In America è corsa ai divorzi gay, ma il primo fu registrato in Europa e lo raccontai in un memoriale per “Oggi”



 

Una recente inchiesta di Repubblica mi fa riscoprire un mio singolare primato da cronista: l’aver pubblicato il primo memoriale raccolto dalla bocca di un protagonista del primo divorzio gay nella storia europea.

“Dopo la corsa alle nozze, a New York è già l’ora dei divorzi gay”, titola in prima pagina, il 13 marzo scorso, il quotidiano diretto da Ezio Mauro, in un reportage che parte da un palazzone di Broadway con la luce sempre accesa, quello di Sherry Donovan, la titolare dell’omonimo studio, uno dei migliori nel campo delle separazioni tra coppie dello stesso sesso.

Il mio articolo l’avevo spedito invece da Madrid ed era apparso su Oggi n.34/2006. Titolo: “Noi gay divorziamo litigando come gli etero”. Era la seconda puntata di una mia inchiesta sui cambiamenti in corso nelle famiglie spagnole. Sommario: “Per 13 anni avevano convissuto felicemente. Poi, con l’arrivo della legge ‘zapatera’, che legalizza le unioni tra persone dello stesso sesso, Hector e Fernando non hanno retto ai diritti doveri dei coniugi. Una storia speciale? Affatto. Perché tutto comincia dal conto in banca”.

Rileggiamo quella mia presentazione e quel memoriale che, alla luce di quanto sta accadendo nel mondo gay after, conservano una loro attualità.

Correva l’anno 2006. Martedì 8 agosto è stata una giornata particolare per la nuova Spagna governata da José Luis Zapatero: quel giorno ha compiuto un anno l’applicazione della legge che legalizza le unioni tra persone dello stesso sesso e si sono succedute feste ed eventi, e non solo da parte delle 4.501 coppie gay che in questi primi 12 mesi hanno regolarizzato il loro rapporto in municipio. Migliaia di coppie felici per i diritti riconosciuti da una legge approvata dal Parlamento con 187 voti a favore, 147 contro e 4 astenuti (la Spagna è il quarto Paese ad avere una legge del genere, dopo Belgio, Olanda e Canada). Migliaia di coppie felici, tranne una: quella di Hector Benozio, 43 anni, ex modello laureato in biochimica, e di Fernando C., 40, manager Microsoft. Hector e Fernando s’erano promessi amore eterno nell’ottobre scorso, dopo 13 anni di convivenza, ma la loro vita da coniugi (come capita anche nelle coppie eterosessuali) non ha retto e, 8 mesi dopo il “Te quiero” si sono ritrovati sul piede di guerra e sono protagonisti di un evento a suo modo storico: il primo divorzio gay. A Hector abbiamo chiesto di raccontare la sua esperienza. Ecco qui di seguito, in esclusiva, il suo memoriale. (s.g.)

Hector Benozio con uno dei cani Schnauzer in sua custodia e che costituisce argomento della trattativa dei legali: «Fernando può venire a visitarli» (ph Giuditta Bussetti).

Ebreo e gay

Io, Hector Benozio, sono sudamericano, ebreo e gay. La mia vita fiera da sempre è una lotta contro i pregiudizi: dal natìo Paraguay alla Spagna, alla Milano della moda… Nella mia immagine orgogliosa trovo idealmente riflessa una parte dell’umanità prigioniera dei pregiudizi, milioni di altre persone nel mondo che si battono contro l’ intolleranza. Altro che ironizzare, come fanno tanti, sul mio divorzio gay, sull’assegno vitalizio che ho richiesto o su quando il mio ex coniuge possa incontrare i miei cani…

Dittatura e corruzione

Nasco ad Asunción, la capitale del Paraguay, nel 1963, terzo figlio di una famiglia ebrea. Da nove anni quel Paese del Sudamerica era anestetizzato dalla severa dittatura del generale Alfredo Stroessner. Ma anche dalla corruzione diffusa: ancor oggi il Paraguay è ai primi posti nella poco onorevole graduatoria di Transparency sull’illegalità nel mondo. Una miscela inevitabile e micidiale, quella della dittatura e della corruzione. Me n’ero accorto subito, perché mio padre gestiva un negozio nel quartiere Pettirossi, nel cuore di Asunción, che ospita un grande mercato. C’era molto contrabbando, ricordo le camionette della polizia inseguire le auto dei contrabbandieri, e gli accordi finali a base di mazzette… Mio padre vendeva abiti.

“Figlio di Dio”

Le mie prime difficoltà cominciano dall’essere di famiglia ebraica e dall’avere occhi azzurri che prestissimo ho cominciato a nascondere con gli occhiali da sole. “Figlio di Dio”, mi chiamavano con ironia i nostri vicini di casa. Ho avuto un’infanzia felice, fatta di studi (nella scuola della comunità ebraica dove mamma Rachele mi accompagnava ogni mattina), di giochi e di affetti con amici e ragazze del quartiere. Fu in una di queste feste, a 12 anni, che incontrai Victoria, e le sue labbra dolci lasciarono dentro di me il ricordo del primo bacio. La corruzione ci mise in crisi. Crisi del Paese, crisi nella mia famiglia. A 10 anni avevo cominciato a vendere i fazzoletti ricamati da mia madre, acquistavo la stoffa con i soldi che mio padre mi dava per prendere l’autobus: andavo a scuola a piedi e di pomeriggio, così era più facile affiancare mia madre in questo piccolo commercio. Un’attività che non influenzò i miei risultati a scuola: anzi, arrivai per anni primo della classe. Fu su quella stessa strada che aveva visto le mie passeggiate platoniche con Victoria (platoniche perché io già avevo capito che mi piacevano di più i ragazzi) che mi si affiancò Carlos, uomo ricco e cortese.

Hector Benozio, ex modello, in una foto tratta da una campagna pubblicitaria di qualche anno fa (ph Giuditta Bussetti)

Aveva 36 anni

Scoprii in un anno la tenerezza, i viaggi e le nuotate. Il Paraguay non ha mare, il lago Ypacaraì con la sua Playa San Bernardino è il luogo di villeggiatura più frequentato per trovare refrigerio ai bollori dell’estate paraguaiana. Divenni così bravo nel nuoto che arrivai quarto in una gara di attraversamento del lago (5 chilometri). La mia passione per il nuoto mi portò a iscrivermi, nel secondo ciclo, a una scuola di gesuiti che mi davano più opportunità di far piscina. Un brutto giorno, a 15 anni, arrivò una retata: nell’edificio entrarono 200 poliziotti armati, chiusero in uno stanzone i gesuiti (malvisti per i loro insegnamenti a favore dei diritti civili) mentre noi allievi fummo tenuti in ginocchio sotto la minaccia di un mitra. Con quel mitra puntato alla nuca presi coscienza per la prima volta della durezza della dittatura. E di quali e quanti ricatti siano capaci i suoi guardiani.

Biochimico e modello

All’università scelsi medicina, lo dovevo a mia madre. Non fui brillante come nei precedenti cicli scolastici, perché intanto avevo cominciato a lavorare come modello: comunque chiusi nei 6 anni regolamentari. Ero un biochimico, avevo fatto felice i miei genitori e io stesso ero felice perché avevo trovato, di nascosto dai miei, un coetaneo arrivato dall’Argentina con il quale andavo a ballare. José era il figlio del proprietario di una radio e stare con lui era un misto di felicità e di paura. C’era il coprifuoco, ad Asunción. Un brutto giorno la radio fu chiusa e il mio amico fu catturato in una retata. No, non c’era più futuro laggiù. Nel 1987 con José ci imbarcammo su un aereo, con visto turistico, destinazione la Spagna post franchista, già avvolta nella “movida”. Furono anni duri, ma carichi di speranza, quelli di Barcellona: lo spirito è reso bene da un film che è circolato anche in Italia, L’appartamento spagnolo. Libertà, leggerezza, il tutto alla luce del sole. Per qualche mese sono riuscito anche a lavorare in un laboratorio dell’ ospedale, ma il visto turistico mi impedì di essere assunto in pianta stabile.

In Tv con Raffaella Carrà

Dovevo pensare a un altro lavoro e scelsi di valorizzare la mia fotogenicità. Divenni modello, fui preso nella Tv spagnola, mi esibii anche nel talk show di successo di Raffaella Carrà Hola Raffaella! Le apparizioni in prima serata con la Carrà mi portarono fortuna e, in coincidenza con la crisi con José, sbarcai in Italia, nella Milano della moda. Ho fatto sfilate per stilisti e grandi marche, sono apparso sulle pagine dei giornali, ho vissuto per mesi in un appartamento del centro storico, ho apprezzato l’ospitalità e la cucina italiana, ma… Ma mi pesava l’abitare in una casa in comune con altre 6 7 persone. Avevo voglia di tranquillità, puntai su un piccolo nido da single a Madrid. Lì, alla festa del mio compleanno, il 5 di luglio del ’93, ho conosciuto Fernando. No, non fu un flechazo, un colpo di fulmine. Ci mettemmo un po’ di settimane prima di accorgerci che volevamo vivere insieme. Fernando all’epoca era manager dell’Ibm, 1.500 euro al mese, ma non aveva problemi di soldi. È ricco di famiglia, figlio di una famiglia aristocratica di Spagna, parente di una delle più titolate nobildonne d’Europa, la duchessa d’Alba. Ci mettiamo insieme anche negli affari. Fondiamo un’agenzia di modelli, io faccio il talent scout. Giriamo il mondo, crociere, veniamo in Italia (un viaggio di nozze “preventivo” e romantico, a Roma e a Firenze), non ci facciamo mancare niente. Gli affari dell’agenzia vanno a rotoli, ma il lavoro no, non si ferma. Io apro un negozio di parrucchiere per cani, in breve mi affermo, ho una lista di 400 clienti fissi. Fernando cresce, grazie anche al mio aiuto (mi prendo cura di sua madre morente). Diventa un top manager della Microsoft Europa, viene chiamato a Parigi. E mi chiama in Francia, obbligandomi a chiudere il negozio. “Non ti preoccupare per i soldi, io ora ne incasso tanti”. E tutto, pure i soldi che mandava mia madre da Asunción, finiva sul conto in banca intestato solo a suo nome. Mollai tutto e partii. Lo amavo. Nel 2001 ci iscriviamo nel registro delle coppie di fatto. Poi a Parigi sappiamo della nuova legge approvata dal Parlamento spagnolo, che permette l’unione tra persone dello stesso sesso. Voliamo a Madrid e pronunciamo il classico “Te quiero” lo scorso 15 ottobre. Ci stabiliamo nella capitale spagnola. Ma qualcosa si incrina.

Madrid. Hector Benozio posa per Oggi nello studio del suo avvocato difensore, la più brava e famosa matrimonialista della capitale spagnola, Esther Castellanos. «È stata lei a farmi aprire gli occhi sul mio ex convivente: era la solita storia di tradimenti». (ph Giuditta Bussetti).

Una brava matrimonialista

Fernando all’improvviso diventa freddo. Io attribuivo il suo calo d’interesse allo stress da lavoro. Ma un giorno c’era l’appuntamento dal notaio per estendere a me anche il conto in banca e la casa, ma al momento della firma lui si tira indietro. Il mio avvocato, la brava matrimonialista Esther Castellanos, mi avverte: “Ha un altro, vedrai. Me lo dice la mia esperienza in fatto di coppie eterosessuali”. Ha avuto ragione lei. Qualche giorno dopo un mio amico mi avverte di aver visto Fernando al cinema in compagnia di Pelayo, un medico di 27 anni con cui ora vuole vivere. E il suo avvocato mi chiama per dirmi che Fernando si vuole separare e che mi offre, per gli alimenti, 450 euro al mese per 3 anni. Da fame. Io chiedo che lui mi restituisca i soldi avuti da mia madre e la metà di quanto abbiamo costruito insieme. Chiedo anche l’ uso per 15 anni del villino di 240 metri quadrati comprato a Madrid, la custodia dei due cani Schnauzer (Fernando può venirli a visitare nei weekend)… Il conto lo facciano gli avvocati. Io non mi fermo finché non avrò giustizia: intendo far valere i miei diritti, anche per favorire un precedente giuridico che potrebbe essere utile per tante altre nuove “società coniugali” che stanno nascendo e che domani, come capita nelle tradizionalissime coppie eterosessuali, potrebbero rompersi.

Hector Benozio