la speranza di vita più alta rispetto alla media.

Maria, figlia di Giuseppe e Sofia Mereu, è la seconda di cinque figli. Di salute cagionevole, trascorre l’infanzia lontana dalla famiglia, soprattutto nei mesi invernali. Questo rende Maria una bambina diversa dalle altre. Nei mesi invernali infatti salta completamente le scuole materna ed elementare. L’isolamento la rende taciturna e solitaria, ma le fa scoprire la sua attitudine per il disegno.

A nove anni inizia la scuola a Cagliari. Fondamentale è l’incontro con un professore, di italiano e latino Salvatore Combosu, il quale, cogliendo il particolare carattere, l’avvicina alla poesia orientando la sua attenzione al ritmo (“Non importa se non capisci, segui il ritmo”), più che al significato delle parole.

Nel 1940 Maria si trasferisce a Roma per frequentare il liceo artistico e poi dal 1942 al 1945 è a Venezia, dove, senza alcun aiuto economico da parte della famiglia, segue il corso di scultura tenuto dal grande scultore Arturo Martini all’Accademia delle belle arti. Sono anni questi di disagio. Le donne faticavano ad essere accettate nel mondo dell’arte. Nonostante ciò a Maria sembrava di essere al posto giusto, come lei stesso avrà modo di dichiarare.

Finita la guerra, Maria torna in Sardegna, dopo un viaggio rocambolesco compiuto fra treni, navi da guerra e scialuppe di salvataggio. Questo ritorno nella sua difficile terra d’origine («in questi paesi sardi, poco comprendono di arte e di letteratura», Grazia Deledda, in “Canne al vento”, 1913) segna l’inizio di un periodo difficile, soprattutto di sofferenza. Il fratello maggiore Gianni si salva per miracolo da un tentativo di sequestro di persona, mentre nel 1954 il fratello minore Lorenzo, viene assassinato nei pressi Ulassai. Maria decide quindi proprio nel 1954 di tornare a Roma.

Nel 1957 presenta la sua prima mostra personale alla galleria l’Obelisco di Irene Brin.

La mostra ha successo. Maria, però, decide di rinchiudersi in quel silenzio che lei tanto ama. Comincia una bellissima amicizia con lo scrittore Giuseppe Dessì, suo dirimpettaio a Roma. Maria riscopre, in modo diverso, il mondo della poesia e della scrittura. Attraverso lo scrittore, Maria comprende il privilegio e l’importanza di essere sarda, riscopre così miti e leggende della sua terra, sperimentando nuove forme e nuovi materiali: telai e pani e successivamente libri cuciti, le geometrie-geografie di stoffa.

Un’opera ricamata da Maria Lai.

Attraverso il lavoro di Maria, chiunque può scoprire la bellezza di una cultura millenaria, come nel caso delle sculture del pane, prodotto legato alla quotidianità e al lavoro femminile.

Maria fotografa il passato per suscitare nostalgia del futuro.

Nel 1971 Maria espone nella Galleria Schneider di Roma, i suoi primi Telai. Opera in cui pittura, scultura e tradizione si intrecciano. Attraverso la libera interpretazione dell’artista, l’opera evoca l’intimità e la cura quotidiana di un mondo esclusivamente femminile.

Gli anni Ottanta invece si caratterizzano dal ciclo delle Geografie e dei Libri cuciti. Le prime sono composizioni realizzate con stoffe e richiami che rappresentano pianeti, mondi immaginari e costellazioni, mentre i Libri richiamano un legame profondo tra tessitura, ricamo e scrittura in cui sono rappresentati miti, leggende e favole della cultura e tradizione sarda. I Libri rappresenta un’opera silenziosa e introspettiva, quasi intima, una linea tra passato e presente.

Il concetto di filo o per meglio dire di linea (parola la cui etimologia significa proprio filo di lino), risaltano nell’opera-azione “legarsi alla montagna” del 1981. La prima opera di arte relazionale in Italia. L’opera stravolge completamente il tradizionale rapporto tra autore e spettatore. Il pubblico è parte integrante e fondamentale dell’opera.

Tutto nasce quando, nel 1981, il sindaco di Ulassai, Antioco Podda, commissiona a Maria Lai la realizzazione del monumento ai caduti in guerra del paese. Maria, sostenendo la necessità di un’opera che servisse a celebrare i vivi e non i morti, decide di reinterpretare un’antica leggenda di paese legando insieme gli abitanti di Ulassai, tutte le porte, le vie e le case dell’intero paese con circa 27 km di nastro di stoffa celeste.

La leggenda che ispira Maria Lai si chiama “sa rutta de is’antigus” cioè “la grotta degli antichi” e racconta un fatto realmente accaduto tramandato però di generazione in generazione con sfumature di fantasia. Nel 1861 un costone della montagna si staccò travolgendo un’abitazione del paese. Morirono tre bambine. L’unica bambina sopravvissuta fu ritrovata con un nastro celeste in mano.

La gestazione dell’opera è molto lunga perché molti abitanti di Ulassai si rifiutano di collaborare, preoccupati per un eventuale risveglio di vecchi rancori insistenti.

Maria giunge allora a una decisione che supera lo scetticismo. Laddove tra famiglie sia presente un legame d’amore, al nastro vengono legati dei pani tipici detti “su pani pintau”; dove, invece, c’è avversità, il nastro, teso, indica il confine del rispetto delle parti. I nastri, poi, vengono legati al Monte Gedili, la montagna più alta dell’abitato.

Ulassai 1981: immagini dal progetto “Legarsi alla montagna”.

L’operazione “Legarsi alla montagna” è passata in silenzio per oltre vent’anni. Quando finalmente è stata riconosciuta come prima opera d’arte relazionale, ha permesso a Ulassai di diventare un vero e proprio museo a cielo aperto.

Negli anni Novanta tutto il lavoro artistico di Maria Lai viene ricondotto a un unico filo conduttore, in un percorso complessivo fatto di Fili e Telai, di Disegni e Geografie. Il suo lavoro viene apprezzato in tutt’Italia (il poeta che parla con la voce degli artisti, Antonio Presti, la invitò per un’installazione a Castel di Tusa in Sicilia) e anche a livello internazionale.

L’8 luglio 2006 Maria Lai inaugura nella sua Ulassai il Museo d’Arte Contemporanea Stazione dell’Arte che raccoglie una parte delle sue opere.

Tra le 140 opere esposte, spicca sicuramente il lavatoio comunale di Ulassai. Il lavatoio caduto in disuso intorno agli anni Settanta, è stato recuperato e arricchito da importanti installazioni artistiche diventando tra gli edifici più significativi del “Museo a cielo aperto” del paese. Gli artisti che hanno trasformato la struttura in un’opera d’arte contemporanea sono oltre a Maria Lai, Costantino Nivola, Luigi Veronesi e Guido Strazza.

L’opera di Maria Lai è collocata nel soffitto della parte interna dell’edificio ed è costituita da diverse corde che si intrecciano e si legano su tubi in ferro a formare un enorme telaio tradizionale; tra una corda e un’altra si intravvedono le pareti del soffitto colorate di neri, grigi, rossi a dare ritmo e profondità all’intero impianto compositivo, inaspettati appaiono nella parte laterale anche dei tronchi d’albero legati l’un l’altro e incassati nel muro.

Due altre opere inserite nel complesso artistico lasciano il visitatore senza fiato: “La fontana sonora” dell’artista Costantino Nivola, costituita da una serie di tubi di bronzo disposti a fila indiana sopra il muro intermedio delle vasche. A ognuno dei tubi sono state applicate delle tegole di bronzo nelle quali l’acqua scorre e si riversa nelle vasche stesse. Lo scorrere lento dell’acqua genera delle melodie sonore tali da far sembrare che l’acqua canti. L’artista vuole, attraverso questa operazione, “accompagnare il canto dell’acqua con quello delle donne”. Suscitare ulteriore emozione l’opera di Luigi Veronesi, “La sorgente” collocata nell’arco della fontana. Un mosaico di piccoli pezzi di granito, di marmo rosa, di marmo bianco, e sassi di mare a formare delle mezzelune colorate (movimento delle acque) in quarzite brasiliana “Azulmacaubas” e in marmo “Rosa del Portogallo”. I numerosi e vari pezzetti di pietra e marmo sono stati “messi in opera” all’interno dell’arco uno per uno personalmente da Maria Lai insieme ai mastri muratori di Ulassai.

La piccola Maria, o come amava definirsi, “la bambina antichissima”, muore il 16 aprile 2013 a 93 anni e riposa accanto ai suoi familiari nel cimitero di Ulassai. Qui la sua ultima intervista. Oggi l’archivio di Maria Lai è presieduto dalla nipote ed erede unica Maria Sofia Pisu.

Maria Lai (credit: Elisabetta Loi)

Perché Maria

E pè me resta cielo ‘e notte cu ‘nu filo mmano s’aspettava ‘o sole

è uno dei versi di una famosa canzone di Pino Daniele. Per tutta la vita, Maria ha portato con sé questo filo o se volete questa linea che un po’ rappresenta la sua fame d’infinito come il titolo del nuovo allestimento che in questo periodo è stato inaugurato nella sua Ulassai, ispirato alla sua poetica e alla sua opera. Maria è stata una donna solitaria ma non sola. Ha amato la solitudine perché le ha regalato il dono del silenzio, lei lo ascoltava e le sembrava bellissimo. Anzi proprio nel silenzio amava scoprire “il valore del ritmo delle parole che portano al silenzio”. Completamente libera, convinta di essere nata con la esigenza di essere fuori dal mondo, ha sempre combattuto contro schemi ed etichette. Il suo grande sogno era poter apporre in ogni scuola e in ogni museo una grande scritta: “Non importa se non capisci, segui il ritmo”.

Il grande merito di questa donna minuta, con quello sguardo scaltro e quasi irriverente, è aver dato un senso diverso e particolare al verbo condividere. Scopriamo, infatti, con Maria Lai, che ognuno di noi è legato da fili invisibili con il prossimo e che tutti noi siamo legati indissolubilmente con la nostra terra, con la natura, con le nostre radici. Stupenda la parola con-dividere. Dividere con. Partecipazione comune in cui il condiviso è proposta, è visione, è dono. Sembra incredibile che proprio Maria Lai, che amava la solitudine, che apprezzava il silenzio, che ricercava l’intimità, sia stata capace di trasmettere l’importanza di essere parte rilevante per la formazione della cultura collettiva. Ognuno di noi ha un ruolo, piccolo o grande che sia, fondamentale per la più grande opera d’arte. La vita. “A si biri mellusu”, arrivederci Marì.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).