Quando Galeazzi mi confessò che nel suo olimpo abitava il giornalista e poeta Beppe Viola, capace di trasmettere fiotti di emozioni

Se n’è andato in solitudine, Giampiero Galeazzi, quell’imponente giornalista della Rai che aveva illuminato tante pagine del grande sport entrate nella storia. Venerdì 12 novembre 2021 le complicazioni di quel maledetto diabete che lo tormentava da tempo hanno fermato per sempre, nella terapia intensiva del Policlinico Gemelli di Roma, il suo cuore generoso di ex atleta. Sì, il segreto del suo successo, e della familiarità con i campioni da lui mai traditi, era in quel DNA di campione di canottaggio: nel 1967, a 21 anni, aveva addirittura vinto il campionato italiano nel singolo e l’anno dopo aveva riconquistato il titolo nel doppio con Giuliano Spingardi. La passione per lo sport lo aveva portato in Rai a percorrere tutti i gradini della carriera professionale e dei meritati onori. La sua voce caratteristica rimane associata a telecronache entrate negli annali dello sport, come quando festeggiò lo scudetto del Napoli negli spogliatoi con Maradona o quando scandì le vittorie, anche olimpiche (Seul, 1988), dei fratelli Abbagnale. Sono stato tra gli ultimi a intervistarlo e voglio ricordarlo, con una stretta di mano alla moglie Laura e ai suoi due figli Gianluca e Susanna (entrambi giornalisti), con le parole che mi consegnò quando lo intervistai per Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera. Parole che fotografano la sua umiltà, il collante che univa le sue tre anime di “giornalista a 360 gradi” (copyright di Brando Giordani): quella popolare degli stadi di calcio, quella aristocratica del tennis e quella romantica del canottaggio.

Gian Piero Galeazzi (Roma, 1946-2021). Laureato in Economia e commercio (tesi in Statistica): “Dovevo andare alla Doxa, invece finii alla Fiat, a Torino, come atleta”.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Caro Galeazzi, hai da poco festeggiato i tuoi primi 70 anni di vita e vivi un’altra stagione ancora intensa: hai scritto un libro autobiografico (L’inviato non nasce per caso, Eri), sei tornato in video con una rubrica di letteratura sportiva su RaiUno, stai preparando un misterioso progetto con Mara Venier dal titolo Improvvisamente a New York

“Certo, un bilancio molto positivo (a parte il ginocchio che mi funziona meno). Paragono la mia felice carriera a una fuoriserie tirata da due motori speciali: uno è Beppe Viola, il mio maestro per eccellenza di giornalismo e di televisione, e l’altro è la Venier che, indottrinata dal guru Renzo Arbore, mi ha insegnato, chiamandomi a Domenica In, come si parla a un pubblico di milioni di persone”.

Andiamo alle prime tappe del viaggio che ti ha portato da ex canottiere a giovane cronista fino a inviato di razza…

“Galeotti furono gli incontri (dopo aver mollato le canoe perché mi ero rotto una gamba) con maestri come Sandro Ciotti, Enrico Ameri e Guglielmo Moretti, e proseguita in Tv nel Tg1 di Emilio Rossi e nella redazione sportiva di Tito Stagno, ma il più grande di tutti, quello con cui mi è capitata la fortuna di fare tandem, resta Beppe Viola, un giornalista per mestiere e poeta per vocazione, capace di trasmettere, insieme alle storie e notizie, un mare di emozioni. Io ci mettevo il fisico e la grinta, lui la scrittura e le idee. Io fornivo la stoffa grezza, lui cuciva un abito perfetto. Una miscela formidabile, incorniciata da una sua qualità supplementare rara nel mondo del giornalismo (e non solo)”.

Beppe Viola (Milano 1939-1982) è stato giornalista, scrittore e umorista. È morto improvvisamente a 43 anni, mentre era nella sede Rai di Milano, per un’emorragia cerebrale, durante il montaggio di un suo servizio sulla partita Inter-Napoli. L’amico Enzo Jannacci gli ha dedicato il testo della canzone L’amico.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Quale?

“L’ottimismo e la generosità, qualità che lo facevano un pioniere post-moderno, e per questo non era proprio simpatico a tutti, anzi in molti tendevano a tagliargli le unghie. Fin dal nostro primo incontro di lavoro, all’ippodromo milanese di San Siro per la Domenica sportiva, con sosta al ristorante Ribot, ha sempre offerto lui. Ma generoso era anche sul piano professionale, in un mestiere in cui domina l’individualismo: non dimenticherò mai l’esperienza delle Olimpiadi di Montreal (1976). La Rai a me e Beppe ci spedisce in Canada ma appena arrivati in albergo il direttore Rossi ci chiede dall’oggi al domani uno speciale di mezz’ora da mandare subito in onda al Tg1. Panico, ma io vado a dormire sperando che la notte porti consiglio. Beppe invece esce a fare un giro e alle 5 del mattino mi bussa alla porta eccitato: aveva 20 fogli di appunti scritti, erano i 30 minuti di speciale del giorno dopo. Mi dice: ‘Tieni, leggile tu’. Io replico: ‘Leggiamo almeno assieme’. Niente da fare, lui deciso: ‘No, fai tutto tu, tranquillo’. Aho, ma ti rendi conto?”.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

* L’intervista apparve sullo storico magazine del Corriere della Sera, Sette, allora diretto da Pier Luigi Vercesi, all’interno della lunga serie dedicata a “Il mio eroe”: