Chi combatte Ebola nel segno di Emergency

Il settimanale americano TIME ha nominato “persone dell’anno” gli Ebola Fighters, le persone che stanno combattendo contro Ebola in Africa: un riconoscimento che sottolinea, ancora una volta, l’importanza del lavoro di organizzazioni non profit come Emergency (cui da tempo destino il 5 per mille familiare). Un riconoscimento che va soprattutto ai medici e infermieri che stanno lavorando ogni giorno in Sierra Leone. Qui di seguito ve ne presentiamo qualcuno, con parole e immagini riprese dal sito di Emergency. “Un pensiero particolare”, vi si legge, “va al nostro collega che in questi giorni è ricoverato allo Spallanzani di Roma: forza, ti aspettiamo!”.

Sara: “L’Africa è stata abbandonata”

Molti non capiscono perché resto, nonostante tutto. Credo nel diritto alla cura per tutti, senza discriminazione. È per questo che faccio questo lavoro. L’Ebola è terribile, ma ricevendo le giuste cure è possibile guarire. Se questa epidemia fosse scoppiata in Occidente… sarebbe stato diverso. Tutti si sarebbero attivati e i pazienti avrebbero ricevuto le cure migliori. Qui non è così, qui la gente è stata semplicemente abbandonata.

Sara, infermiera di Emergency in Sierra Leone

Sara, infermiera di Emergency in Sierra Leone. La vestizione e svestizione dei dispositivi protettivi è fatta con un gesto che segue l’altro, lentamente, seguendo una minuziosa procedura che non ammette errori.

Gina: “Ebola si deve e si può curare”

Il nostro centro vuole dare la massima assistenza a un paziente. Questo guida il nostro lavoro, ogni giorno. È difficile farlo salvaguardando la propria sicurezza, lavorando con strumenti che ostacolano i movimenti. Nonostante questo studiamo per aumentare sempre di più il tempo che si dedica ai pazienti e rispetto ad altri centri siamo molto soddisfatti. Nel nostro lavoro sono tanti i rischi, anche altrove. Pensi ai rischi, certo, ma ti concentri sul lavoro e sui pazienti e tutto il resto viene dopo. Perché con qualità e professionalità Ebola si deve e si può curare.

Gina Portella, coordinatore medico del Centro di Lakka, Sierra Leone

Gina Portella, coordinatore medico del Centro di Lakka. Aperto il 18 settembre a pochi chilometri dalla capitale Freetown, vi lavorano circa 110 persone tra medici, infermieri, logisti, ausiliari, personale delle pulizie. Gli operatori internazionali vengono da Italia, Serbia, Spagna e Uganda.

Fabiana: “Non abbiamo mai pensato di mollare”

Lavoro con Emergency da quattro anni, tre dei quali in Sierra Leone. È cambiato molto con l’arrivo di Ebola, perché il contatto con le persone è per forza di cose mutato. È una situazione strana per noi, ma non ci fermiamo. E non ho mai pensato di mollare. Quando ho iniziato a lavorare con EMERGENCY sapevo bene che mi sarei confrontata con contesti complicati, ma questa gente ha bisogno di noi, come era prima di Ebola e come sarà dopo Ebola.

Fabiana, infermiera di Emergency in Sierra Leone

Fabiana, infermiera di Emergency in Sierra Leone. L’organizzazione no-profit di Gino Strada ha allestito a Lakka una struttura messa a disposizione dal ministero della Sanità locale suddivisa in area di attesa, area di triage, area per l’isolamento dei casi sospetti (10 posti letto), area dedicata alla cura dei malati (12 posti letto), zona di disinfezione e obitorio. A queste si aggiunge l’area dei servizi con spogliatoi, magazzini, lavanderia, cucine.

Mariama: “Fiera di essere parte di questa storia”

Ogni giorno, con il mio lavoro, mi rendo conto di quanto è importante questo ospedale per la mia gente. Visitiamo cento bambini al giorno, sosteniamo il futuro della Sierra Leone, con cure gratuite e di qualità. Immaginare cosa sarebbe accaduto qui se questo ospedale avesse chiuso e se EMERGENCY non avesse deciso di lavorare con i centri Ebola è un incubo. In Sierra Leone si muore ancora di malattie banali, figurarsi con Ebola. Sono fiera di essere parte di questa storia.

Mariama, pediatra di Emergency in Sierra Leone

Mariama, pediatra di Emergency in Sierra Leone. Il Centro pediatrico di Goderich funziona sei giorni alla settimana per 7 ore al giorno; negli orari di chiusura, i casi urgenti vengono visitati nell’ambulatorio chirurgico dell’ospedale. Sono mediamente 1.300 i bambini curati ogni mese.

Manu: “Qui ogni errore potrebbe essere fatale”

Rispetto ad altri progetti di Emergency in cui ho lavorato qui ogni errore potrebbe essere fatale. Bisogna pensare e agire con uno spirito di squadra, controllare se stessi e gli altri. Lavorando ogni giorno come fosse il primo, senza mai abbassare la guardia, non dando mai per scontate le procedure di sicurezza, anche se è duro lavorare con la tuta. Il mio lavoro mi porta ad avere contatti con la popolazione locale e ho visto crescere la consapevolezza del rischio. Bisogna affrontare Ebola in modo razionale, consapevoli dei rischi, ma convinti dell’importanza del lavoro che facciamo.

Manu, logista di Emergency in Sierra Leone

Manu, logista di Emergency in Sierra Leone. Insieme a DFID (agenzia di cooperazione del governo inglese), Emergency ha aperto a metà dicembre un nuovo ospedale da 100 posti letto a Goderich: il Centro di Lakka funzionerà come Centro di isolamento dei casi sospetti che, se positivi, verranno trasferiti al nuovo ospedale.

Graziella: “Non ho paura perché amo il mio lavoro”

Lavoro con Emergency da dieci anni, la mia prima missione proprio in Sierra Leone. Ci sono tornata per anni e sono ancora qui. È un periodo drammatico, il sistema sanitario locale è allo sbando. Conosco tutti, volevo essere al loro fianco. Senza paura, perché amo il mio lavoro. Aumenti le cautele, quando vedi un collega ammalarsi soffri molto, ma non ho mai pensato di andare via.

Graziella, fisioterapista di Emergency in Sierra Leone

Graziella, fisioterapista di Emergency in Sierra Leone. Nel nuovo Centro di Goderich lavorano oltre 500 persone, tra staff medico e non medico, locali e internazionali.

Luca: “E se tutti fossero scappati via?”

Sono un essere umano, ho avuto paura. Mi sono chiesto però cosa sarebbe accaduto a questo paese se tutti fossero scappati via. E ho deciso di venire. Non mi sento un eroe, ma solo una persona che può aiutare, con il suo lavoro, altre persone.

Luca, infermiere di Emergency in Sierra Leone

Luca, infermiere di Emergency in Sierra Leone. L’epidemia di Ebola non si ferma: in Sierra Leone, oltre 100 persone contraggono il virus ogni giorno.

Jakob: “In zona rossa, concentrati al massimo”

Il nostro lavoro è pericoloso, certo. Siamo preparati, però, sappiamo che quando siamo in zona rossa, quando entriamo e quando usciamo, dobbiamo essere concentrati al massimo. A volte è difficile: ripeti sempre gli stessi movimenti, con la tuta si soffre il caldo, si perde un po’ di manualità. Niente però ci deve fermare: il lavoro che facciamo qui è troppo importante per la mia gente, per il mio Paese.

Jakob, “supervisor hygienist” di Emergency al Centro di Lakka, Sierra Leone

Jakob, “supervisor hygienist” di Emergency al Centro di Lakka, Sierra Leone. Tutto lo staff ha seguito una formazione specifica sui protocolli di protezione, l’uso dei dispositivi di protezione individuali e sul corretto movimento nei percorsi obbligati interni al Centro per evitare la diffusione del virus e la contaminazione.

 
A loro vanno aggiunti, idealmente, insieme a tutti gli operatori sanitari locali che spesso hanno un parente o un amico morto per il virus, i tanti altri che si battono in prima linea contro l’Ebola che al 16 dicembre 2014 ha causato un bilancio terribile: 6.856 vittime. Cito per tutti: Elena Giovannella, 42 anni, anestesista torinese, da dieci anni al lavoro nell’ospedale di Emergency a Goderich, periferia di Freetown, Sierra Leone; Chiara Bruzio, 33 anni, infermiera, in Africa per Medici senza frontiere; Roberto Scaini, 41, medico di base nel Riminese, in Sierra Leone pure con Medici senza frontiere; Clara Frasson, 55, esperta di sanità pubblica (coordina il progetto di Cuamm, Medici con l’Africa) in Sierra Leone; Renata Gilli, 28, medica specializzanda, partita con l’Associazione torinese Rainbow for Africa per la Sierra Leone. Grazie, grazie, grazie (s.g.)

Dal 1994 a oggi l’attività di Emergency, fondata da Gino Strada con la moglie Teresa, è costantemente aumentata in Italia e nei paesi afflitti dalla guerra e dalla povertà. Questo è stato possibile anche grazie all’aiuto di tutti coloro che hanno messo a disposizione il loro tempo come volontari e dei singoli cittadini, delle aziende e degli enti che hanno contribuito ai progetti.


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