L’altra faccia di Garibaldi, eroe del mondo agricolo che sognava un Risorgimento per l’Italia negli Stati Uniti d’Europa

Domenica 4 agosto Cesenatico si è svegliata al suono della banda per l’annuale Festa di Garibaldi. La storia breve e leggendaria dell’eroe dei Mille, in fuga da Roma verso Venezia, rappresenta dall’agosto 1849 un riferimento importante nella storia del borgo romagnolo e un vanto del paese, per aver fatto parte di un frammento di epopea risorgimentale. Fu una fuga non facile, ho raccontato ai mie nipoti salendo su una delle barche del multicolore corteo storico segnato dalle camicie rosse dei garibaldini di oggi. Quella notte del 1* agosto 1849 il mare era in burrasca, le barche non riuscivano a uscire. L’Eroe dei due mondi, caduta la Repubblica Romana che ha difeso sino allo stremo, cerca di raggiungere Venezia che ancora sta resistendo agli austriaci. Imbarcatosi il 2 agosto a Cesenatico su 13 bragozzi, insieme ad Anita e ai suoi uomini dopo aver pernottato in una casa con affaccio sul porto canale leonardesco, è costretto ad approdare a Magnavacca (oggi Porto Garibaldi) per sfuggire alla cattura. I superstiti si disperdono. Oggi in zona viene accudito il Capanno di Garibaldi, un simbolo laico della nostra Italia, un Capanno che coglie il vento della storia… Che parla degli interessi del generale, rivolto ai grandi progetti di riforma tra i quali l’allargamento del suffragio, l’istruzione obbligatoria, il riconoscimento dei diritti delle donne, senza dimenticare la lotta per il riscatto del Sud e la giustizia sociale, addirittura gli Stati Uniti d’Europa.

Sì, quest’ultima immagine non è una forzatura. Un testo di Garibaldi, che conclude idealmente la spedizione dei Mille, venti giorni dopo la battaglia del Volturno (1* ottobre 1860, l’unica volta in cui l’esercito borbonico si impegnò in un grande scontro contro i garibaldini) e quattro giorni prima dello storico incontro di Teano (26 ottobre 1860, con Garibaldi che consegnò al re Vittorio Emanuele II le province meridionali) è documento di grande valore, spesso dimenticato nelle cronache: “Alle potenze d’Europa: memorandum”. Il generale propone ai governi francese e britannico di dar vita a una confederazione europea che punti a costituire uno Stato unico europeo. E delinea un risorgimento, un New Deal per dirla con le parole dell’epoca rooseveltiana, ancora oggi di grande attualità. Afferma Garibaldi: “Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato… e in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre ai bisogni e alla miseria dei popoli per essere prodigati in servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell’industria, nel miglioramento delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione di stabilimenti pubblici e nell’erezione delle scuole che toglierebbero alla miseria e alla ignoranza tante povere creature che in tutti i Paesi del mondo, qualunque sia il loro grado di civiltà, sono condannate dall’egoismo del calcolo e dalla cattiva amministrazione delle classi privilegiate e potenti all’abbrutimento, alla prostituzione dell’anima e della materia”. Parole e azioni che hanno cementato il sentimento nazionale, gettando le basi dell’Italia moderna.

La rievocazione di Cesenatico ha fatto affiorare nella mia memoria l’intervista immaginaria che a Garibaldi dedicai in apertura di una serie per il periodico “De vinis” edito dall’Associazione italiana sommelier, all’epoca diretta dall’albergatore cervese Terenzio Medri. Che così presentò la nuova rubrica. (S.G.)

Erano i primi anni Settanta e negli studi della Rai si affacciavano alcuni tra i maggiori scrittori italiani (da Italo Calvino ad Andrea Camilleri, da Alberto Arbasino a Umberto Eco, da Edoardo Sanguineti a Luigi Malerba, da Guido Ceronetti a Raffaele La Capria e Oreste del Buono, per citarne alcuni) per lanciare nell’etere le mitiche Interviste impossibili a personaggi celebri vissuti cento, mille o duemila anni fa.

Alle risposte da loro immaginate prestarono la voce attori come Carmelo Bene, Laura Betti, Romolo Valli e la serie delle Interviste impossibili divenne un piccolo classico, replicato più volte e sempre ricordato come esempio di una condizione ideale di libertà creativa.

A quegli incontri d’autore, che hanno segnato la nostra cultura e la nostra letteratura, ci siamo ispirati per affidare a Salvatore Giannella, giornalista e scrittore di lunga esperienza, il compito di intervistare personaggi famosi del passato, spesso più vivi dei vivi, con un filo conduttore: il vino. Ecco il primo di questi incontri d’autore con la storia. Dall’altro capo del telefono Giuseppe Garibaldi, nella sua veste poco conosciuta di eroe del mondo agricolo.

Giuseppe Garibaldi (Nizza, 1807 – Caprera, 1882).

L’intervista immaginaria

(La conversazione è accompagnata da un fastidioso tu-tu del telefono che va e viene. La linea è disturbata).

GIANNELLA: Pronto, pronto? Non si sente un accidente.

VOCE MASCHILE: Pronto?

GIANNELLA: Pronto? È l’Altare della Patria?

VOCE MASCHILE: Sì. Qui è il centralino dell’Altare della Patria. Ma lei chi vuole?

GIANNELLA: Vorrei parlare con Giuseppe Garibaldi. Mi passa il suo interno, per cortesia?

VOCE MASCHILE: Provo. Resti in linea.

GIANNELLA: Sento un rumore di fondo. La linea è molto disturbata. Vuole che richiami, chissà se migliora…

VOCE MASCHILE: Macché, È sempre così. Mi sa che il telefono è sotto controllo.

GIANNELLA: Anche il vostro telefono? Non c’è rispetto nemmeno per i padri della Patria?

VOCE MASCHILE: Che vuole che le dica… A me sembrava che, con la morte, si cancellasse tutto e che si meritasse almeno di non essere spiati. Mah, povera Italia. Stia in linea che provo a passarle il generale… Lei chi è?

GIANNELLA: Sono un giornalista…

VOCE MASCHILE: Ah, anche lei. Guardi, le anticipo che il generale ha rifiutato di parlare con altri suoi colleghi. Quest’anno l’hanno chiamato così tanti in occasione del bicentenario della nascita. Volevano tutti strappargli qualche parola sulla situazione dell’Italia di oggi.

GIANNELLA: Come? Non si sente più. C’è un rumore d’inferno.

VOCE MASCHILE: Ah guardi, fuori di qui sta succedendo il baccano. C’è una delle tante manifestazioni… Questa volta sono i tassisti che pigiano duro sui clacson. Non vogliono la liberalizzazione, ce l’hanno con Bersani e Veltroni. Mah, guardi, io di politica ne so poco, in vita mia ho sempre e solo lavorato. Dalla mattina alla sera, sgobbavo che non le dico. E i politici? Tutti uguali. Prima delle elezioni tante promesse, poi… Aspetti che provo a passarle il generale, ha detto che è un giornalista…

GIANNELLA: Sì, e gli dica che voglio parlargli dell’isola Ferdinandea.

VOCE MASCHILE: Mai sentita il nome di quest’isola. Eppure per qualche anno ho girato il mondo, in marina. Dove si trova?

GIANNELLA: Nel canale di Sicilia. Ma sott’acqua. Affiora ogni tanto…

VOCE MASCHILE: Mah, che storia strana. (Pausa)
GARIBALDI: Pronto? Sono il generale Garibaldi. Chi parla?

GIANNELLA: Signor generale, sono Giannella…

GARIBALDI: Sì, sì, giovanotto…

GIANNELLA: Beh, giovanotto per modo di dire. Ho 58 anni.

GARIBALDI: Embè, alla sua età io lasciavo Caprera e marciavo su Roma per liberarla dal giogo della Chiesa e farla capitale dell’Italia civile. Ne ha di cose da fare, uno della sua età. Ma veniamo al motivo della telefonata. Mi incuriosisce il suo riferimento all’isola Ferdinandea. Che novità ci sono? Lei sa che fui tra i primi a vederla eruttare?

GIANNELLA: L’ho scoperto a Cesenatico, in una bella mostra nel nuovo Museo della Marineria inaugurato sul porto canale leonardesco di quella città romagnola.

GARIBALDI: La conosco bene, ci passai con la mia povera Anita durante la mia ritirata da Roma. Volevo raggiungere Venezia per soccorrere i patrioti di Manin che ancora resistevano all’assedio degli austriaci. Fu proprio lì che mi imbarcai, il 2 agosto del 1849, con dodici bragozzi e una tartana… Vabbè, lasciamo stare i ricordi. Mi diceva di Ferdinandea?

GIANNELLA: Ho letto lì che nell’estate del 1831 la nave Muraglia, in rotta dalle Egadi verso le isole Jonie, incontrò tra la costa di Sciacca e Pantelleria una nave in panne, la Clorinda. E sul cassetto di prora c’era lei, definito un giovine biondo, bello come il sole, che stava osservando il fenomeno del mare in effervescenza e rilevava il punto con la bussola.

GARIBALDI: Eh, ero bello sì, all’epoca. Avevo 24 anni, e m’ero imbarcato come mozzo su quella nave di Nizza comandata da Angelo Pesante di Sanremo. E assistemmo a quello straordinario fenomeno naturale: un vulcano che usciva dal mare e creava un’isola nuova tra magnifiche eruzioni di pietre e vapori. Ai Borboni di Napoli parve quello un augurio di grandi fortune e subito alla neonata isola, che aumentava il territorio del loro Stato, fu imposto lo stesso nome del re Ferdinando. Ma fu un correre troppo…

GIANNELLA: Infatti dopo poche settimane l’isola cominciò a sgretolarsi, a sfasciarsi via via, per inabissarsi del tutto il 12 gennaio del 1832. E come allora quell’isola, così colava a fondo, ventotto anni dopo, la monarchia dei Borboni.

GARIBALDI: Acqua passata. Ma che novità ci sono a proposito di quell’isola?

GIANNELLA: Lentamente sta affiorando di nuovo. I geologi hanno colto segnali di attività di quel vulcano sottomarino.

GARIBALDI: Ah, interessante. La ringrazio per l’informazione. La saluto, deve finire la lettura dei giornali.

GIANNELLA: Un attimo ancora, generale. Volevo farle un paio di domande soltanto.

GARIBALDI: Dica, dica. Ma l’avverto. Non le dirò una parola sulla situazione politica di oggi. È così complicata che non mi ci raccappezzo neanch’io che pure ne ho visto di scenari difficili. Questa globalizzazione è un grande problema. L’unica cosa che mi piace ricordare sono le parole che pronunciai durante la visita all’Istituto Agrario Castelnuovo di Palermo, nel luglio 1862: “Il ferro non dovrebbe essere impiegato per fare armi, ma per fare vomeri”. E non risponderò nemmeno a domande che riguardino la mia vita privata: vedo che nell’Italia di oggi vanno così di modo i pettegolezzi.

GIANNELLA: No, guardi, generale. Le mie domande non riguarderanno le sue donne, da Anita a Francesca Armosino, ma riguardano la sua passione per il vino.

GARIBALDI: Che c’entra il vino? Il centralinista mi aveva parlato solo dell’isola Ferdinandea…

GIANNELLA: Beh, c’entra generale. La nave Muraglia che incontraste mentre nel Canale di Sicilia spuntava l’isola era diretta a Cerigo, che poi è l’antica Citera, di amorosa memoria, oggi famosa ancora per il suo vino… E lei stesso più volte con le barche ha trasportato barili di vino. In una di queste occasioni, il secondo viaggio per mare da lei effettuato per il trasporto di un carico di vino dalla Francia meridionale a Roma, con la tartana di 30 tonnellate di suo padre, poté realizzare una delle esperienze giovanili che la segnarono maggiormente. Il barcone risalì il Tevere trascinato da buoi e lei prese per la prima volta visione della magnificenza della Roma imperiale, convincendosi da allora che sarebbe dovuta tornare a essere la capitale d’Italia. E questo dettaglio mi ha evocato l’altra faccia del generale guerriero: quello del generale agricoltore…

GARIBALDI: Troppo buono, giovanotto. Comunque ammetto che ho sempre nutrito una grande curiosità verso il vino. Sono stato tra i primi a credere che chi non conosce la vite non conosce la vita.

GIANNELLA: Come ha detto? Mi scusi, c’è questa fastidiosa interferenza.

GARIBALDI: Sì, la sento anch’io. Purtroppo la qualità dei servizi va abbassandosi. Le dicevo: chi non conosce la vite, con la e finale, non conosce la vita, con la a finale. Capito il gioco di parole?

GIANNELLA: Certo, certo, generale. Mi sembra anche molto efficace. Ne parlerò al presidente dei sommelier.

GARIBALDI: Ne faccia quello che vuole…

Garibaldi è la figura più rilevante del Risorgimento, uno dei personaggi storici italiani più celebri al mondo e anche un eroe nazionale per gli italiani. Iniziò i suoi spostamenti per il mondo quale ufficiale di navi mercantili e poi quale capitano di lungo corso al comando.

GIANNELLA: Generale, torniamo a lei e al vino. Uno studioso, Rosario Previtera, l’ha definita “un eroe del mondo agricolo” per la sua ostinata attività presso l’isola di Caprera, per le sue ricerche personali in campo agricolo e per il contatto costante con studiosi e agronomi del tempo. Ancora di più, per la sua azione divulgativa nei confronti dell’uso delle solforazioni contro “la fatal crittogama” ovvero contro il nefasto Oidio o “mal bianco della vite”.

GARIBALDI: Generoso, questo giudizio, ma in fondo corrisponde a verità. Pensi che io ho ancora nelle narici l’odore dello zolfo. Nella mia vita è stata sicuramente una componente costante. Quell’odore ha unito sia il mondo delle battaglie sia quello della pace agreste, in quanto componente della polvere da sparo e contemporaneamente efficace anticrittogamico. L’ho usato più volte nelle mie due vigne a Caprera, che mi davano un vino buono e forte, come un classico vino sardo o meridionale. Mi addestravo come viticoltore con il manuale “Istruzione pratica sul modo di fare il vino e conservarlo” dell’agronomo Gaetano Cantoni. Per poterlo bere senza andare in giri di testa qualche visitatore usava annacquarla. E Francesco Aventi, un esperto agricoltore che mi venne a trovare nel 1868, arrivò a suggerirmi di imbottigliarlo e porlo in vendita con una mia etichetta. Ma io non ho mai amato speculare né arricchirmi, tanto più sapendo che ero negato agli affari, così lasciai cadere la cosa. E quando gli acciacchi dell’età mi impedirono di occuparmi personalmente dei campi, scrissi all’allora ministro dell’Agricoltura, Benedetto Cairoli, una lettera, guardi, ce l’ho qui in copia sulla scrivania, è datata settembre 1872. Chiedevo un solo aiuto: l’invio di un contadino fidato “che sappia particolarmente lavorare coi bovi e trattar la vigna”.

GIANNELLA: Il suo rapporto con la viticoltura, dunque, è sempre stato stretto, anche indirettamente: ho scoperto che la barella sulla quale lei fu trasportato ferito dall’Aspromonte a Scilla, nel 1862, era costituita da robusti e grandi tralci di vite.

GARIBALDI: Vedo che lei è ben documentato, giovanotto. Mi fa piacere e volentieri mi trattengo con lei qualche altro minuto. Guardi, sul muro della mia stanza, una stanza francescana mica quelle affrescate e imbandierate dei potenti di oggi, io ho affisso una sola fotocopia. È un brano del tedesco Bertolt Brecht che ho strappato da un libro della biblioteca. Ha per titolo: “Devi sapere tutto”. La so a memoria. Vuole sentirla?

GIANNELLA: Generale, non voglio sottoporle a questo sforzo.

GARIBALDI: No, no, non mi costa niente. Quelle righe le ho sott’occhio tutto il giorno. Ascolti: “Impara, bambino a scuola / impara uomo in carcere / impara donna in cucina / frequenta la scuola, senzatetto / procurati sapere, / tu che hai freddo / affamato, impugna il libro / è come un’arma. / Non temere di fare domande / verifica le cose che leggi / ciò che non sai di tua scienza / in realtà non lo sai”.

GIANNELLA: Di straordinaria attualità. Oggi, sa generale, viviamo nell’economia della conoscenza.

GARIBALDI: Oh, se è per questo è sempre stato così. So di povera gente che, per avere la pensione, si fa fare le carte da uno che porta avanti la pratica e in cambio, oltre alla parcella, chiede anche le prime sei mensilità. Il sapere è sempre stato un motore dell’economia. Bene giovanotto, mi saluti i suoi, devo chiudere perché il centralinista chiede la linea. Pensi, che ingratitudine, abbiamo due sole linee e qui ci abitano decine di Padri della Patria. Le dice niente questo particolare? Avremmo tanto da dire, ma non ci consulta nessuno. E quei pochi che tentano di chiamarci, trovano sempre occupato…

GIANNELLA: Capisco, ma vedrà che dopo questa intervista qualcuno chiamerà lei e gli altri Padri. Allora facciamo gli auguri a questo Paese che lei e noi amiamo. Un augurio e un brindisi. Con quali parole? Con quale vino?

GARIBALDI: L’augurio è che questa Italia rimanga sempre unita, pur nelle diversità. E che il senso di responsabilità civica porti ogni tanto a mettere da parte individualismi e settarismi e a dire “Obbedisco” per il bene comune, per una duratura ed eterna concordia nel segno dell’eccellenza. Solo così si avrà un nuovo risorgimento. D’altronde è accaduto lo stesso per il vino. Ricorda? Lo scandalo delle sofisticazioni, l’allarme per l’etanolo… Quel bubbone di vent’anni fa ha rappresentato il punto di partenza per un decollo orgoglioso dell’enogastronomia. Per quanto riguarda il vino del brindisi, scelga lei. Io non sono stato un grande bevitore. Buon intenditore, sì, ma non bevitore. Eppure me ne sono passati calici dei più disparati. Sa, in molti posti ero accolto quale eroe e trionfatore, quindi spesso ricevevo e gustavo i vini più disparati con i quali festeggiare e brindare a ogni tappa della mia avanzata con le mie truppe. A cominciare dal vino Marsala siciliano, il più antico dei vini Doc italiani. Ho ancora negli occhi lo spettacolo “agrario” che mi si palesò al momento dello sbarco a Marsala. Era maggio, la vite che ricopriva intere colline era in pieno rigoglio vegetativo. Tornai due anni dopo in quella città siciliana: riposai presso lo stabilimento di Vincenzo Florio e tornai a bere quel vino dolce e liquoroso che avevo assaggiato la notte dello sbarco: era il Marsala Superiore che, bontà dei Florio, vollero da allora ribattezzare Garibaldi Dolce. Ma non dimentico il forte vino calabrese, i fiaschi di rosso e bianco serviti a Viterbo, il vino d’Orvieto e fino al “vino del Risorgimento” che battezzai nei pressi del lago Maggiore. Oggi lo chiamano Gattinara, mi pare.

GIANNELLA: Da quello che mi dice deduco che lei potrebbe essere indicato quale antesignano dei moderni assaggiatori del vino.

GARIBALDI: Oh bella, questa non l’avevo ancora pensata. Io come primo sommelier d’Italia. Beh, in effetti la cosa non mi dispiace.

GIANNELLA: Generale, però non ha risposto alla mia domanda: quale vino lei preferisce?

GARIBALDI: Non mi faccia fare nomi. Farei un torto a tanti. Diciamo così: ho preferito il vino rosso. Rosso, come il colore delle camicie dei Mille.

A PROPOSITO

Per Garibaldi più che la guerra riuscì difficile l’apicoltura

Garibaldi a Caprera non si limitò a fare l’agricoltore. Coltivò anche l’arte gentile dell’apicoltura, mi informa Cesare Brusi, erede di una tradizione familiare a contatto con le api in Romagna lunga 110 anni. E nel suo ufficio di direttore dell’Ascom di Cervia mi tira fuori la cartella intitolata al celebre “collega”.

Fra le carte conservate, ritagli della rivista “L’Apicoltura italiana”, Ancona 1932. E due lettere dirette dall’Eroe dei due mondi nell’anno 1873 al prof. Isidoro Guerinoni, presidente della Società apistica di Pistoia, l’iniziatore del generale all’apicoltura.

Ecco la prima lettera, datata Caprera 22 febbraio 1873:

Mio caro prof., il mio apiario è in misera condizione. Sono rimasto con 22 alveari, di cui solo 12 ben pieni. Mi manca il custode impiegato alle ferrovie sarde e sono costretto a servirmi di un novizio al governo. Tutte le mie casse, in numero di 45, sono orizzontali; quest’anno farò il possibile per ridurle a favo mobile e perciò avrei bisogno d’un modello il più perfetto possibile – orizzontale – a favo mobile e comodo per il matrimonio delle famiglie che Vi pregherei di inviarmi con l’importo.

La stagione corse tiepida fino a tutto gennaio per cui da novembre i mandorli sono in fiore – così l’asfodelo e quantità di piante campestri.

Ma in questo mese s’è fatto il tempo rigido e, ad onta d’esservi molti fiori, le povere api non sortono o sortono pochissimo. Le aiutai con qualche sciroppo e un po’ di miele male amministrato.

Oggi il tempo si riscalda e spero potranno uscire al pascolo. Vi prego d’inviarmi presto il modello per aver tempo di fare costruire delle casse, giacché alla fine di marzo sovente si hanno già degli sciami.

Sempre vostro

G. Garibaldi

La seconda lettera è del 15 luglio 1873:

Mio caro professore, ieri trovai un’arnia a favi mobili vuota d’api e con tarme: l’apiario è ridotto quindi ad arnie 48. Visito l’apiario ogni giorno. Le formiche mi danno sempre molto da fare, essendone quest’anno una quantità immensa. Circa i miglioramenti da operarsi ne serberemo l’esecuzione per l’inverno, credo.

Sempre devotissimo

G. Garibaldi

Infine è da registrare un’ultima lettera mandata da Garibaldi alla rivista “L’Apicoltore” di Milano, 1877:

Sig. Direttore, ebbi già 40 e più casse d’api nel mio apiario, oggi sono ridotte a 6, non avendo potuto occuparmene io stesso. Le casse a favo mobile non mi sono riuscite e le 6 che mi restano sono casse non a favo mobile, divise in due compartimenti uguali, con porta anteriore e posteriore con vetro.

Cinque delle 6 sono in eccellente stato – non so se la sesta raggiungerà marzo – essendo scarse di abitatrici.

Credo sia indispensabile avere del legname idoneo per le casse, cioè inattaccabile dalle tarme – o per sua natura o mediante iniezione di qualche composto chimico. Su quest’ultimo quesito imploro il generoso vostro consiglio per preparare alcune casse ai prossimi sciami che qui cominciano a fine di marzo qualche volta. Sono devotissimo, vostro

G. Garibaldi

Quanta passione, quanta ansia per la salvezza delle sue creature alate palpita nelle lettere di questo liberatore di popoli. E pensare che, come scrive la figlia Clelia Garibaldi in una pagina del suo diario riprodotto dalla rivista “Lapis”,

il miele ci serviva anche per mettere nel caffè, onde risparmiare lo zucchero che si doveva comprare… Le finanze furono sempre molto magre in casa mia.

Un’ultima curiosità: la passione per le api ha interessato da tre secoli la famiglia Garibaldi. Un discendente ne ha fatto addirittura il suo mestiere. Renato Garibaldi è infatti apicoltore professionista in Friuli e c si può rendere conto della sua attività visitando il sito internet apicarnia.it in cui, tra l’altro, si narra la storia apistica della famiglia. (s.g.)

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

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