Quei tesori d’Italia che intrigano gli Indiana Jones



 

Indiana Jones è un personaggio cinematografico ideato da George Lucas e interpretato da Harrison Ford. Archeologo, è protagonista di molte avventure alla ricerca dei tesori perduti, dall’Arca dell’Alleanza al Santo Graal, fino alla città di El Dorado.

Come per i direttori dei musei italiani venuti dall’Europa, sono anche nomi europei che corrono da qualche mese sulla bocca dei cacciatori italiani di tesori sepolti. Il primo è quello di Cliff Massey, 86 anni, che dopo la pensione s’è dedicato a una sua antica passione: perlustrare le campagne inglesi con un metal detector alla ricerca di qualche tesoro. E la fortuna gli è stata amica, perché mentre stava camminando nel campo di proprietà di un amico, ha scovato un tesoro in monete antiche (23 d’oro e 25 d’argento risalenti a 500 anni fa) e un anello d’oro del 15° secolo, con uno zaffiro blu. Commento laconico:

Non riuscivo a crederci: mi sono seduto sul luogo della scoperta e mi sono messo a ridere a crepapelle.

Il nome di Cliff si aggiunge a quello di Reg Mead e Richard Miles, altri due archeologi dilettanti, anche loro inglesi e anche loro armati di metal detector, che nel 2012 hanno scoperto a Baillwick, sull’isola di Jersey, un metro sotto terreni agricoli, 50 mila monete celtiche nascoste dai Romani più di duemila anni fa, del valore attuale stimato intorno ai 4 milioni di euro. Gli esperti ritengono che a nasconderle sull’isola fu la tribù dei Coriosoliti della vicina Bretagna, nel nord della Francia, per impedire di essere trovate dalle legioni di Giulio Cesare, intorno al 50 a.C. Con i cronisti Reg era stato di poche parole:

Siamo alla ricerca di cose come queste dal 1959, quando un contadino aveva trovato qualche segnale, e non avevo mai scoperto nulla di così grande. Non è una questione di soldi per noi: l’emozione della scoperta è semplicemente fantastica.

… Sono numerosi e anche misteriosi, gli Indiana Jones italiani, poco propensi a farsi riconoscere. I motivi di questa riservatezza sono tanti: timore di essere presi per burloni, per persone poco serie: è quanto mi rivela, sorridendo, Giampaolo Uliana, 66 anni, già macellaio di Altavilla Vicentina, balzato alla ribalta anni fa per aver scoperto una mappa disegnata da un vecchio garibaldino di nome Antonio Sbardella, nel recinto del Palazzo Morosini, di proprietà comunale, che avrebbe potuto farlo ricco. “In realtà fu lo scherzo di tre studenti locali che, sapendo della mia casa ereditata e in ristrutturazione, misero in una vecchia cassetta di munizioni una cartina ben falsificata: insomma, una burla che anticipò quella più famosa dei falsi di Modigliani a Livorno”, mi aggiorna Uliana. “Se abbiamo vissuto e viviamo bene, è grazie solo al nostro vero tesoro: il lavoro”, mi congeda Graziella, sua compagna di vita e in macelleria. Gioca un ruolo, nella mimetizzazione dei ricercatori nostrani, la paura di svegliar lo Stato che dorme (e che, in base al Codice dei beni culturali del 2004, articolo 92, diverrebbe il proprietario dell’eventuale tesoro scoperto sottoterra o nelle acque, prevedendo per lo scopritore solo un premio “non superiore al quarto del valore delle cose ritrovate”).

Vittorino Andreoli (Verona, 1940), psichiatra e scrittore: “I cercatori di tesori restano misteriosi perché quello di conservare un segreto è un vero e proprio piacere fisico”.

Ma la motivazione del celarsi, ancor più forte, è il piacere di conservare il segreto: “Un vero e proprio piacere fisico, quello di essere i padroni di un possibile luogo segreto dove poter trovare una fortuna o anche semplicemente una pozza d’acqua”, diagnostica lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli.

Il segreto è una parte importante della nostra identità. E nessun esploratore di mappe preziose ti rivelerà di possederne una.

Chi vi scrive, su questo argomento era stato iniziato da suo nonno mugnaio nel Tavoliere pugliese (nelle campagne del Sud nessuno sorrideva quando si parla di “tesori nascosti”, vi sono leggende e storie alle quali gli umili credono ciecamente) e questo ricordo d’infanzia mi aveva portato a raccogliere tante segnalazioni che le cronache del dopoguerra facevano affiorare su questo argomento: e oggi scopro che quei tesori favoleggiati, sono ancora tutti lì da trovare.

L’oro dei Borboni nella città di Zingarelli

Come la riserva aurea dell’esercito spagnolo, che qualcuno sostiene essere stata sotterrata e quindi abbandonata a Cerignola dopo la precipitosa fuga delle truppe borboniche incalzate dalle “camicie rosse” di Peppino Garibaldi. Un ex dirigente d’azienda salito dalla città di Zingarelli e Di Vittorio a Cologno Monzese, alle porte di Milano era così sicuro della presenza del tesoro sepolto sotto due o tre metri di terra di una vecchia casa nel centro di Cerignola che aveva affidato alle colonne del Corriere della Sera (per i più pignoli, il 7 settembre 1984) il suo affascinante appello:

AAA… Cercasi seria ditta specializzata in ricerche per recuperare un tesoro spagnolo. Richiedesi massima discrezionalità ed efficienza. Assicurasi massima serietà del proponente e forte probabilità di successo.

Un appello rimasto inascoltato dalle aziende e che aveva invece attirato all’indirizzo di Matteo C. un nugolo di mitomani.

E allora bisogna affidarsi alle storie e cronache meno fantasiose, e però pur sempre avvolte in una cornice di favola, per tentare di delineare una potenziale mappa dei tesori sepolti dalle Alpi alla Sardegna (vedere riquadro a seguire).

I principali luoghi indiziati sono i castelli. Nella storia passata c’è un periodo in cui la ricchezza, in assenza di banche o altri depositi sicuri, bisognava nasconderla, e i castelli – con le isole – erano privilegiati. Ne ho scelto uno, tra i più belli della Romagna, dove la castellana del terzo millennio (Alice Leardini, 30 anni, una laurea in storia dell’arte presa a Roma) mi ha arricchito di una storia emozionante.

La Rocca Malatestiana di Montefiore Conca (Rimini), sentinella di pietra di segreti non ancora svelati: potrebbe conservare nei sotterranei parte del tesoro della signoria dei Malatesta. Sullo sfondo, la riviera adriatica.

I reperti dei Malatesta in una rocca della Romagna

Il castello vero con un tesoro vero da scoprire, stando a testimonianze notarili, è la Rocca Malatestiana di Montefiore Conca, sentinella di pietra di segreti non ancora svelati. Montefiore è un paese di scarse duemila anime a venti chilometri da Rimini di dolce strada collinare, 385 metri sul mare. È l’affascinante capitale medievale, della Valle del Conca (non a caso rientra nel prestigioso circuito dei borghi più belli d’Italia). La bellissima fortezza, che risale al 1233, sorge su un promontorio dove, nelle giornate serene, lo sguardo abbraccia la costa da Fano a Ravenna. Ospitò papi famosi come Gregorio XII e Giulio II e re stranieri come Ludovico d’Ungheria. Tra quelle mura, segnate da geometrie severe e imponenti, è nascosto il tesoro della signoria dei Malatesta, che qui dominarono fino al 1458: l’anno dopo la rocca fu occupata da Federico da Montefeltro.

La recente campagna di restauro, condotta dalla Soprintendenza di Ravenna, ha permesso di accedere anche agli ambienti antichi, prima non raggiungibili. Per svolgere gli scavi archeologici è stato rimosso il pavimento. Le ricerche hanno riportato alla luce molti reperti. Alcuni boccali, maioliche medievali, vetri e bottiglie. Non sono mancate le monete e anche un prezioso sigillo in bronzo. Ma del tesoro dei Malatesta, sepolto qui da Sigismondo, nessuna traccia. Eppure la castellana Alice insiste: “C’è un documento storico che parla di questo tesoro”.

Come stanno le cose, fonti notarili alla mano

(Un documento del ‘400 conservato nella Biblioteca Gambalunga di Rimini).

Siamo nel 1464. Il 7 aprile un riminese, Francesco Mengozzi, si presenta a Sigismondo e gli rivela fatti gravi. Mentre Sigismondo era a Venezia per trattare con quel Senato il comando di un’impresa in Grecia, lui – il Mengozzi – aveva raggiunto la vicina Santarcangelo per chiedere consiglio a un legale su una questione privata. Il legale era Ranieri de’ Maschi, giurista e letterato, che lo stesso Sigismondo aveva mandato nel 1456 ambasciatore a Genova, a Firenze e a Siena e ora, caduto in disgrazia, si era ritirato a Santarcangelo meditando vendetta e deciso a occupare Rimini per donarla al Papa. Il colloquio tra il Mengozzi e il de’ Maschi si fece lungo, tanto che il riminese fu invitato a pernottare. Accettò, ma prima di andare a letto ebbe una confessione eccezionale. Ranieri de’ Maschi e Ramberto Fulceri, signore di Santarcangelo, gli svelarono sotto giuramento che, oltre a studiare su come impadronirsi di Rimini, essi contavano di conquistare la rocca di Montefiore dove avevano notizia che in certe muraglie era riposto il tesoro dei Malatesta. Tutto questo racconta Francesco Mengozzi al suo signore il quale invoca l’aiuto di Venezia, confisca i beni di Ranieri e gli abbatte la casa, poi con duecento fanti muove contro Santarcangelo.

Come si vede, fondamento storico c’è. A Montefiore tutti ci credono e dicono che il tesoro deve essere nascosto in qualche sotterraneo della rocca. A conforto della loro tesi citano il ritrovamento nel 1954, nel vicino castello di Montescudo, di 22 medaglie con l’effigie di Sigismondo. “Si tratta di alcune di quelle, famose e veramente stupende, fuse in bronzo da Matteo de’ Pasti negli anni centrali del Quattrocento”, mi precisa Alice. “Ne sono stati trovati diversi esemplari anche altrove, sempre nei muri di costruzioni malatestiane; sappiamo che il signore di Rimini le faceva nascondere nelle murature affinché la memoria del suo nome e del suo volto sopravvivesse anche alla distruzione delle sue architetture. Certamente una tale ‘preoccupazione’ non poteva essere compresa dalla gente comune, che fantasticò su tali depositi e li interpretò come tesori: varie leggende di tesori nascosti nei muri delle rocche malatestiane fiorirono ancor vivente Sigismondo… tra queste per l’appunto quella di Montefiore”.

La Rocca di Galliate, edificata dagli Sforza nel 1476, è uno dei monumenti più importanti del territorio novarese per la sua bellezza architettonica e per l’imponenza d’impianto. L’ambasciatore del Duca di Ferrara nel 1491 sosteneva di aver visto il tesoro degli Sforza poi destinato in parte nel castello di famiglia sulla sponda piemontese del Ticino. Nel tesoro sarebbe incluso il cavallo d’oro disegnato nientemeno che da Leonardo da Vinci: nell’immagine, uno studio della testa di un cavallo, disegno a penna su carta ingiallita, eseguito da Leonardo e conservato nella Biblioteca Reale di Windsor.

Dov’è nascosto il Cavallo d’oro di Leonardo

Comunque, a distanza di mezzo millennio, la caccia al tesoro è ancora aperta. A Montefiore come, per restare nel settore dei castelli, in Piemonte. Qui vale la pena di posare gli occhi almeno su due rocche. Se andate a Galliate (Novara) vi parleranno di una leggenda che avvolge la locale rocca edificata dagli Sforza nel 1476. Una voce alimentata da una testimonianza dell’ambasciatore del Duca di Ferrara che, nel 1491, sosteneva di aver visto nel castello di Milano il tesoro degli Sforza poi destinato per precauzione in forzieri metà in Svizzera e metà in sacchi di cuoio nel castello di famiglia sulla sponda piemontese del fiume Ticino. Riguarda l’esistenza, con altri oggetti preziosi, di un cavallo d’oro disegnato e protetto nientemeno che da Leonardo da Vinci, il geniale consulente che aveva accompagnato Ludovico il Moro proprio in quel maniero di Galliate. Secondo alcune carte leonardesche conservate nella Biblioteca Ambrosiana (“il Codice Atlantico è ancora pieno di incognite affascinanti”, mi conferma il maggior leonardologo vivente, Carlo Pedretti) risulterebbe che per ritrovare il tesoro bisognerà scovare un mattone dalla forma misteriosa nella fila regolare. Un mattone diverso dagli altri nasconderebbe, quindi, non solo un segreto mai svelato, ma anche un immenso tesoro nascosto da Ludovico il Moro e da Leonardo. Intanto il visitatore si accontenti di incontrare oggi un tesoro d’altro genere ospitato nel castello: il Museo d’arte contemporanea, la Sala “Achille Varzi, il signore del volante” dedicata al pilota galliatese famoso per i suoi successi motoristici, la biblioteca comunale…

Carlo Pedretti (Bologna, 1928 – Lamporecchio, 2018), storico dell’arte e principale studioso di Leonardo da Vinci, con la moglie Rossana: “Il leonardesco Codice Atlantico è ancora pieno di incognite affascinanti”.

In un altro castello tra colline morbide, a Belveglio d’Asti, si cerca il tesoro dei Farnese. Ci abitava Hector Petrausch, conte montenegrino, che lo aveva comprato nel 1929 e rifatto mischiando lo stile liberty allora in voga con fantasie cavalleresche. Il conte era in rovina nel 1956,  per via delle costose ricerche, sedute spiritiche incluse nella speranza di trovare un defunto ciarliero che gli svelasse la chiave risolutoria, di un tesoro che era convinto fosse sotto i suoi piedi. Alla fine dovette vendere a un erborista, Giuseppe Barberis, che (avuta conferma in un sogno da due armigeri cinquecenteschi della effettiva presenza di un tesoro nei sotterranei del castello) si affidò a più concreti metodi: assoldò un ingegnere milanese, Alessandro Porro, che arrivò con un metal detector capace di individuare (e la individuò) una grotta sotterranea con iscrizioni in oro che narrano una vicenda inedita per i libri di storia. La scritta illumina il duca Matteo Maria Farnese e la moglie Zeusa Ellenica. Di questo Farnese si sapeva poco ma la scritta aiuta: il duca era nipote di Paolo III – che prima di diventare sacerdote e papa ebbe tre figli – e figlio illegittimo di Pier Luigi Farnese che fu assassinato in una congiura. Imperando Carlo V, il duca non volle sottostargli e si rinchiuse nel castello di Belveglio. L’assedio durò tre anni, poi, stremati, invece di consegnarsi prigionieri all’imperatore assediante, il duca e la sua sposa scesero nei sotterranei e si uccisero avvelenandosi. Con loro si suicidarono anche una ventina di soldati, dei quali sono stati trovati scheletri e armature. E il tesoro? Fu ammucchiato in una caverna adiacente il sepolcreto, ma finora le ricerche con il rabdomante elettronico e altro non hanno dato risultati. Intanto la terra ha reso più dell’oro dei Farnese: coltivata bene, ha prodotto copiosi frutti.

“La pista dell’oro” è tra le montagne

Visto che ci troviamo in Piemonte, inserite sul vostro navigatore elettronico la voce Condove, in provincia di Torino. Qui dura da più di mille anni, invece, una leggenda di poche parole, alla piemontese. Vuole che sulla strada tra Condove e Lemie, nella zona che attraverso il colle Colombardo si allarga tra la valle di Susa e la valle di Lanzo, la terra nasconda immensi tesori. Li nasconde da quando i longobardi, guidati dal re Desiderio, furono sconfitti da Carlo Magno nel 774, alle vicine Chiuse. Fu allora che un gruppo di guerrieri in fuga si rifugiò sulle montagne vicine creando una nuova comunità. E fu da questo insediamento che derivò il suo nome in Colle Longobardo, poi abbreviato in Colombardo, mentre fu battezzato Colombardino l’altipiano che si estende di qui verso ovest.

Una saga lontana, di cui non è rimasto quasi nulla. C’è il santuario longobardo della Madonna degli Angeli. C’è qualche traccia della tomba della misteriosa e barbara principessa Matolda, seppellita accanto alla sorgente del torrente Sassi. C’è un’alabarda incrostata di ruggine e di mistero venuta alla luce in scavi negli anni Settanta. E c’è un proverbio, abituale agli abitanti delle frazioni Laietta e Pratopropile, anche questo decisamente laconico. Dice che vi è “più oro tra Colombardo e Colombardino che tra Susa e Torino”.

Qualcuno lo ripete senza sorriderci troppo su. Per esempio Ezio Torre, un pensionato passato dal lavoro in autostrada alla ricostruzione della storia locale, mi dice: “Ho già fatto molte ricerche sulla leggenda del tesoro longobardo. Molti montanari me l’hanno confermata. E qui, oltre che ricercatori dal Piemonte e anche dalla Francia, è arrivato da Torino pure il generale Guido Amoretti, presidente del Gruppo storico Pietro Micca, il quale mi ha confermato che in questa zona si svolse una delle più grandi e dimenticate battaglie dell’antichità”. Così, di generazione in generazione, la leggenda dell’oro longobardo sui monti ne è uscita fortificata.

Folco Quilici (Ferrara, 1930 – Orvieto, 2018), documentarista per cinema e tv, scrittore: “Negli abissi marini ci sono relitti pieni di tesori, ma sono a profondità che le attuali tecnologie non permettono di esplorare”.

Per ora ci fermiamo qui. Ma la mappa dell’Italia che nasconde tesori sotto terra e negli abissi marini (“Sì, anche lì ce ne sono, di relitti pieni di tesori, ma non vi azzardate a cercarli, sono a profondità che le attuali tecnologie non permettono di esplorare, aspettate ancora qualche anno”, mi ammonisce uno che di relitti e tesori se ne intende da anni, l’esploratore sottomarino Folco Quilici) pullula di infiniti altri siti, a portata di mano di ogni lettore amante dell’avventura, che voglia magari unire a una bella gita una ricerca che possa far portare a casa un bel ricordo. Perché, anche se non avrete trovato oro, gioielli o monete antiche, avrete sicuramente vissuto il brivido dell’esplorazione, quello che muoveva i nostri antenati alla ricerca del Vello d’oro, e avrete raccolto una bella storia piena di mistero in luoghi interessanti che arricchiscono il vostro palazzo delle idee di un tesoro fatto di bellezza e fascino, di fantasia e leggende, di ricordi e curiosità. Buon viaggio!

* Fonte: Sette 42/2015. Lo storico magazine del Corriere della Sera dal marzo del 2012 è diretto da Pier Luigi Vercesi. Nello stesso numero: “Nazisti, ebrei, storici e tombaroli: la febbre dell’oro contagia Cosenza trasformando Alarico in un business”, di Francesco Battistini con illustrazioni di Manuela Bertoli.



 

A PROPOSITO/ ECCO I SITI DIVENTATI MITI

Venti tappe da non perdere per chi cerca capitali sepolti

Sono molti i paesi italiani di antica origine che vi raccontano la storia di un tesoro sepolto all’interno delle proprie mura. Qui abbiamo selezionato, dalle Alpi alla Sardegna, venti siti tra i principali (per ognuno, è affiancata la mappa della posizione nella provincia di appartenenza). Per gli altri, suggeriamo eventuali alternative più vicine al luogo del lettore scrivendo all’autore dell’inchiesta (salvatoregiannella@yahoo.it), che è anche l’ideatore e il curatore di Giannella Channel.

  • Brusson (Aosta). Nel sotterranei del diroccato castello di Graine, X secolo, alla confluenza delle valli di Graines e di Ayas, in un comune che è stato sede di una ricca e sfruttata miniera d’oro, si trova un tesoro di talleri e gemme.

  • Novalesa (Torino). Carlo Magno, in una battaglia contro i Longobardi, vinse grazie all’aiuto dei benedettini della locale abbazia. Riconoscente, l’imperatore regalò ai monaci molti oggetti d’oro e permise a sua moglie Berta di trascorrere nell’abbazia gli ultimi giorni della sua vita. Nel secolo X i tesori rimasero sepolti sotto le macerie dell’abbazia distrutta dai saraceni.
  • Varazze (Savona). Nel fondo del mare, di fronte a Invrea, si trova un galeone spagnolo colato a picco con un prezioso carico d’oro e d’argento.

  • Luni (La Spezia). Gli abitanti di questa antica e prospera colonia romana raccolsero le loro ricchezze nella basilica cristiana per sottrarle alle ruberie dei vichinghi guidati dal re Hasting (anno 860). Sotto le macerie della chiesa distrutta restò anche il tesoro.
  • Bagnolo Cremasco (Crema). Qi cercano, dietro la chiesa parrocchiale, il tesoro sotterrato nel ‘700 dal brigante Giuseppe Barganzi. Ad accendere le speranze una lettera trovata negli archivi della canonica e scritta il 7 ottobre 1791 dallo stesso brigante in fin di vita.

  • Lago di Garda (Brescia, Verona e Trento). Una città, Benaco, sorgeva in mezzo alle acque lacustri. Si dice che nelle torri che si vedono in fondo al lago siano nascoste ancora molte ricchezze.
  • Aquileia (Udine). Gli abitanti, minacciati dalle orde barbariche di Attila, nascosero tutte le loro ricchezze in scrigni che poi furono sepolti nelle campagne.

  • Ferrara. Il Palazzo dei Diamanti ha la facciata costituita da migliaia di piccole piramidi a forma di diamante. Nessuno le ha mai contate e un conteggio approssimativo va dagli 8.500 ai 12.000. Pare che una sola di esse contenga un autentico diamante nascosto da Ercole I d’Este.
  • Carpineti (Reggio Emilia). Sul monte che domina la valle del Secchia, vicino al “Mal Passo”, sono nascosti i tesori del bandito Balistia che diede il nome al monte. Un altro bottino frutto di ruberie nel ‘500 del bandito Domenico Amorotto è nella stessa provincia reggiana, a Gazzano.

  • Pistoia. Nel Palazzo dei Pecci, sotto la stalla, vi sarebbero 3.000 scudi d’oro e un tesoro.
  • Treia (Macerata). Sul luogo dove oggi sorge il Santuario del Crocifisso vi era una chiesa molto ricca, perché era diffuso tra i nobili offrire candelabri d’oro e d’argento, gioielli e monete. Quando la chiesetta traboccò di ori e averi, accadde un fortissimo terremoto, che inghiottì questo immenso tesoro.

  • Trevi (Perugia). Nella frazione di Manciano l’abbazia, oggi abbandonata, di Santo Stefano era abitata da monaci ricchi, non solo per le offerte. Possedevano una grande quantità di argento, tale da ferrare gli zoccoli dei cavalli con ferri del prezioso metallo e da ornare i finimenti e le staffe con fibbie in argento.
  • Ercolano (Napoli). Nella villa detta dei Papiri, distrutta insieme alla città nel 70 d. C. dalla eruzione del Vesuvio, sono sepolti documenti, tesori, sculture in bronzo e marmi rari.

  • Amalfi (Salerno). Frane e violente mareggiate (memorabile quella del 1013) hanno sepolto nel fondo del mare parte dell’antica città con preziosi monumenti e tesori.
  • Isole Tremiti (Foggia). I monaci che abitavano l’isola di San Nicola, nell’VIII secolo, ricettavano e seppellivano i tesori razziati dai pirati. I monaci lasciarono l’isola nel secolo XIII, ma i tesori dei pirati non sono stati mai trovati.

  • Cagnano Varano (Foggia). Sul fondo del lago giace l’antica città di Uria con monumenti, tesori, statue, divinità delle quali parlano Strabone, Plinio e Tolomeo.
  • Fasano (Brindisi). Sulla costa del mare sono visibili le rovine di Egnazia, antica e prosperosa città fondata dai greci e ora scomparsa; si dice che vi siano ancora favolose ricchezze nascoste nelle tombe dell’antica necropoli.

  • Manfria (Caltanissetta). Su una collina si troverebbe il tesoro di Gelone, re di Gela, costituito da vasi preziosi pieni di monete d’oro.
  • Noto (Siracusa). Nell’anno 1091, dopo la morte del loro capo, principe Alì Ben-Avert, gli arabi abbandonarono la città con cento cavalli carichi di un favoloso tesoro che nascosero poi nella grotta detta di “Calafarina”

  • Santa Giusta (Oristano). Qui si trovava l’antica città di La città scomparve nella laguna che s’affaccia sul Golfo di Oristano durante l’VIII secolo, con i suoi preziosi monumenti, la ricchezza e i tesori.

Da “I salvatori dell’arte”: