Una svolta del “Corriere”
e le mie parole ai medici:
il cuore ha bisogno
anche di buone notizie
e storie di umanità virtuosa

Le notizie sulla partita più bella dell’Italia calcistica vincitrice sulla Germania sono affiancate sul Corriere della Sera di oggi, venerdì 29 giugno 2012, dalle storie di un angelo invisibile di Milano che aiuta chi è rimasto indietro (saldando i debiti, pagando gli affitti, incoraggiando i bisognosi ad affrontare la vita con un sorriso: “L’anomalia non sono io, è chi volta le spalle a chi è stato sconfitto dalla vita”): la prima di una serie di buone notizie che Giangiacomo Schiavi, il vicedirettore che scava nella miniera della solidarietà silenziosa per portare alla luce storie della Milano e dell’Italia al meglio, promette di raccontare da oggi sul grande quotidiano di via Solferino (chi vuole contribuire con segnalazioni, gli scriva una mail: gschiavi@rcs.it).

La novità del Corriere, che già vanta la doppia pagina settimanale della Città del bene, mi trova sintonizzato sulla stessa lunghezza (e non deve essere secondario il particolare che sia io che Schiavi abbiamo avuto l’onore di raccogliere, lui per il Corriere e io per Oggi, le riflessioni di Enzo Biagi dopo il suo brutale allontanamento dalla Rai in seguito all’editto di Sofia emanato dall’allora premier Silvio Berlusconi). Come giornalista, da oltre 40 anni (il mio primo incarico dal direttore di Oggi Vittorio Buttafava fu onorato con la pubblicazione su quel settimanale il 21 aprile 1971: la storia di una donna di Barletta diventata madre nello stesso giorno in cui le rapirono il marito gioielliere) ho privilegiato la ricerca di storie e di personaggi “luminosi”, carichi di realtà e di favola. Mi ha mosso un invito scritto da Italo Calvino nelle Città invisibili: “Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Di questo argomento (“Quando l’informazione fa bene al cuore“) sono stato chiamato recentemente a parlare ai cardiologi lombardi nel castello di Monguzzo in Brianza. Di quel mio intervento riporto qui i brani centrali.

All’invito calviniano a trovare storie che facciano bene al cuore, contro gli infiniti colpi al cuore inferti quotidianamente da giornali e tv, ho improntato il mio lavoro da cronista e le mie direzioni del settimanale L’Europeo e dell’Airone dei tempi d’oro; deli mensili Genius e BBC History Italia e la cura delle pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi, di cui attualmente sono, con L’Europeo, tra i principali collaboratori. Vanno in questa direzione i libri che ho scritto: ne cito due per tutti, “L’Arca dell’Arte” (storia di un soprintendente di 31 anni, Pasquale Rotondi, che durante la seconda guerra mondiale ha dato ricovero e salvezza a migliaia di capolavori dell’arte italiana nel Montefeltro marchigiano: link al libro e anche al docu-film per La storia noi) e “Voglia di cambiare” (Chiarelettere, 2008), diario di viaggio nei Paesi dell’Europa efficiente che hanno risolto problemi che noi italiani non riusciamo a risolvere.
 
Mi muove la convinzione che le difficoltà della vita quotidiana si aggravano se, come succede, si è sommersi ogni mattina da un mare di cattive notizie, dei veri e propri colpi al cuore che alimentano un diffuso malessere nazionale e un voyeurismo indotto: com’è noto, secondo un modello molto primitivo di vedere le cose, le uniche news sono le “bad news”, quelle che coinvolgono le tre S: sesso, sangue, soldi. Questa convinzione, unita all’altra che “il bene non fa notizia”, è sbagliata: perché il bene non ha cronisti specializzati. Mentre ogni giorno dai quotidiani partono telefonate a questura, carabinieri, vigili del fuoco e ospedali, nessuno ha in agenda i numeri telefonici dei tanti  che, in Italia e nel mondo, fanno le cose giuste e degne di emulazione.  Mi muovono anche le recenti previsioni del Millennium Project dell’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per la cultura: “I progressi fatti dalla scienza e dalla tecnologia in questo 800° ciclo medio di vita dell’umanità, nella diffusione della cultura e nell’economia possono rendere il mondo migliore”. È incoraggiante la fotografia scattata dall’Unesco sul nostro futuro. Il domani che ci stiamo costruendo potrebbe non essere così nero, come ci viene proposto dai media. È quanto emerge dallo “State of the Future”, le previsioni frutto di un lungo lavoro di ricerca dell’Unesco durato 12 anni sui possibili scenari futuri mondiali.
 
Le prospettive per il futuro sono state fatte analizzando scrupolosamente i dati dei precedenti 20 anni fino a oggi, confrontando 29 variabili diverse da un comitato internazionale di gruppi di ricerca. E i risultati sono incoraggianti. La situazione del mondo è già ora migliore di quanto si possa credere. E anche il futuro sembra sorriderci. È migliorata infatti l’alfabetizzazione e l’aspettativa di vita della maggior parte della popolazione, anche italiana: abbiamo festeggiato  i 150 anni dell’Unità del nostro Paese e ricordo che nel 1861 il 98% parlava e capiva solo il proprio dialetto, la metà era senza lavoro,  l’aspettativa di vita era di 33 anni e le malattie più diffuse erano malaria, pellagra e tubercolosi). Inoltre ci sono meno mortalità infantile e conflitti di un tempo e parallelamente, nonostante una spesso iniqua distribuzione della ricchezza, aumenta il reddito medio pro-capite (tranne che nell’Africa sub-sahariana).
 
Tra le principali innovazioni che hanno migliorato il mondo e hanno le potenzialità per migliorarlo ancora – racconta lo studio – c’è Internet e la diffusione di un’informazione più democratica: “Siamo la prima generazione che agisce via Internet. Abbiamo la capacità di connettere le giuste persone, idee e risorse per far fronte alle sfide che si pongono dinnanzi a noi”.
 
È la prima volta nella storia in cui – grazie a cellulari, computer, traduzioni linguistiche, conoscenze e tecnologie sanitarie – stiamo dando vita a un’umanità interdipendente capace di realizzare strategie globali per migliorare il futuro comune. “Un sistema trasparente, la democratizzazione, i media interattivi – continua il rapporto Unesco – stanno coinvolgendo maggiormente le persone nelle decisioni di potere”. Purtroppo ci sono anche alcuni punti dolenti che il rapporto considera in modo chiaro. Stanno infatti aumentando le emissioni di gas serra in quasi tutto il mondo (anche l’Italia ha per il momento disatteso le aspettative sull’accordo di Kyoto) e cresce anche lo spreco di energie. Secondo il gruppo di lavoro gli enormi capitali dedicati all’entertainment e a prodotti poco salutari e ai conflitti locali non facilitano un miglioramento del pianeta.
 
“I media sono focalizzati sui prodotti che ci rendono poco felici e soprattutto sui peggiori comportamenti dell’umanità capaci di mettere un gruppo contro l’altro”, è l’amara conclusione dello studio Unesco.
 
Se tiro le somme, vedo rafforzata la mia convinzione: l’impegno di un giornalista in un mondo sempre più caotico deve essere quindi anche quello di cercare buone storie e di portarle alla luce. Notizie che ti fanno sorridere e respirare, notizie che appunto FANNO BENE AL CUORE, come recita il sottotitolo del mio sito. Non si tratta di selezionare soltanto cose buone. Non ci sono mai assolutamente cose buone e cose assolutamente cattive. Si tratta di prendere quello che capita e scovare il suo lato buono. E di lì cominciare a ritessere, a fare ordine, a raccontare con un metaforico sorriso sulle labbra.
Quando si parla del giornalismo oggi, ci si concentra troppo su cose del tipo: su carta oppure on line? Dove sta il futuro della notizia? Il futuro della notizia sta, a mio parere, nel torcerla ogni volta in direzione del bene. Di resistere al fascino del male. Una convinzione di molti grandi spiriti anche del recente passato: sia Luigi Einaudi, economista e anche giornalista diventato presidente della nostra Repubblica che Luigi Albertini, mitico direttore del Corriere, convenivano in uno scambio di lettere reso noto nel libro edito dalla Fondazione del Corriere su  Einaudi che la professione nobile del giornalista va intesa anche come modo di “educare la nazione”, Qualche esempio che vi tocca direttamente come specialisti del cuore. Alzi la mano chi ha saputo che Israele e Palestina, pur in guerra, sono stati uniti da un cuore.
 
Ormai i trapianti di cuore sono una pratica comune, e spesso non fanno notizia. A meno che non sia stato un palestinese a donare il proprio cuore a… un israeliano. È accaduto di recente che Mazen Joulani, un farmacista palestinese della parte orientale di Gerusalemme è stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco sparato da un’auto di passaggio mentre stava seduto a un caffè della sua città. Nonostante il fatto che a uccidere Joulani sia stato probabilmente proprio un commando israeliano, la sua famiglia, di religione musulmana, ha deciso di donare il suo cuore a Yigal Cohen, un israeliano padre di due figli che si è salvato proprio grazie a questo intervento. “L’Islam non proibisce di donare i propri organi per salvare la vita di qualcun altro”, ha dichiarato il padre di Mazan, il 71enne Lufti Joulani. “Perciò abbiamo deciso di donare il cuore e tutti gli altri organi utili di nostro figlio per salvare la vita di altre persone, non importa se ebree, cristiane o musulmane, anche se credo che Mazan sia stato ucciso proprio da dei coloni israeliani”.
 
“Questo nobile gesto ci ha toccato davvero profondamente”, ha dichiarato David Cohen, padre dell’israeliano a cui è stato trapiantato il cuore di Mazan. “È stata per noi una grossa sorpresa scoprire l’identità del donatore. È una cosa che ci ha colpito molto, soprattutto in questi giorni in cui i rapporti tra israeliani e palestinesi sono così tesi. Questa nobile famiglia palestinese ci ha insegnato che è possibile fare le cose in modo diverso. Sarà proprio grazie a persone come gli Joulani se si riuscirà a trovare una strada verso la pace”.
 
Il dottor Yaacov Lavie, il cardiologo del Tel Hashomer Hospital vicino Tel Aviv che ha eseguito il trapianto, ha dichiarato alla radio israeliana che Yigal Cohen sarebbe morto senza il cuore di Joulani. E ha aggiunto: “Quando sei tutto preso in un’operazione di trapianto non ci pensi, ma quando dopo ti ritorna in mente che durante l’operazione hai tenuto il cuore di un palestinese in una mano e quello di un israeliano nell’altra, ti viene da sorridere pensando che dentro siamo tutti uguali, e che tutti i conflitti sono assurdi e inutili”.
 
Infine, il dottor Lavie ha raccontato che, la stessa notte del trapianto del cuore di Joulani, anche la famiglia di una delle vittime di un recente attentato palestinese ha deciso di donare gli organi. “Ci troviamo nel bel mezzo di un tornado politico ed emozionale”, ha commentato il chirurgo, “ma raggi di luce come questi ci danno la forza per continuare a credere in una risoluzione positiva e pacifica dei conflitti”.
 
Buone notizie, a cercarle, ne trovo parecchie, a cominciare dall’elevata sopravvivenza di operati di tumore o di leucemia infantile (l’80% dei colpiti oggi sopravvive, sviluppando addirittura quella che il luminare Giuseppe Masera chiama “resilienza”, cioè la capacità dell’organismo di affrontare e superare le nuove avversità). Ma veniamo a due sole notizie delle ultime ore: una vede Carlo Petrini su Repubblica ricordarci che sono tornate le api. “Grazie a un provvedimento del nostro ministero dell’Agricoltura che nel 2008 ha sospeso l’uso dei pesticidi, non si registrano più morie, la produzione di miele è aumentata del 26 per cento rispetto all’anno scorso. Per una volta l’Italia, paese diventato lento, arretrato, incapace, è all’avanguardia”, scrive Pietro Citati sul Corriere della Sera di ieri.
 
L’altra è questa di stamattina: “In Alto Adige un bimbo affidato da una coppia ai vicini travolto e ucciso da una ruspa”.
 
La tragica storia del piccolo Jannik mi ha fatto affiorare dal pozzo della memoria l’incontro che ho avuto  con il premio Nobel della medicina Mario Capecchi. Direte voi: che c’entra Jannik con un Nobel? C’entra, perché anche lui, Mario, di origine italiana, mi confidò che proprio in Alto Adige, era stato affidato dalla madre a una coppia di contadini che abitava vicino casa. La madre, una pittrice vedova, l’aveva consegnato prima di essere internata dai nazifascisti nel lager di Dachau.
 
Dai due ai nove anni, Mariolino Capecchi ha vissuto da sciuscià, senza un giorno di scuola, andando a rubare ogni giorno nei retrobottega dei ristoranti sulla strada tra Bolzano e Verona per mangiare. Un giorno un automobilista samaritano ancora ignoto lo raccolse sulla strada in pessime condizioni di salute (era stato attaccato dal tifo) e lo depositò nell’ospedale di Reggio Emilia dove lo salvarono. E dove, con un misterioso filo diretto che soltanto una madre può avere, lo rintracciò la mamma una volta liberata dal lager. Partiti per gli Stati Uniti, Mariolino, che non aveva mai fatto un’ora di scuola, ha cominciato a studiare a Princeton e nel 2007 ha raccolto il fantastico premio per i suoi studi sulle cellule staminali: il Nobel per la medicina.
 
Con l’ultima citazione “cardiaca” vi porto  oltre i confini dell’universo a noi conosciuto: era il 1977 quando vennero lanciate le sonde americane Voyager 1 e 2: dovevano durare 5 anni e visitare Giove e Saturno. 34 anni dopo sono ancora al lavoro. Il Voyager 1 oggi  è a oltre 17 miliardi e mezzo di chilometri dal nostro pianeta e ha lasciato i confini del Sistema solare per addentrarsi nell’ignoto spazio interstellare. Tra 26.135 anni toccherà Proxima Centauri, la stella a noi più vicina (dista soli 4,3 anni luce, un anno luce è pari a 9.500 miliardi di chilometri), il suo piano di viaggio la porterà tra 862 mila anni a  raggiungere la stella a noi più lontana, una stella dal nome telefonico: D+251.496. A bordo, la sonda porta un disco su cui sono incisi 116 immagini e 21 suoni della Terra, i simboli della nostra civiltà. Il contenuto del disco è stato selezionato per la NASA da un comitato presieduto dal celebre Carl Sagan della Cornell University: i vari Paesi del mondo sono stati invitati a dare pochi secondi di suoni della propria identità, una sorta di musica dell’anima, da mandare a eventuali civiltà extraterrestri per far conoscere l’essenza della vita sul nostro pianeta. I suoni sono per lo più naturali, come quelli prodotti dal soffiare del vento, da tuoni, uccelli, balene, pioggia, cani, risate. Una ninna nanna, il pianto di un bambino, il fischio di una caffettiera, un frammento di haiku, poesia lampo giapponese, un brano musicale del Quartetto Veneziano per l’Italia, la voce rauca di Louis Armstrong fino alla sorpresa finale: il battito del cuore così come l’ascolta il nascituro nella pancia della madre. Quest’ultimo frammento sonoro l’hanno mandato i finlandesi, il paese dover i bambini sono i più fortunati al mondo e dove i figli sono visti come capitale sociale da tutelare (per chi volesse saperne di più, rimando al mio libro “Voglia di cambiare“, Chiarelettere 2008)…
 
“Quei suoni della Terra sono come il messaggio nella bottiglia lanciato nel mare cosmico”, mi disse il direttore generale della Nasa, l’italo-americano Rocco Petrone. “L’abbiamo inviato come simbolo perché noi ipotizziamo che non siamo soli nell’universo. Il messaggio, però, è più per noi terrestri che per loro. Perché sintetizza ciò che soprattutto sta a cuore a noi uomini: il mistero e il fascino della vita”. In quel messaggio non c’è nulla che faccia notizia ogni giorno sui giornali o in tv. Nel desiderio di comunicare con eventuali alieni, mi piace pensare che quel disco lanciato oltre le stelle possa suggerire anche a noi operatori dell’informazione (e ai cittadini di ogni professione, e soprattutto ai giovani) a guardarci attorno per vivere in modo diverso.
 
Avere gli occhi sulla natura. Riallacciare i fili di seta con il prossimo. Incantarsi davanti alla bellezza dell’arte. Affinare la propria professionalità per fare al meglio il proprio mestiere. Ripartire come esploratori dell’infinitamente grande ma anche avere occhi nuovi per il piccolo che ci circonda. Riscoprire la spiritualità e la poesia, poesia fatta non solo di gesti, ma anche di parole e  di immagini (come ha proposto Tonino Guerra in una serie di arazzi colorati per il centro cardiologico dell’ospedale Morgagni di Forlì*: vedi nota in fondo)
 
Ho imparato questo nelle stanze della Nasa in quell’incontro con Rocco Petrone, ma anche un’ultima lezione che oggi voglio tramettervi. Durante le operazioni di sbarco sulla Luna, in quelle ore così difficili che vedevano lo sforzo economico e tecnologico più complesso mai messo in piedi nella storia dell’umanità, nella sala di comando e di controllo della Nasa c’era proprio lui, Rocco Petrone, figlio del vicebrigadiere di Sasso di Castalda, un paese senza storia vicino a Matera, chiamato dopo la laurea in ingegneria aerospaziale alla Nasa a dirigere la missione Apollo.
È una storia umana e professionale, quella di Rocco Petrone, che dimostra come nel giro di una sola generazione si possa passare, guidati dalla studiosa curiosità, dalla campagna più arsa e più povera d’Italia alla direzione della più grande impresa organizzativa dell’umanità.
 
Quando si viene presi dal pessimismo e dalla depressione, di fronte alle difficoltà rese ancor più aspre dalle cattive notizie di ogni giorno, pensate (come viene spesso da pensare a me) a quell’uomo. È un’iniezione costante di fiducia. La sua storia insegna che l’Italia ha le energie, l’intelligenza, per fare un salto come quello della famiglia Petrone: dai Sassi di Matera ai sassi della Luna.

* Questi gli arazzi disegnati e riprodotti su tela dalla bottega Pascucci di Gambettola: ll cuore è una farfalla; Il cuore batte in fretta se arriva una bella donna o un carabiniere; Il cuore di chi ha un’amante ha due capanne; Il cuore è un rumore che riene compagnia; Il cuore ti vuole bene; Il cuore è più bello quando è sano.