Sulla scia di Valentina
il cielo accoglie
tante nuove padrone

Dopo la sbalorditiva avventura spaziale di Valentina Tereshkova, a quali mete possono ancora tendere le aviatrici? Per dare sfogo alla loro passione agonistica, molte perseguono obiettivi inconsueti: d’ora in poi, i loro record faranno stupire più per la modestia dei mezzi impiegati che per i valori numerici registrati.

Sola a bordo del suo monomotore da turismo, nel 1963 Jerrie Mock fa il giro del mondo, a tappe, in poco più di un mese.

Tre anni dopo, l’aviatrice britannica Sheila Scott – sempre ai comandi di un monomotore privato – percorre 46.120 chilometri in 33 giorni.

Nel 1964 l’americana Betty Miller percorre senza scalo, su un aereo da turismo, gli 11.900 chilometri che separano Oakland (California) da Sidney (Australia). Con questa impresa soffia il Trofeo Harmon alla connazionale Jerrie Mock, che – sola soletta, facendo scalo sugli aeroporti aperti al traffico civile – ha fatto il giro del mondo in poco più di un mese.

L’anno dopo si mette in luce l’inglese Sheila Scott, che in un solo giorno conquista una quindicina di primati volando su un monomotore da diporto Piper COMANCHE. Sempre a bordo di questo velivolo di serie, nel 1966 l’aviatrice britannica completa a sua volta il giro del mondo percorrendo 46.120 chilometri in trentatre giorni, superando così il primato della Mock.

L’aereo personale della Scott: il Piper COMANCHE con cui ha stabilito un nuovo record riguardante il ‘giro del mondo’.

Nei primi campionati mondiali di acrobazia aerea femminile su dieci concorrenti prevale l’aviatrice russa Galina Korciuganova.

Intanto la Federazione Aeronautica Internazionale ha inserito ufficialmente la categoria femminile anche nei campionati mondiali di acrobazia aerea. Le gare per la disputa del primo titolo si svolgono a Mosca e vi partecipano dieci concorrenti: ne esce vincitrice la sovietica Galina Korciuganova, una giovane laureata in ingegneria aeronautica.

Per delineare efficacemente l’intensa attività che anima il mondo aviatorio femminile in tempi a noi più vicini, si può prendere a riferimento il Club 99. Questa associazione è nata nel 1929, quando 99 delle 117 aviatrici allora brevettate negli Stati Uniti decisero di unirsi in sodalizio. A quarant’anni dalla fondazione il Club annoverava quasi cinquemila iscritte, tra le quali un centinaio di diverse nazionalità. Nelle file del Club 99 spicca il fior fiore dell’aviazione mondiale: donne abilitate al pilotaggio di plurimotori, idrovolanti, alianti, elicotteri; donne con il brevetto di istruttore per scuole di volo civili o di comandante d’aerei di linea; aviatrici col grado di colonnello, che comandano gli squadroni femminili della Riserva statunitense. Ogni anno il Club organizza una “Corsa del piumino di cipria” che di frivolo ha soltanto il nome, perché impone alle concorrenti prove estremamente impegnative.

Fondato negli Stati Uniti nel 1929, dopo 40 anni il Club 99 vanta oltre 5.000 iscritte. Vi figurano donne capaci di pilotare diversi tipi di macchine volanti (aeroplani, alianti, elicotteri idrovolanti come quello nella foto sopra) nonché istruttrici di volo e comandanti di reparti militari.

Una donna ai comandi di un elicottero privato. In questo periodo si assiste a un eccezionale incremento delle versatili macchine ad ‘ali rotanti’.

In Russia e in Cina non esistono associazioni del genere; ma le donne-pilota operano in gran numero, specialmente nei settori del trasporto sanitario e del supporto agricolo-forestale. Aviatrici come Fedorovna Stoianovskaia (brevettata nel 1930, oltre tre milioni di chilometri volati), Tatiana Rusijan (conquistatrice di vari primati con elicottero) o Marina Popovich (detentrice di diversi record stabiliti ai comandi del gigantesco quadrimotore AN-22) in Russia godono di grande prestigio e popolarità.

Ma non sempre e non dappertutto le donne accettano di assumersi solo compiti che, ai loro occhi, appaiono marginali. Appellandosi all’uguaglianza dei diritti con l’altro sesso, nel 1974 nove ragazze francesi – tutte abilitate al volo acrobatico – chiedono di essere arruolate nell’aeronautica militare e di essere assegnate ai reparti da combattimento dotati dei famosi caccia supersonici MIRAGE. Dopo molto tergiversare – e con malcelato imbarazzo – le autorità competenti respingono l’offerta.

Deanne Brasseur, è una delle prime istruttrici di piloti d’aviogetto operanti nell’aeronautica militare del Canada.

Alcune donne abilitate dalla Royal Air Force britannica a pilotare aviogetti da combattimento prestano servizio anche sui poderosi bireattori supersonici TORNADO.

L’eccezionale carriera aviatoria di Marina Popovich è culminata, dopo migliaia d’ore di volo sui più disparati velivoli, con l’incarico di collaudare il grande quadrimotore da trasporto Antonov AN-22.

Tuttavia è certo che non poche aviatrici tengono lo zampino anche negli squadroni equipaggiati con i più moderni aviogetti da combattimento. Un’indiretta conferma si ha nel 1975, quando l’Unione Sovietica chiede la registrazione di un nuovo primato mondiale di velocità per la categoria femminile: quello stabilito da Svetlana Savitskaya, che ai comandi di un monoposto da caccia ha toccato i 2.683 chilometri all’ora.

Due anni dopo viene autorizzata la diffusione della notizia che una dozzina di ragazze sono entrate a far parte dell’aviazione militare americana. Si sa che vi svolgono il compito di istruttrici, come quelle che le hanno precedute durante la seconda guerra mondiale.

Svetlana Savitskaya e due altri membri dell’equipaggio stanno per prendere posto a bordo della navicella spaziale russa SOYUZ T-12.

Il 25 luglio 1984 la Savitskaya è fuoriuscita dalla navicella SALYUT T-7 – per sperimentare attività di manutenzione – rimanendo fuori dal veicolo spaziale per 3 ore e 33 minuti.

“Non hanno nulla da invidiare ai maschi”, dichiara il loro Comandante, “però è certo che verranno dispensate da eventuali missioni di guerra”. All’inizio del 1981, invece, si apprende che l’aeronautica militare olandese predispone l’arruolamento di donne da addestrare anche al pilotaggio di aerei da caccia.

Verso la metà degli anni Ottanta, alle ragazze ufficialmente inquadrate in reparti operativi delle forze aeree americane (US Air Force e Aviazione di Marina), si aggiungono quelle dell’Armée de l’Air francese e della Royal Air Force britannica. In percentuale la quantità è esigua; e queste donne vengono assegnate esclusivamente ai reparti da trasporto e collegamento. Tuttavia formano l’avanguardia di contingenti femminili sempre più massicci, che consolidano una tendenza ormai irreversibile. Ben presto, infatti, si apprende che l’aeronautica militare olandese predispone l’arruolamento di donne da adibire anche al pilotaggio di velivoli da combattimento. Di conseguenza, pure l’ ultima limitazione verrà quasi ovunque ignorata.

Il Royal Flying Doctor Service australiano affida anche alle donne il pilotaggio dei suoi velivoli-ambulanza, uno dei quali è qui mostrato mentre vi si ricovera un paziente.

Archiviato con legittima soddisfazione l’estenuante confronto per la parità dei diritti (e dei doveri) in qualsiasi attività volativa, le donne non nascondono la preferenza e l’orgoglio per la loro massiccia presenza nei più apprezzati ambiti del mondo aviatorio. Come l’assiduo contributo che assicurano alle benemerite organizzazioni sanitarie operanti nelle più disparate e desolate regioni della Terra. Basti citare il Royal Flying Doctor Service: il Servizio Medico Volante attivato nel 1928 in Australia, per assicurare il rapido invio di personale e attrezzature sanitarie in località isolate. Questo organismo, di cui hanno fatto parte numerose donne, s’è sviluppato fino ad avere una flotta di oltre 30 velivoli. La loro oculata distribuzione sul territorio permette di raggiungere i più remoti angoli del continente entro un’ora dalla richiesta di soccorso.

Sull’esempio dell’efficiente Servizio australiano sono nati organismi similari in Paesi che presentano analoghe condizioni ambientali. Nel 1983 l’African Medical and Research Foundation (AMREF) ha festeggiato i 65 anni d’età della dottoressa-pilota Anne Spoerry, che nella circostanza poteva vantare due decenni di appartenenza a un’associazione umanitaria la cui area di intervento comprende Kenia, Sudan, Uganda, Somalia e Tanzania.

Anche la consegna di aiuti umanitari per via aerea, in località isolate, può contare spesso sull’attività di donne-pilota che si offrono volontariamente.

Le attività spaziali sono state rese possibili dalla prodigiosa metamorfosi dei mezzi aerei, che sono diventati anche strumenti di esplorazione extra-atmosferica. Velivoli a razzo – come quelli della mitica “Serie X”, culminata nel velocissimo X-15 – hanno fatto da “anello di congiunzione” con i veicoli spaziali. L’aviazione è sfociata nell’astronautica, ma l’aeroplano non ha esaurito il suo ciclo evolutivo e il suo sviluppo non si è arrestato. Il progresso tecnico ha consentito di perfezionare macchine dalle prestazioni straordinarie, come gli elicotteri, e di realizzare una vastissima gamma di velivoli specializzati in un’incredibile varietà di compiti.

Alla moltiplicazione delle “famiglie” di macchine volanti – tutte ugualmente preziose nell’agevolare le attività umane – corrisponde la progressiva “invasione” delle donne, che si sono intrufolate fin nei settori d’impiego più gelosamente monopolizzati dagli uomini. Negli anni Ottanta si verifica anche la coincidenza di due fenomeni: un’espansione senza precedenti del traffico commerciale e un’esplosiva diffusione di piccoli velivoli ultraleggeri, di produzione artigianale, designati in gergo ULM.

Un’aviatrice posa con orgoglio davanti al suo moderno aereo ultraleggero (ULM), che ha voluto interamente colorato in rosa.

Una capillare rete di collegamenti aerei avvolge ormai tutta la Terra e, per far fronte all’incessante aumento dei viaggiatori, le aviolinee hanno ordinato centinaia di velivoli giganteschi, il capostipite dei quali (il Boeing B-747 JUMBO) è in grado di accogliere fino a 490 passeggeri. L’entrata in servizio di questi colossi contribuisce a far raddoppiare, in un decennio, la quantità di passeggeri trasportati annualmente: che passano dai 400 milioni del 1972 agli oltre 750 del 1982. Dal 1988 il numero di persone trasportate in un anno si stabilizza saldamente oltre il miliardo.

Facendo affidamento sulla crescente richiesta di piloti, molte donne abilitate al pilotaggio di plurimotori premono per essere assunte dalle compagnie aeree. Le prime che sono riuscite a mettersi ai comandi di un aereo di linea sono state Gillian Cazalet in Inghilterra, Elisabeth Friske in Germania, Jacqueline Camus in Francia, Turi Wideroe in Norvegia e Fiorenza De Bernardi in Italia, autentica figlia d’arte (suo padre Mario è stato pilota da caccia durante la Grande Guerra, vincitore dell’edizione 1926 della Coppa Schneider, collaudatore, recordman, protagonista del primo volo a reazione in Italia a bordo del Campini Caproni CC.2). Ai suoi invidiabili primati Fiorenza aggiunge quello di prima donna in Italia con licenza di pilota di ghiacciai. È presidente dell’Associazione Donne dell’Aria.

Fiorenza de Bernardi è la prima donna italiana ad avere pilotato aerei di linea, volando tra il 1967 e il 1985 al comando di aviogetti commerciali dallo Yakovlev-40, sui quali ha conseguito l’abilitazione a Mosca, al DC-8. Ai suoi invidiabili primati Fiorenza aggiunge quello di prima donna in Italia con licenza di pilota di ghiacciai. È presidente dell’Associazione Donne dell’Aria.

Prima al comando del più massiccio aviogetto di linea mai costruito – il Boeing B-747 JUMBO – nel 1980 si è classificata l’aviatrice americana Lynn Rippelmeyer.

Meno problematica è la situazione negli Stati Uniti, dove l’American Airlines assume donne-pilota dal 1973. Il primo equipaggio interamente femminile (composto da Maguy Lecocq e Brigitte Lescop) ha preso servizio in Francia nel 1975. Abbattuta anche in questo comparto la barriera dei pregiudizi, le donne dilagano: nell’arco di un decennio quasi tutte le principali aviolinee dispongono di validissime professioniste, che oltretutto non nascondono l’ambizione di pilotare i velivoli di punta. La prima ad arrivare al comando di un Boeing B-747 JUMBO è (nel 1980) l’americana Lynn Rippelmeyer, seguita a ruota dall’olandese Henriette Braspenning.

Intanto, il ricorso a nuove tecnologie e a insoliti materiali costruttivi (prodotti plastici) ha consentito di progettare macchine volanti sempre più efficienti, sicure ed economiche. Tra i molti frutti delle ricorrenti innovazioni spiccano i citati ULM. Ideati per lo sport e lo svago, sono realizzati con criteri artigianali e vengono commercializzati anche in “scatola di montaggio”. Il basso costo d’acquisto e la facilità di pilotaggio innescano il “boom” degli ultraleggeri, promuovendo la nascita di centinaia di associazioni che agevolano la pratica del volo a schiere di giovani. Da questo inesauribile vivaio emergono frequentemente ragazze dotate di particolare attitudine al pilotaggio e – spesso – determinate a esercitare una professione aviatoria.

Una delle ‘navette spaziali’ (Space Shuttle) della NASA. Questi veicoli hanno consentito un’utilissima collaborazione con i Russi per addestrare il personale destinato a operare sulle future stazioni orbitali.

Un’immagine del SOLAR CHALLENGER, velivolo sperimentale a energia solare, con in cabina di pilotaggio Janice Brown.

A quelle che si evidenziano per doti superiori alla media può capitare il colpo di fortuna, come l’invito a partecipare a programmi di sviluppo di nuove macchine. Succede a Janice Brown, una maestrina di Bakersfield (California),che nel 1981 viene convocata da un gruppo di ricercatori per dirigere i collaudi di un velivolo potenziato dall’energia solare. La ragazza collabora con passione e competenza alla laboriosa messa a punto dell’innovativo aereo sperimentale SOLAR CHALLENGER, ai cui comandi stabilisce progressivi record di durata in volo.

Le aviatrici più preparate e intraprendenti scalpitano per accedere anche al traguardo più arduo: quello di astronauta. La sfida in atto fra URSS e Stati Uniti fa sì che in entrambi i Paesi si selezionino gruppi di ragazze disposte a sorbirsi il durissimo addestramento. La seconda donna ad andare in orbita, dopo Valentina Tereshkova, è un’altra sovietica: Svetlana Savitskaya, che abbiamo conosciuto come primatista di velocità e che prende posto con due uomini sulla navicella SOYUZ T-7, lanciata il 20 agosto 1982.

Tra le donne addestrate per esordire nei voli orbitali la NASA ha scelto Sally Ride, inclusa nell’equipaggio di una navetta spaziale nel 1983 quale “specialista di missione”.

Gli Americani includono per la prima volta una donna nell’equipaggio di un veicolo spaziale l’anno successivo. Si tratta di Sally Ride, che a bordo della navetta CHALLENGER ha l’incarico di verificare la possibilità di rilasciare e recuperare un oggetto nello spazio mediante un braccio meccanico. In qualità di “specialista di missione” la ragazza esegue senza pecche il compito assegnatole, dando un contributo determinante alla riuscita dell’esperimento.

Nel 1984 i Sovietici sorprendono ancora tutti inviando di nuovo nello spazio la Savitskaya. Durante questa missione Svetlana “passeggia” nello spazio, uscendo dalla navicella e rimanendo fuori per 3 ore e 33 minuti. All’esterno compie anche operazioni complesse – come il taglio e la saldatura di elementi metallici – che sembravano essere una prerogativa maschile. In seguito le missioni con equipaggi misti s’intensificano e le donne si trovano ad affrontare più spesso i problemi e i rischi connessi all’attività spaziale. Nella catastrofica esplosione che il 28 gennaio 1986 disintegra la navetta CHALLENGER periscono anche le due componenti femminili dell’equipaggio: l’ingegnere della NASA Judith Resnik (nata ad Akron, Ohio, nel 1949) e Christa McAuliffe, insegnante impegnata nel programma Teacher in Space Project.

(Il 1° febbraio 2003 moriranno a bordo del Columbia, assieme ai colleghi Michael Anderson, David Brown, Rick Husband, William McCool e Ilian Ramon, altre due astronaute: Laurel Clark e Kalpana Chawla).

La MIR russa è stata la prima stazione spaziale modulare, assemblata a 420 km. dalla Terra in un decennio (a partire dal 1986). Capace di accogliere tre cosmonauti, è stata proficuamente attiva dal 2001 al 2010.

Ma i pericoli non intimidiscono le donne, che ora fanno parte dei gruppi di astronauti formati anche in Paesi diversi da USA e URSS. Così, quando tocca all’Inghilterra completare l’equipaggio per una missione congiunta, la scelta cade su una di loro: la britannica Helen Sharman, che collabora agli esperimenti scientifici eseguiti sulla navicella SOYUZ TM-12 lanciata il 18 maggio 1989. Nel 1996 i Russi completano l’allestimento della prima stazione spaziale modulare: la MIR, in grado di accogliere fino a tre componenti d’equipaggio. In orbita a 421 chilometri dalla Terra, è rimasta attiva per dieci anni, ospitando anche cosmonauti americani, europei, giapponesi e di molte altre nazionalità. Il successivo incremento della presenza femminile nei ranghi degli astronauti avvalora la previsione che le donne avranno un ruolo di primo piano nella gestione della futura stazione abitabile ISS (International Space Station): un laboratorio spaziale permanente, che verrà assemblato in orbita a 400 chilometri dalla superficie terrestre e attivato nei primi anni del XXI secolo.

Lucid Shannon, biochimica della NASA, dal 1985 ha partecipato a ben sei missioni sulla Space Shuttle. Nel 1996 è stata una collaborativa ospite sulla MIR sovietica, stabilendo un record di permanenza per avervi trascorso 176 giorni.

14. Continua. Link agli altri capitoli.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).
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A cura di Salvatore Giannella e Luigi Butti per Giannella Channel