Il padre della legge dei parchi ci affida il promemoria per il governo italiano: la manutenzione dei beni pubblici
Morti e distruzioni anche nelle miti e virtuose Marche. L’Italia torna a svegliarsi dolorosamente sorpresa da un numero crescente di eventi meteorologici estremi. Stiamo pagando un conto molto salato, ma non imprevisto (più volte al centro dei testi su questo blog). Paghiamo per i mutamenti climatici, certo, ma soprattutto per i ritardi nell’adattarci, come singoli e come istituzioni, come sistema Paese, a fenomeni sempre più frequenti.
Nel Piano di spesa delle risorse del Recovery Fund europeo diamo la precedenza, con la salute, al recupero e a far ritrovare la “buona salute” a ponti e strade, edifici scolastici e acquedotti. Seguiamo le istruzioni che ci vengono da chi, sui grandi giornali, alza spesso gli occhi per scrutare il nostro orizzonte comune (per tutti cito i testi di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, “La nostra terra da riparare”, fresco premiato con il Cervia Ambiente per il suo film con Andrea Segre sulla memoria dell’alluvione del Po: Antonio Maria Mira, “Adattarci tutti per sopravvivere” editoriale su Avvenire del 17: e il costruttivo intervento di Marco Merola sul progetto “Adaptation” che trovate sul nuovo libro da me curato, “Acqua ultima chiamata”).
“Ormai sono pochi, anche se a volte autorevoli e rumorosi, i negazionisti dei mutamenti climatici. Ma se riconosciamo tali mutamenti dobbiamo agire, non solo con azioni per mitigarli (la decarbonizzazione), che comunque richiedono tempi lunghi, ma con altrettante, e più rapide, azioni di adattamento. Eppure il Piano nazionale di adattamento ai mutamenti climatici, predisposto dal Ministero dell’Ambiente (ora Transizione ecologica) nel 2018, è fermo da allora per le resistenze soprattutto di Regioni e Comuni. Perché toccherebbe poi a loro attuarlo, mettendo mano alle aree a rischio, con precisi interventi di protezione civile e anche urbanistici, fino alle inedificabilità e delocalizzazioni. Non li si ritiene importanti?”, si chiede l’editorialista di Avvenire. “O c’è timore che siano provvedimenti impopolari che fanno perdere il consenso dei cittadini?” (S.G.)
In un’opera del 1955 (La sua signora) Leo Longanesi, che era un imprevedibile, originale scrittore oltre che un sagace editore, scrisse un aforisma permeato di fine ironia, ahimè tuttora valido e attuale: gli italiani preferiscono le inaugurazioni alle manutenzioni.
L’Italia è un Paese a economia avanzata che, nonostante i ricorrenti crolli di ponti e di edifici scolastici con la conseguenza tragica di perdite di vite umane, trascura la manutenzione dei beni pubblici o sociali.
Nessuno demonizza il nuovo purché sia utile e non abbia controindicazioni escludenti come sarebbe, ad esempio, la proposta di costruzione di una centrale idroelettrica in un centro storico (a Bassano del Grappa in sfregio al fiume Brenta).
È sempre più calzante, in proposito, la storiella che raccontava un eccelso giurista e celebre uomo politico toscano del secolo scorso, Piero Calamandrei, quale emblematica metafora dell’indifferenza italica verso l’interesse pubblico e i beni della comunità: ossia l’apologo di quei due amici che si avventurarono in una gita in barca benché il mare non fosse in bonaccia. Uno dei due si pose al timone e l’altro (Beppe si chiamava) si addormentò sull’impiantito della barca. Giunti al largo, il vento e le onde aumentarono pericolosamente e quello dei due amici al timone, preso dal panico, chiese aiuto gridando:
E Beppe, seccato con l’amico perché aveva interrotto il suo sereno riposo, ancora assonnato rispose:
Ecco, anche gli italiani oggi non conservano i beni che pure a loro appartengono non individualmente ma come componenti di una comunità associata.
L’omissione sistematica di interventi di manutenzione, adeguati e periodici, della res publica è una costante che caratterizza negativamente gli italiani i quali lasciano affondare la barca ossia la casa comune.
Anche la perdita di vite umane per i crolli di ponti e di edifici scolastici, per lo più di vecchissima costruzione, che pur turba emotivamente gli italiani nel momento in cui accadono le sciagure, non serve a ricordare nel tempo e ad adottare comportamenti razionali di normale prevenzione. Eppure l’Unione Europea ha approvato da tempo, e l’Italia abbracciato, il principio di precauzione che fa parte del nostro ordinamento giuridico ed è un fattore decisivo per pubblici amministratori e per magistrati anche nel dubbio sugli effetti pregiudizievoli che una nuova opera può cagionare.
La mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria di beni pubblici è una conseguenza di questo oblìo, di questo sonno della memoria: a Genova, per la caduta del ponte, sono morte 42 persone! Ma la vita umana vale ancora per gli italiani e ne è prioritaria la salvaguardia più rigorosa?
Recentemente un gruppo di cittadini ha inviato al Governo italiano, informandone anche le principali istituzioni europee, la proposta di un piano pluriennale di manutenzione dei beni pubblici (ponti, strade, edifici scolastici e acquedotti) nonché dei beni ambientali e culturali, da inserire nel cosiddetto PNRR. Per la verità, la proposta non è caduta nel vuoto, ma in una bozza del piano, attribuita al Governo italiano, compare una voce dedicata alla manutenzione soltanto di ponti e strade per complessivi 4 miliardi di euro.
Una prima osservazione propositiva induce a valutare inadeguata una previsione di spesa così esigua per ponti e strade.
La seconda riflessione, che scaturisce da questa bozza governativa, riguarda la mancanza di edifici scolastici e di acquedotti (a meno che nella voce “risorse idriche” non si intendano anche gli impianti acquedottistici nel loro complesso) che, in alcune parti del territorio nazionale, si avvalgono ancora, per l’adduzione dell’acqua finalizzata a usi potabili e igienici, di collettori in cemento-amianto, che è cancerogeno sia per inalazione che per ingerimento di cibi e bevande. •
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