Dieci cose che a me, Luigi Roberto, ha insegnato il nonno presidente Luigi Einaudi (1874-1961)

Bella la fotografia del nonno Luigi Einaudi, il primo capo dello Stato italiano eletto dal Parlamento repubblicano, che 60 anni fa legge brani delle Georgiche di Virgilio agli otto nipoti che lo attorniano nella tenuta di San Giacomo a Dogliani, in Piemonte (Corriere della Sera, 30 luglio 2012). Bella ed evocatrice in me, nonno a mia volta circondato dai nipoti nella piccola, seconda casa di Cesenatico. Nella mia mente, fresca del lavoro sulle tre anime della Costituzione (“RiCostituiamoci”, mio primo libro elettronico, per Castello Volante) sono affiorate le parole eterne che Einaudi volle quando giurò fedeltà alla nuova Costituzione repubblicana:

Garantire la persona umana contro l’onnipotenza dello Stato e la prepotenza dei privati.

E quelle pronunciate nel corso del primo ricevimento al Quirinale, quando se n’era uscito con una proposta che ne rivelava la rara parsimonia:

Io prenderei una pera, ma sono troppo grandi. C’è nessuno che vuole dividerne una con me?

Sono poi andato a rileggere le parole che avevo trascritto negli appunti presi per un recente numero de L’Europeo, diretto da Daniele Protti (per una singolare coincidenza, nonno a sua volta proprio nei giorni in cui questo testo viene pubblicato) dedicato a “I re della Repubblica. Tutti i custodi della Costituzione 1948/2012” (n. 1/2 del 2012, per acquistarlo: www.sceltiperme.it o telefonando allo 02.25846552) che mi ha visto tra i principali collaboratori. Per Einaudi (il quale, ricordiamolo, resta uno dei massimi rappresentanti della dottrina del liberalismo economico, o liberismo, che teorizza la non scindibilità tra libertà politica e libertà economica) “la frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”: ennesima dimostrazione che in Italia il passato non passa mai.

Dopo la laurea Einaudi diviene “assistente universitario gratuito”. Nel 1898 ottiene la libera docenza in economia politica. Nel 1899 vince il concorso per le cattedre di “economia, finanza e statistica” negli istituti tecnici e insegna prima all’Istituto tecnico “Bonelli” di Cuneo poi all’istituto tecnico “Sommeiller” di Torino. Nel frattempo inizia l’insegnamento universitario con un corso libero. Nel 1902, a soli 28 anni, vince il concorso di Scienza delle finanze bandito dall’Università di Pisa ed è nominato professore straordinario di Scienza delle finanze e diritto finanziario a Pisa per essere poi trasferito alla Facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo torinese, sua sede definitiva. Il 19 dicembre 1903 Luigi sposa a Torino Ida Pellegrini, diciottenne, figlia di un nobiluomo veronese trasferitosi a Torino per affari. Dal matrimonio nascono i figli Mario (1904), Roberto (1906), Giulio (1912), oltre a due bambini morti prematuramente (Maria Teresa e Lorenzo). La famiglia si divide tra Torino e Dogliani, dove Luigi aveva acquistato la cascina di S. Giacomo, base di una proprietà che egli estende e migliora nel corso degli anni.

Soprattutto ho ripescato un ritaglio de La Stampa a firma di Luigi Roberto Einaudi, 75 anni, figlio di Mario, il primogenito del Presidente, a lungo ambasciatore in America, membro del comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi a Torino. Luigi Roberto, citando brani di lettere che il nonno gli scrisse quando era Presidente e lui faceva il liceo e l’università negli Stati Uniti (“Lui aveva fra i 78 e gli 81 anni, mentre io avevo fra i 16 e i 19 anni”), così ricostruisce le dieci lezioni impartite dal nonno: di grande attualità, anche se qualcuna, vedi la 4 e la 8, forse l’avrebbe aggiornata nel terzo millennio dell’Europa unita e della globalizzazione).

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La prima, e forse più importante lezione imparata nell’ambiente della politica e del Quirinale, era che “bisogna dare il buon esempio”. Sottolineo il buon esempio, perché chi occupa la massima carica dello Stato non può soltanto dare un buon esempio. Anzi, ha la responsabilità di individuare le prassi migliori da trasmettere ai concittadini e ai propri successori. Dunque deve sempre dare il buon esempio. E darlo in tutto, anche nei dettagli meno importanti.

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La seconda lezione era: “Fare le cose bene anche se non sarai ringraziato”. Il primo sistema italiano di previdenza sociale, la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai (Cnas), era un’assicurazione volontaria. Ben prima della guerra del 1914, il nonno pagò il suo contributo come datore di lavoro, aggiungendo anche il contributo che spettava alla donna di casa, Maria Granda. Non fu mai ringraziato; il commento lapidario della domestica riferitomi anni dopo fu infatti: ‘Se lo fa il professore, vuol dire che qualcosa ci guadagna’ “.

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La terza lezione è stata capire che “per trovare una soluzione bisogna accettare che la politica può talvolta interferire con una logica tecnica – e viceversa”. Una lezione maturata nelle discussioni di Trieste e delle frontiere dell’Italia con la Francia. I conflitti di territorio non si possono risolvere come fecero le potenze coloniali in Africa, tracciando linee geometriche senza riguardo per gli abitanti e le culture o persino la geografia. I maggiori frutti della mia vita diplomatica sono tutti dovuti a questa lezione.

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Una quarta lezione è stata: “Presta attenzione alla tua base”. In sette anni come Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi non ha mai lasciato l’Italia. Aveva viaggiato molto prima di salire al Quirinale e fatto quasi due anni di esilio in Svizzera. Quando gli chiesi perché non viaggiò mai all’estero da Presidente, mi disse semplicemente che il suo dovere era di essere in Italia.

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Una quinta ed essenziale lezione era “non scordare mai l’uomo comune”. L’intellettuale e l’uomo politico non hanno diritto di decidere cosa va bene per il contadino o l’operaio. ‘L’unica persona che sa se le scarpe gli vanno è chi le porta’. Questa frase tagliente fece parte di molte nostre discussioni. Riflette una profondissima convinzione del valore individuale della persona e il rispetto che gli è dovuto al di là della condizione sociale, e senza settarismi politici. Per Luigi Einaudi l’Italia non poteva essere concepita solo in base a classi sociali, etichette politiche o titoli formali.

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La lezione numero sei: “Anche noi sappiamo contare”. Un giorno a cena in famiglia al Quirinale Luigi Einaudi era soddisfattissimo. Quel giorno aveva visto Barbara Ward, scrittrice ed economista inglese. La Ward da poco aveva scritto un articolo che conteneva qualche calcolo sbagliato. Einaudi le aveva spiegato l’errore, la Ward lo aveva accettato. Dopo averci raccontato lo scambio disse, sereno: ‘Anche noi sappiamo contare’. Ricordiamo che Einaudi era stato governatore della Banca d’Italia e in tale veste aveva firmato il contratto d’assunzione di un giovane promettente: Carlo Azeglio Ciampi.

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La lezione numero sette: “Le cose non sono sempre come appaiono”. Era comune durante gli anni del fascismo vedere un ritratto di Benito Mussolini in case di contadini. Molte volte era appeso vicino alla porta di casa. Quando passavano le autorità fasciste tutto sembrava in ordine. Ma il contadino aveva messo il ritratto vicino alla porta così che, vedendolo mentre stava varcando la soglia di casa, poteva sputargli contro senza che lo sputo finisse in casa.

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Un’ottava lezione: “Evita le prime impressioni”. Un giorno gli ho portato un libro appena pubblicato che avevo letto nel corso dei miei studi a Harvard (università privata statunitense situata a Cambridge, nell’area metropolitana di Boston, ndr) ma che lui non aveva. Non mi ricordo se glielo avevo offerto come regalo o come prova di un argomento. Credevo di avere capito che per lui i libri fossero la massima espressione della civiltà e che, circondato dai libri come era, lo avrebbe apprezzato. Lo rifiutò. ‘Come mai?’, chiesi sconcertato. ‘Prima di comperare un libro bisogna sapere se vale o no. Io, se posso, non compro mai un libro se non 40 anni dopo la sua pubblicazione. Solo allora si saprà se vale qualcosa o no’.

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Molto difficile da mettere in pratica la nona lezione: “Non dire mai oggi qualcosa della quale ti vergognerai domani o fra dieci anni o anche vent’anni dopo d’averlo detto”. Non so come o dove avesse imparato questa lezione. Forse quando faceva il giornalista. Nel 1960 mi scrisse una massima un po’ diversa: “Se si scrive qualcosa, lasciarlo stare a riposo per 15 giorni o un mese, e poi rileggerlo”.

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La decima lezione è una lezione di limiti. Dalla villa presidenziale di Caprarola, il 23 agosto 1953, il nonno rispose così a una serie di esiti miei dei quali mi ero molto vantato con lui: “Il desiderare sempre il meglio è una delle ragioni di vivere. […] Ed adesso ti dico di una mia fissazione. La gioia per i risultati ottenuti deve essere sempre accompagnata da una tacita riserva mentale. Quel che so, che ho imparato, è niente in confronto a quel che non so. […]. Quel che occorre è imparare il metodo di distinguere il vero dal meno vero; il metodo di ragionare. E a questo fine servono in primissimo luogo la matematica, per porre bene i problemi, e il latino per esprimersi bene. Con il quale latino – for ever – ti bacia e abbraccia il tuo nonno”.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

Dalla collana “Il mio eroe”: