Nella casa della musica dei lager sbarca anche l’arte della Shoah: a Barletta il sogno di un pianista si fa storia



 

La Giornata Europea della Cultura Ebraica, che ricorre ogni anno il 15 settembre, è stata in questo 2019 l’occasione per annunciare ufficialmente a Barletta, presso il cinquecentesco Palazzo della Marra, l’inizio dei lavori che porteranno alla realizzazione della Cittadella della Musica Concentrazionaria, uno dei progetti di maggior interesse culturale e civile su scala internazionale: il sogno di un pianista, Francesco Lotoro (nella foto in apertura) che si sta facendo storia.

Il complesso sorgerà presso l’ex Distilleria di Barletta, su progetto dell’architetto e scenografo barlettano Nicolangelo Dibitonto, autore del recupero al culto ebraico della Sinagoga Scolanova della vicina Trani, l’Atene della Puglia. La Fondazione Istituto di Letteratura Concentrazionaria ha portato a compimento il progetto di dare una sede definitiva all’immenso corpus musicale creato da musicisti discriminati, imprigionati, deportati, uccisi o sopravvissuti nei luoghi di sterminio tra il 1933 e il 1953 e raccolto dal pianista Lotoro nell’arco di un trentennio; un patrimonio universale che sta per essere riconsegnato all’Umanità grazie alla Cittadella.

Il recupero architettonico della Ex Distilleria di Barletta riguarda un’area di 9.000 metri quadrati, a pochi passi da quel Liceo classico Casardi che mi vide allievo di una formidabile coppia di docenti, la Villani di Lettere e Michele Labianca di storia e filosofia (qui la sua intensa biografia stampata da Rotas), cui vanno aggiunti gli ampi sotterranei e alcune aree attigue.

La Cittadella sarà suddivisa in un Campus (sede del Polo Nazionale della Musica Ebraica), una Bibliomediateca delle Scienze Musicali, il Thesaurus Memoriae (le cui sale accoglieranno in permanenza la Collezione Roberto Malini, che lo scrittore e mecenate ha donato alla Fondazione e dunque alla città di Barletta), la Libreria del Novecento, il Teatro Nuovi Cantieri, l’Hotel Studentesco.

Roberto Malini, l’italiano che ha salvato l’arte dell’Olocausto, con una
artista sopravvissuta ai lager, Tamara Deuel. Malini ha donato
nuove opere dell’arte della Shoah alla Fondazione di Barletta.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Francesco Lotoro è il fondatore e Presidente della Fondazione. Pianista, direttore d’orchestra, docente e compositore nato a Barletta nel 1964, ha recuperato ottomila opere musicali e dodicimila documenti inerenti la letteratura musicale concentrazionaria, della quale è unanimemente considerato la massima autorità. Una storia di passione e di impegno che, oltre alla notorietà internazionale (memorabile l’articolo dedicatogli nel marzo 2018 dal prestigioso quotidiano inglese Guardian), è valsa al musicista pugliese il titolo di Cavaliere di Ordine al merito della Repubblica italiana e quello di Cavaliere dell’Ordre des Arts et Lettres conferitogli dal ministero della Cultura francese (motivazione: “ha dedicato ai compositori francesi deportati nei lager notevoli sforzi di ricerca, salvando così le loro musiche”) insieme al ruolo di protagonista del toccante docu-film Maestro del regista argentino Alexander Valenti, tratto dal libro Il maestro (Piemme Mondadori, 2014) del giornalista francese Thomas Saintourens.

Con sua moglie Grazia Tiritiello, Lotoro ha fondato l’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, oggi Fondazione con sede in Barletta. È autore nonché interprete in qualità di pianista, organista e direttore d’orchestra dell’Enciclopedia in 24 CD–volumi KZ Musik (Musikstrasse – ILMC) contenente 407 opere scritte in cattività civile e militare durante la seconda Guerra mondiale. Ha tenuto concerti, masterclass e conferenze sulla musica concentrazionaria in numerosi Paesi europei, Canada e Stati Uniti. Ha dato vita anche a laboratori che hanno visto coinvolti gli studenti di numerose scuole pugliesi, ai quali è stata data la possibilità di conoscere una importante pagina di storia a essi sconosciuta: oltre alla guida dello stesso Lotoro, i laboratori si sono avvalsi dei contributi di altri validi esperti come gli stessi Dibitonto e Valenti, il baritono e attore Angelo De Leonardis e il direttore d’orchestra Paolo Candido.

Nel cuore della Cittadella, principale polo mondiale della musica concentrazionaria, sorgerà il Thesaurus Memoriae, collezione di oltre cento opere d’arte dell’Olocausto (oltre che illustrazioni, volumi, tavole originali, fotografie) che esiste grazie alla donazione Malini.

La raccolta è nata come prosecuzione del lungo lavoro di studio, ricerca sul campo e acquisizione alla base del salvataggio di un primo nucleo di 240 opere d’arte che attualmente compongono la raccolta presso il Museo Nazionale della Shoah di Roma (per i particolari e le immagini, vedere su Giannella Channel a questo link).

Il Thesaurus comprende incisioni, dipinti e disegni realizzati da artisti professionisti assassinati nei campi di morte nazisti o sopravvissuti alla Shoah. Una sezione del Thesaurus è dedicata al fumetto e raccoglie disegni e tavole originali, fotografie e graphic novel.

Il fumetto, come il cinema, è uno degli strumenti più adatti a trasmettere l’eredità di Memoria che le vittime, gli eroi e i giusti della Shoah ci hanno lasciato. Personalità di rilievo come Avner Shalev, presidente del Museo Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme o Dan Michman, storico principale del Museo, hanno affermato che fumetti e graphic novel hanno enormi potenzialità nel settore delicatissimo dell’educazione alla Shoah. Il fumetto era presente, durante gli anni del genocidio degli ebrei, nei disegni dei giovanissimi artisti internati nel ghetto di Theresienstadt, nei sogni del piccolo praghese Kája Saudek (che diventerà il “re del fumetto” ceco) e nei pensieri quotidiani di Annemarie Dina Babbittt, costretta, ad Auschwitz, a ritrarre i prigionieri rom e sinti per il medico Josef Mengele, noto come “angelo della morte”. Anche Dina sopravviverà alla Fabbrica della morte e lavorerà come animatrice di film per bambini. Il fumetto era presente anche all’interno del campo di internamento transito di Gurs, in Francia, dove fra i prigionieri circolava un piccolo albo illustrato dalla copertina rossa: Micky à Gurs.


Fotogallery

L’arte della Shoah

incisa nella memoria

e donata a Barletta

Barletta: il pianista Francesco Lotoro con il cacciatore dell’arte della Shoah Roberto Malini. CREDIT: STEED GAMERO

Marc Marc Chagall (Vitebsk, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985), “Crocifissione mistica”, litografia a colori, 1950.

Isaac Celnikier (Varsavia, 1923 – Ivry-sur-Seine, 2011) “Blocksperre”, acquatinta, 1982.

Jacob Vassover (Łódź , 1926 – Tel Aviv, 2008)“Musicisti Klezmer”, olio su tavola, 1980.

Rachel Szalit-Marcus (Kovno 1894 – Auschwitz 1942), “Rabbino”, litografia, 1930.

Ari Glass (Berlino, 1897 – Haifa, 1973), “Rabbino – La Notte dei Cristalli”, silografia dalla serie “Leilot” (“Notti”), 1943.

Wanda Cohen Biagini (Pesaro 1896 – Roma 1952), “Ritratto di donna velata”, olio su tela, 40 x 54 cm, 1942.

Il cacciatore dell’arte della Shoah Roberto Malini con Liliana Segre, senatrice a vita, superstite dell’Olocausto e attiva testimone della Shoah italiana.

A PROPOSITO/ UNA TESTIMONIANZA DEL GRANDE PIANISTA

Quella volta che fu il kapò a suonare il violino

testo di Francesco Lotoro*

Mauthausen. Il musicista ebreo tedesco Wilhelm Heckmann, al centro in prima fila, suona la fisarmonica piccola. Il kapò dell’ufficio postale del lager, Georg Streitwolf, suona la fisarmonica grande. Il corteo accompagnava un prigioniero all’esecuzione capitale.

Il 29 luglio 1937 il musicista ebreo tedesco Wilhelm Heckmann fu arrestato dalla Gestapo a Passau e inviato in custodia detentiva a Dachau; allo scoppio della guerra fu trasferito a Mauthausen.

A Mauthausen Heckmann creò un trio per allietare le serate nel postribolo degli ufficiali tedeschi nel lager e inoltre una piccola orchestra chiamata Zigeunnerkapelle che eseguiva musiche di repertorio di vario genere ed era altresì assemblato per le impiccagioni nel lager; il termine Zigeunnerkapelle è dovuto al fatto che la prima band musicale assemblata a Mauthausen era prevalentemente costituita da rom, sostituiti in breve tempo da deportati di formazione musicale più classica.

Lo SS-Hauptscharfuhrer Johann Ullmann, coadiuvato dal kapò dell’ufficio postale del lager Georg Streitwolf (Kapò, o Kapo, in tedesco indica il prigioniero di un campo di concentramento nazista al quale era affidata la funzione di comando sugli altri deportati, ndr) aveva il compito di coordinare eventi musicali che coinvolgessero i deportati nonché il controllo e la censura sui testi del repertorio vocale e corale prodotto dai deportati.

Il 30 luglio 1942 Heckmann, il kapò Georg Streitwolf e la Zigeuner furono immortalati fotograficamente durante il corteo che accompagnò all’esecuzione capitale il prigioniero Hans Bonarewitz (fuggito e catturato) mentre i musicisti dell’orchestra, a guisa di schermo nei riguardi del fuggitivo catturato e a monito di ulteriori tentativi di fuga, eseguivano J’attendrai ton retour di Dino Olivieri; prima e dopo l’esecuzione capitale, i musicisti eseguirono rispettivamente la canzoncina popolare tedesca Alle Vogel sind schon da e la celebre Modranska Polka di Jaromir Vejvoda.

Nella tristemente celebre foto, Heckmann suona la fisarmonica piccola al centro in prima fila, Streitwolf a destra della foto suona la fisarmonica grande; seguono i musicisti della Zigeunerkapelle mentre il detenuto viene tirato su un carrettino; la Zigeunerkapelle fu disciolta nel settembre 1942.

Dopo la liberazione, Heckmann non riuscì a imporsi come musicista professionista in Germania in seguito ai postumi di una grave infiammazione nervosa e a dolori reumatici contratti nel lager; passò il resto della vita suonando in alberghi e ristoranti…

Inno ispirato al motto dei lager

A Dachau il compositore e direttore d’orchestra ebreo austriaco Herbert Zipper memorizzò, sotto dettatura del suo autore Jura Soyfer, il testo di un inno ispirato al motto Arbeit macht frei scritto sul cancello all’ingresso del lager (come è noto il significato letterale di queste parole è «il lavoro rende liberi», ndr); data la pericolosità di stendere testi su carta, elaborò mentalmente la melodia condividendone la memorizzazione con altri deportati e la insegnò a due chitarristi e a un violinista.

Il violinista era lo stesso kapò, che gradì l’inno e collaborò con l’autore.

Questa versione dell’inno è andata perduta ma dopo il suo rilascio Zipper elaborò a Parigi il brano per coro maschile e pianoforte lasciandone su un grosso foglio una stesura completa; molti anni dopo Zipper registrò una versione di Arbeit macht frei per coro maschile e orchestra.

La musica lenisce le ferite dell’anima mentre accadono eventi di rara bellezza; la musica scritta nei Campi è lì a darne grandiosa testimonianza.

* Fonte: Il Fieramosca, mensile della Rotas editrice, diretto da Renato Russo. La casa editrice di Barletta pubblicò un libricino chiamato Alla ricerca della musica perduta (Prolegomeni di letteratura musicale concentrazionaria). Seguì, sempre da Rotas, il volume zero dell’Enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae (in attesa della definitiva pubblicazione dei 12 volumi, prevista nel 2022) e l’Antologia Musicale Concentrazionaria che ha avuto grande successo presso conservatori, scuole e accademie musicali.