In un libro storie, segreti ed emozioni di 150 copertine dei più bei dischi italiani



 

Svela i segreti delle più famose copertine dei dischi italiani. È scritto da Roberto Angelino, amico e giornalista di valore (è stato a lungo caporedattore centrale di Oggi, poi vicedirettore di Gente) che i lettori di Giannella Channel hanno imparato ad apprezzare per le sue guide utili come Milano 50. È capace di evocare nella mente di chi ha superato gli anta, emozioni, sentimenti e storie in cui tutti possono riconoscersi… Avrete capito perché nei giorni di festa ho scelto per farmi compagnia il libro Cover Story (Vololibero Ed., 25 €, pagg. 181) e perché mi sento di consigliarlo tra i tantissimi sfornati nel 2018 dagli editori italiani [un dato per tutti: quasi 70 mila sono stati i volumi stampati in un anno da noi, 190 al giorno, otto ogni ora; fonte Bruno Ventavoli, responsabile dell’inserto Tuttolibri di La Stampa].

La foto di copertina del disco “Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera”, scattata in Brianza da Cesare Montalbetti, fotografo e regista. Il cantante indossava sotto i vestiti una tuta da subacqueo, ma nonostante ciò dopo aver fatto circa 400 salti nel fango il giorno dopo aveva la febbre a 40.

Il volume di Angelino va a coprire un vuoto nella pur bulimica produzione editoriale italiana, perché delle copertine straniere si sa tutto, ma di quelle stampate nel nostro Paese nessuno aveva mai scritto nulla. Eppure grandi artisti, fotografi e illustri artigiani hanno creato quelle copertine che, oltre a restare negli occhi e nel cuore di tutti, hanno contribuito non poco al successo dell’album che contenevano. Così Roberto è partito da circa duemila cover italiane di vinili che hanno fatto la storia e, in due anni di puntiglioso e perfezionistico lavoro («come quello dei giornalisti di una volta»), ne ha selezionati 150, regalandoci un appassionante viaggio con 150 tappe ognuna segnata da storie inedite, gustosi retroscena e simpatici aneddoti. Mi precisa Roberto,

Il mio criterio di selezione non è mai stato la bellezza e basta, casomai le storie che le cover celano. Piuttosto che lasciarmi abbagliare dalla sola gradevolezza estetica ho preferito scavare più a fondo, scovando e raccontando i misteri e i segreti della loro ideazione e realizzazione. Un lavoro certosino, realizzato leggendo una cinquantina di libri e contattando un’infinità di protagonisti ed esperti musicali. Il che ha prodotto ottimi frutti.

Franco Battiato, oggi 73enne, ha messo una sua foto da ragazzino-perfettino in giacca e cravatta sulla copertina del suo quindicesimo album, “Fisiognomica”, registrato a 43 anni.

Una curiosità: in Cover Story trovo la recente foto d’apertura del testo sulla mostra di Bassano del Grappa dedicata a Guido Crepax, papà artistico di Valentina. L’immagine della ragazza nuda del disegno è in una copertina disegnata da Crepax sulla front page del disco per il primo album della band rock-blues Garybaldi, fondata nel 1971 a Genova dal chitarrista e cantante Bambi Fossati: rappresenta non la mitica Valentina (personaggio a cui è dedicata la mostra di Bassano del Grappa) bensì Bianca, altra trasgressiva eroina del disegnatore milanese scomparso nel 2003, forse meno conosciuta di Valentina ma altrettanto intrigante.

Insomma, Cover Story è un libro da non perdere, sia che siate musicofili curiosi di vita, morte e miracoli di ogni album, sia che siate ascoltatori giovani e utenti per lo più di musica liquida.

Zucchero, nome d’arte di Adelmo “Sugar” Fornaciari, 63 anni, nella copertina del suo “Miserere” (1992) canta a squarciagola accanto a una scatenata vegliarda che percuote la batteria con il volto illuminato da un’aura di beatitudine: il suo nome è Argia Borghi, all’epoca di 90 anni (se ne andrà qualche mese più tardi), conosciuta poco prima in strada dal fotografo bolognese Michele Ferrari a Casalecchio di Reno.

Appuntamento al Colibrì

Per chi abita a Milano e dintorni, credo di fare cosa utile segnalando che la presentazione a stampa e amici del libro di Roberto Angelino avverrà sabato 12 gennaio 2019 dalle ore 18 al Caffè Letterario Colibrì (che ha anche un bar annesso, comodo per gli aperitivi…) di via Laghetto 9, dietro alla Università Statale, uno spazio culturale aperto un paio di anni fa da due figli di Massimo Moratti, ex presidente della mia Inter. Al fianco di Roberto ci saranno il moderatore Massimo Poggini (uno dei più celebri critici musicali nostrani e biografo ufficiale di Vasco Rossi, Ligabue e Jovanotti) col mitico Luciano Tallarini, art director originario di Asola (Mantova), una vita lavorativa a Milano e oggi in ritiro sul lago d’Iseo, ottantaduenne guru delle italiche copertine, più di mille in totale, che ha ideato e realizzato per Mina (quasi tutte) e i più grandi cantanti nostrani, da De Gregori alla Vanoni, da Vecchioni a Patty Pravo, da Celentano alla Bertè (in apertura del servizio nella foto di Alberto Tolot), da Vasco Rossi a De Andrè. Tallarini è il supervisore e l’autore della istruttiva prefazione del libro in cui rivela:

Da qualche tempo la gente ha riscoperto i vecchi microsolchi e i discografici hanno capito che il vinile è un modo forse non modernissimo ma assai efficace per vendere musica e sogni. Il packaging è l’anima di un album, quel fuoco che con i compact disc a poco a poco si stava spegnendo. In effetti, i “dischi neri” in vinile sono tornati di moda quasi in sordina. Dal 2012 al 2017 il loro mercato è aumentato del 330% e nel marzo 2018 un colosso del settore come la nipponica Sony ha riaperto dopo quasi trent’anni la sua fabbrica di vinili a Tokyo. Tra l’altro, proprio la Sony ha deciso di fermare per sempre i macchinari dell’ultimo stabilimento di compact disc, dove in 33 anni ha stampato 11 miliardi di pezzi, e quindi entro il 2020 diremo addio per sempre ai cd.

Anche i dati italiani sui dischi in vinile sono interessanti: un rapporto dell’Ipsos dice che nel 2017 il 23% dei consumatori di musica del Bel Paese ne ha acquistati almeno uno, trend poi salito al 31,8% nel primo trimestre del 2018.

Carissimo Angelino, non so come ringraziarti per aver raccontato la storia delle nostre copertine più belle. Personalmente mi sono divertito per anni a “vestire la musica” e oggi mi fa piacere che tu abbia fatto conoscere a tutti un’epoca irripetibile della musica leggera italiana. Come ho confessato nel 2008 alla fine del mio libro Pop Life: “Che bel lavoro il mio, un lavoro che ha permesso anche a me di vivere una vita in copertina!”

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo”), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

A PROPOSITO/ L’italianità in due famose copertine estere

“L’idea di scrivere il libro mi è venuta una notte parlando della incredibile storia d’amore tra Bob Dylan e l’italo-piacentina Suze Rotolo”

testo di Roberto Angelino*

Il 21enne Bob Dylan cammina in una strada innevata di New York con Suze Rotolo, suo primo amore.

L’idea di scrivere questo libro sulle copertine più belle e intriganti dei dischi italiani mi è venuta parlando sino a notte fonda con il mio amico Lorenzo Clivati di un album americano. S’intitola The Freewheelin’ (Columbia Records, 1963) e nella cover, una delle più amate nella storia della musica di sempre (e la più ricercata dai collezionisti, che la valutano la bellezza di 35 mila dollari, poco meno di 30 mila euro), il premio Nobel per la Letteratura 2016 Bob Dylan, all’epoca impacciato ventunenne tutto pelle e ossa, cammina in mezzo a una strada innevata nel Village di New York in compagnia di Suze Rotolo, suo primo amore, che gli si abbarbica come una cozza al braccio sinistro.

Delle copertine straniere si sa tutto, ho riflettuto quella notte, ma di quelle italiane nessuno ha mai scritto quasi nulla. Se però riesco a scovarne 150 che, oltre a essere belle, hanno alle spalle anche una storia inedita e coinvolgente come quella dei due teneri ragazzini del secondo lp di Dylan (che, tra l’altro – come vedremo – ha una trama abbondantemente “italiana”) allora vale davvero la pena di raccontarle.

Partiamo proprio dai due innamorati infreddoliti di New York. Suze Rotolo viene dal Queens ed è figlia di intellettuali di sinistra originari di Piacenza: il padre illustratore è morto nel 1958 e la madre, Mary Pezzati, fa la giornalista al settimanale filocomunista “L’Unità del Popolo”. Ha solo 17 anni quando s’innamora di Bob, scheletrico musicista folk del Minnesota che all’epoca si chiama ancora Robert Zimmerman e suona nei locali underground della Grande Mela; lo vede per la prima volta a un concerto nella Riverside Church, a due passi dalla Columbia University, presentatole da sua sorella Carla. Scriverà Dylan nell’autobiografia 43 anni dopo:

Non potevo toglierle gli occhi di dosso. Era la cosa più erotica che avessi mai visto, con la pelle chiara, i capelli dorati e un puro sangue italiano. Incontrarla era come entrare nelle storie delle Mille e una notte: aveva un sorriso che avrebbe illuminato una strada piena di gente.

Vanno subito a vivere nel monolocale di Bob in West Fourth Street. Suze gli corregge i testi delle canzoni, lo porta a teatro a scoprire Bertolt Brecht, gli fa amare Cézanne, Kandinsky e Verlaine e il suo impegno per i diritti civili influenza tutte le canzoni di quel periodo, da Masters of War fino a Blowin’ in the Wind. Sono entrambi tipini tosti e il loro è un rapporto turbolento, per di più osteggiato da mamma Mary, e così Suze nel 1962 decide di rifugiarsi per qualche mese in Umbria, dove s’iscrive all’università per stranieri di Perugia.

All’arrivo in Italia, dopo otto giorni di traversata in piroscafo, trova un telegramma di Bob che la implora di ritornare a casa. Piange e si dispera, ma non cambia idea. Dylan inizia allora a subissarla di lettere, quasi sempre senza risposta, e poi approfitta di un invito a Londra della Bbc per attraversare l’oceano nel tentativo di riconquistare il cuore di quella ragazzina testarda che gli ha fatto perdere la testa. A Perugia, però, scopre che Suze è ripartita da 48 ore per New York. Vola allora a Roma e poi negli studi della Bbc a Londra, da dove rientra negli States, e in Italia non rimetterà piede per 22 anni.

Qualche mese dopo, comunque, Bob e Suze fanno pace e vanno di nuovo a convivere al Village. Arriviamo così a quel tardo pomeriggio di febbraio del ’63 quando il fotografo della Columbia Records Don Hunstein li convoca per la copertina di The Freewheelin’ all’incrocio fra West Fourth e Jones Street, a due passi dal loro appartamentino, dov’è posteggiato un furgone Volkswagen. È quasi il tramonto e Don usa un rullino a colori, poi ne carica uno in bianco e nero ma ormai c’è troppo buio. Per fortuna gli scatti già realizzati sono OK. Racconterà Suze al New York Times:

Faceva un freddo cane e Bob indossava un giacchettino leggero, perché per lui l’immagine è tutto. All’epoca il nostro monolocale era sempre gelido e quel giorno io indossavo due felpe e un cappotto imbottito. Mi sentivo una salsiccia: se guardo gli scatti mi rivedo goffa e grassa.

Tutto fra Dylan e la Rotolo sembra filare liscio ma, sei mesi dopo, lei scopre di essere incinta e fugge per sempre. Abortisce illegalmente mentre Bob, sempre più famoso, si mette con Joan Baez. Nel 1970 Suze sposa Enzo Bartoccioli, conosciuto a Perugia, e nel 1980 mette al mondo Luca, oggi costruttore di strumenti musicali. Prima vivono in Italia, poi tornano a New York, dove Enzo fa il montatore di video per l’Onu e lei diventa illustratrice e pittrice. Sempre discreta, parla per la prima volta della storia con Dylan solo nel 2005, intervistata da Martin Scorsese per il documentario No Direction Home e poi, tre anni dopo, nell’autobiografia A Freewheelin’ Time: A Memoir of Greenwich Village in the Sixties.

Fino al giorno della morte, il 25 febbraio 2011 a 67 anni, non tralascia l’impegno politico, protestando persino contro George W. Bush alla convention repubblicana del 2004. Con Dylan ha rapporti sporadici, comunque sarà lui ad aiutarla quando la casa dell’East Village dove vive con il marito viene distrutta da un incendio che manda in cenere anche il cappottone verde indossato per la cover dell’album.

Il fotografo Don Hunstein è morto a 88 anni il 18 marzo 2017. Quel suo scatto del 1963 ha ispirato nel 2001 una scena cult di Vanilla Sky, film con Tom Cruise e Penélope Cruz. Dove il regista Cameron Crowe, per anni critico musicale di Rolling Stone, rende omaggio alla copertina di The Freewheelin’ da lui da sempre giudicata l’immagine romantica dell’amore:

Sognavo che una ragazza mi tenesse il braccio in quel modo.

Crowe ricrea la stessa inquadratura con Cruise e la Cruz (e un furgone Volkswagen) al posto di Bob e della Rotolo. Il servizio, però, viene realizzato negli studios della Paramount a Los Angeles, dove ricostruiscono per intero la strada perché il regista, dopo un sopralluogo al Village, s’è accorto che con il tempo l’atmosfera “alternativa” di Jones Street è svanita per sempre.

Molti dischi vengono ricordati per la copertina prima ancora che per la musica. Anche se le canzoni all’interno sono eccezionali, com’è forse il caso dell’album che nel 2017 ha compiuto 50 anni di vita ed è stato festeggiato a Liverpool con decine di iniziative: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Parlaphone/Capitol/EMI, 1967) dei Beatles, che ha venduto 32 milioni di copie in mezzo secolo (e 72 mila la sola ristampa in vinile del 2017) e la cui cover è stata eletta nel 2012 negli States “la più bella della storia del rock”. Ebbene, quella leggendaria copertina ha anche un unico e insospettabile protagonista italiano, ovvero il muratore e piastrellista di Rivottoli di Serino (Avellino) Sabatino Simon Rodia (1879-1965) che nel collage fotografico voluto per la cover da Paul McCartney è il signore di profilo, secondo da destra nella fila più in alto, subito dopo – ancora lui – Bob Dylan, in una rarissima foto scattata al Berkeley Art Museum nel 1960.

La leggendaria copertina del disco dei Beatles, eletta nel 2012 negli Stati Uniti “la più bella della storia del rock”. Roberto Angelino svela nel libro che quella copertina ha anche un unico e insospettabile protagonista italiano, il muratore di Rivottoli di Serino Sabatino “Simon” Rodia.

La sua storia, che ha intrigato persino i Fab Four, ha dell’incredibile. A 15 anni, nel 1894, lascia l’Irpinia ed emigra da solo in America con una valigia di cartone. Lo raggiungerà il fratello, più grande di tre anni, che lavora con lui in miniera, tra Seattle e Oakland, ma nel 1912 muore nel crollo di una galleria. Da quel giorno Sabatino si estranea dal mondo, inizia a bere e diventa un vagabondo: dopo dieci anni di matrimonio con Lucia Ucci, tre figli ed essere miracolosamente sopravvissuto al terremoto di San Francisco del 1906 che ha causato tremila vittime, lascia la famiglia e vive di lavoretti occasionali a Long Beach. Poi, nel 1920, si trasferisce nel difficile quartiere afroamericano di Watts, a sud di Los Angeles, dove acquista un terreno e, fino al 1954, costruisce da solo varie sculture con ceramiche e bottiglie di vetro e, soprattutto, le incredibili Watts Towers alte una trentina di metri, realizzate in stile Gaudí con scarti industriali e ferro rubato dai binari della vicina ferrovia.

Dopo innumerevoli atti di vandalismo da parte dei vicini, si trasferisce a Martinez, sempre in California, città natale della leggenda del baseball Joe DiMaggio, secondo marito di Marilyn Monroe. E non farà mai più ritorno né a Watts né tantomeno in Italia.

Nel 1967 la copertina di Sgt. Pepper’s era stata realizzata dall’artista pop britannico Peter Blake, classe 1932, nominato sir dalla regina Elisabetta II nel 2002, con sua moglie, la scultrice californiana Jann Haworth (coadiuvati da Robert Fraser e dai designer Marijke Koger e Simon Posthuma), che ricorsero a una tecnica oggi ritenuta da cavernicoli: ritagliarono le sagome di cartoncino di tutti i protagonisti colorati a mano, poi piazzarono al centro una grancassa con il titolo del disco, crearono il nome della band con un’aiuola di piantine rosse in omaggio al Flower Power, fecero entrare John, Ringo, Paul e Georgecon indosso uniformi dell’età vittoriana e infine il fotografo Michael Cooper scattò il clic finale. Un lavoraccio.

Una chicca: quasi nessuno sa che in realtà, oltre a Sabatino Rodia, nella cover ci sono altri due italiani molto più famosi di lui: Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Ci sono ma… non si vedono. Tuttavia, in uno scatto della complessa sessione fotografica di Blake si nota chiaramente la loro sagoma (tratta da un fotogramma del film Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica del 1964), con Marcello in parte nascosto da Tom Mix col cappellone bianco da cowboy, che però poi è stata coperta, non si sa per decisione di chi, dalla riproduzione delle statue di cera dei Beatles. E così Sophia è “oscurata” da John Lennon e Marcello – di cui spunta il borsalino nero proprio sotto Marlon Brando – da Ringo Starr.

Nel 2012, in occasione del suo ottantesimo compleanno, Peter Blake ha voluto ricreare quell’iconica cover, ma stavolta al computer, con molta meno fatica, rendendo omaggio a 79 grandi inglesi, alcuni anche amici personali. E se nel 1967 tra i settantuno personaggi McCartney & Co. avevano incluso anche Karl Marx, Sigmund Freud, Marilyn Monroe, Lawrence d’Arabia e Albert Einstein (Gesù Cristo, Ghandi e Hitler vennero depennati solo all’ultimo momento nel timore di polemiche), 45 anni dopo la scelta di Blake è stata più soft: nel collage fotografico ha incluso, tra gli altri, Alfred Hitchcock, Agatha Christie, Elton John, Twiggy, gli chef Delia Smith e Mark Hix e, come unica trasgressione, Kate Moss.

Nel 2007 la copertina di Sgt. Pepper’s è stata rivisitata anche in Italia, da Jovanotti. Gliel’aveva chiesto il giornalista Massimo Poggini per uno speciale del suo mensile, Max, in occasione dei 40 anni del 33 giri. Racconta il fondatore del blog Spettakolo!:

A Lorenzo l’idea piacque e si mise al lavoro con entusiasmo assieme al fido Sergio Pappalettera, da sempre suo braccio destro per tutto ciò che ha a che fare con la grafica. Qualche settimana dopo, quell’immagine ci venne richiesta dall’Auditorium Parco della Musica di Roma, che stava organizzando una mostra sui Beatles: ne ricavarono un pannello di 100 x 70 cm che, da quando finì l’esibizione, fa bella mostra di sé a casa mia.

In primo piano sulla destra, al posto di Diana Dors, c’è la sua collega attrice Uma Thurman con in mano una katana e addosso la tuta gialla di pelle di Beatrix Kiddo protagonista di Kill Bill. Nell’affollato collage, ovviamente, anche tanti personaggi italiani, ben 24: lo stesso Jovanotti, Padre Pio, gli scrittori Aldo Nove e Niccolò Ammaniti, Roberto Benigni, l’artista Maurizio Cattelan, Giorgio Armani, Luciano Pavarotti, Lapo Elkann, gli sportivi Francesco Totti, Marco Pantani e Valentino Rossi, i registi Romeo Castellucci e Silvano Agosti, il filosofo Franco Bolelli, i presentatori tv Pippo Baudo e Paolo Bonolis, il talent scout Claudio Cecchetto, il fotografo Oliviero Toscani, il poeta Edoardo Sanguineti, Beppe Grillo, l’imprenditore Renzo Rosso, la pornostar Rocco Siffredi e il giornalista zen Tiziano Terzani, primo in basso a destra. Sopra di lui c’è lo scienziato Stephen Hawking e ancora più su una guardia svizzera. È un omaggio di Jovanotti al padre, Mario Cherubini, scomparso nel 2015, che lavorava nella Gendarmeria della Città del Vaticano e al quale il figlio aveva dedicato la canzone Mario, contenuta nell’album Lorenzo 1984.

A questo proposito, ricordo con piacere l’intervista, per Sette, di Gian Antonio Stella a cui Jovanotti ha raccontato che da bambino faceva le scivolate sul pavimento della Cappella Sistina:

Il pavimento era liscio, lustrato dai secoli. Prendevo la rincorsa e via! Adesso immagino che siano cambiati i sistemi di sicurezza ma allora ci arrivavo, da casa, passando tre portoni. Tre. Entravo da una porta vicinissima alla casa del Vaticano dove abitavamo, dietro la Sala Nervi, al primo piano di via Porta Cavalleggeri 107. Passavo il cortile di San Damaso dove lavorava papà e siccome mi conoscevano tutti… Era fantastico, il Vaticano. Per me era come se ‘l mi’ babbo lavorasse agli Universal Studios. Un grande luogo di spettacolo.

  • P.S. 1: oltre a quelle Usa di Dylan e inglese dei Beatles, ho nel cuore tre copertine di dischi del Bel Paese legati a momenti clou della mia vita. A partire dal primo 45 giri, ricevuto in regalo da mamma e papà a Natale a 10 anni, nel 1962: Speedy Gonzales di Peppino di Capri, tradotto dall’inglese dal palermitano Enrico Gentile, uno dei fondatori del Quartetto Cetra. Nella foto c’è “il topo più veloce del Messico”, protagonista di un cartoon della Warner Bros. che conquistò tutti i bambini, me compreso, al grido di «Yepa, yepa, yepa! Andale, andale! Arriba, arriba!».

    John Foster, “Amore scusami”.

    Il secondo disco è il singolo Amore scusami di John Foster, nome d’arte di Paolo Occhipinti, mio impagabile direttore per 25 anni al settimanale Oggi, mentre il terzo è l’album 29 settembre 89 di Maurizio Vandelli, che conteneva l’omonimo brano scritto nel 1967 da Lucio Battisti e Mogol con il pianista jazz Renato Angiolini, con cui l’ex leader dell’Equipe 84 trionfò nel 1989 a Una rotonda sul mare di Canale 5, presentata da Red Ronnie e Marco Predolin. Le malelingue dissero che a imporne la vittoria nella gara canora della rete ammiraglia del Biscione fu Silvio Berlusconi in persona, nato il 29 settembre, ma del 1936. Quello è però anche il giorno in cui, e proprio nel 1989, è venuta al mondo mia figlia Camilla, ragion per cui al battesimo cinque fra parenti e amici si sono sentiti in dovere di regalare a mia moglie Aglaia e a me la cassetta dell’album di Vandelli. Poi, grazie all’intercessione dell’ufficio stampa Fininvest, il cantante fece una dedica assai carina per la bimba su una delle cinque copie.

    Equipe 84, “29 settembre”.

  • P.S. 2: fino a poco prima di consegnarlo all’editore, il mio libro si doveva chiamare Cover the Top riecheggiando il titolo del film Over the Top con Sylvester Stallone. Poi, in uno dei nostri periodici incontri al Cin Cin Bar di via Paolo Sarpi, nella Chinatown milanese, Luciano Tallarini mi ha consigliato di cambiarlo: «È troppo ermetico», ha giustamente sentenziato. E così, insieme, abbiamo iniziato a pensare a un nuovo titolo. A trarci d’impaccio è arrivata con i suoi due barboncini color champagne Giovanna Siliprandi, grande amica di Ornella Vanoni: «Io lo chiamerei Cover Story, sei d’accordo?». Assolutamente sì.
  • P.S. 3: confesso di aver scritto quest’opera quasi tutta di notte. Vado a letto tardissimo fin dai tempi in cui lavoravo nei quotidiani e quando la gente dorme riesco a concentrarmi meglio. Non so perché, ma quest’abitudine m’imbarazzava non poco. Poi ho saputo che Francesco Guccini ha scritto tutte le sue canzoni la sera o di notte e, nel marzo 2018, ho letto un’intervista a la Repubblica in cui Dori Ghezzi spiega come Fabrizio De André riuscisse a conciliare il lavoro di agricoltore nella tenuta in Sardegna con i suoi cicli di sonno-veglia totalmente ribaltati:
    È vero, dormiva la mattina, ma per il resto della giornata affrontava i problemi che un’azienda di 150 ettari presenta. Ricordo che c’era un gallo, che chiamammo Vasco in onore del nostro grande amico Rossi, il cui chicchirichì esplodeva all’una esatta di ogni giorno. Quel gallo è come me, diceva sorridendo Fabrizio: si alza tardi, però canta senza problemi.

    Ammetto che dopo queste parole mi sono ringalluzzito.

Roberto Angelino, giornalista milanese, ha lavorato per 25 anni al settimanale Oggi; dal 2004 al 2007 è stato vicedirettore di Gente, poi è tornato a Oggi per curare gli Speciali e il bimestrale Oggi Foto. Nel 2015 ha pubblicato con Salvatore Giannella presso l’editore BookTime il volume Milano 50, con le schede dei 350 locali imperdibili della città sede dell’Expo, anticipate e poi sviluppate con successo su Giannella Channel. Sempre per i tipi di BookTime, la casa editrice di Gerardo Mastrullo, ha pubblicato altri due volumi: nel maggio 2016 Milano, mettiamoci una pietra sopra e, due mesi dopo, Milano al verde – Guida agli agriturismi di Milano e Provincia. L’ultima sua fatica libraria è Cover Story (Vololibero Ed., 2018) che racconta storie, segreti ed emozioni di 150 copertine dei più bei dischi italiani.

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