Dal Nord Europa semi di storie per un nuovo Eros: “Cara, facciamo l’amore solo se clicchi il tuo consenso”



 

Interno notte, camera da letto. Due amanti hanno appena consumato un rapporto sessuale e si guardano negli occhi, appagati e coccolosi:

– Ti è piaciuto?

– Oh, sì…

– Mi passi un attimo il cellulare?

– Ma… adesso?”

– Sì, me lo prendi, per favore? È lì sul comodino, non ci arrivo

– Ma adesso ti serve il cellulare? Che ci devi fare, scusa?

– Voglio chiederti se vuoi farlo ancora!

– Oh… allora aspetta, che prendo anche il mio e ti dico di sì!

È più o meno così che mi immagino un rapporto sessuale in Danimarca, adesso che è stata diffusa l’applicazione iConsent.

Battute a parte, serve fare un piccolo inquadramento culturale per capire entro quale cornice è stata elaborata e distribuita questa applicazione, che serve a dare il consenso per avere un rapporto sessuale: prima di dicembre 2020, in Danimarca era considerato stupro un rapporto sessuale in cui si potessero verificare minacce o violenza fisica, o in cui la vittima si potesse trovare in condizioni di fragilità e coercizione: erano quindi escluse situazioni di debolezza o incoscienza. Dal 1° gennaio di quest’anno 2021, invece, è entrata in vigore la nuova legge sul consenso, per cui ogni rapporto che avviene senza previo consenso esplicito da entrambe le parti potrà essere considerato stupro.

iConsent nasce proprio a questo scopo: si scarica l’applicazione, si inserisce il numero di telefono della persona con cui si vuole consumare, e a questa persona arriva una notifica: se accetta, si hanno 24 ore di tempo per avere il rapporto, poi il consenso decade. La richiesta è valida per un solo rapporto e il consenso può essere revocato in qualsiasi momento. Insomma, si stipula una sorta di contratto.

Molte sono state le critiche mosse a questa applicazione: che cosa succede se sono costretta a dare il mio assenso sotto minaccia del mio aggressore? Se mentre siamo presi nella foga dei “preliminari” ci dimentichiamo di fermarci e inviarci la notifica? Se mi sentissi vincolata ad avere un rapporto perché ho digitato “Sì”? E se la situazione mi mette a disagio, ma non ho il cellulare a portata di mano per revocare il mio consenso, basta il mio: “Non voglio più”?

È proprio quest’ultimo quesito che secondo me è rilevante, da un punto di vista relazionale; i Paesi nordeuropei sono sempre stati all’avanguardia in tema di procedure, il che va benissimo quando si parla di organizzazioni: ma si può ridurre la relazione a una serie di procedure, di passaggi schedulati? Una relazione è fatta anche di rischi e responsabilità, e richiedere di effettuare una procedura per avere un rapporto sessuale toglie tutta quella dimensione di azzardo e incognita che caratterizza i rapporti umani e, visto che parliamo di rapporti sessuali, anche di sensualità, passione, romanticismo: insomma,avere un rapporto sessuale potrebbe diventare intrigante come richiedere lo spid alle Poste.

Ma volendo andare più a fondo e non fermarci solo al lato ludico del rapporto sessuale, affidarsi a questa applicazione potrebbe dire abdicare all’aspetto cognitivo ed emotivo della mente umana, che ti fa capire se l’altro/a ci sta o no, se si sente a suo agio o è in imbarazzo e vorrebbe rallentare, se mentre sta succedendo ha cambiato idea, affidando tutte queste sfumature a un mero sì/no di un’applicazione sul cellulare.

In sostanza, si spersonalizzerebbe l’esperienza che più di tutte necessita di contatto umano, l’intimità, e le si toglierebbe quella fondamentale componente di fiducia che è presente sia nelle relazioni stabili e a lungo termine, sia nella “botta e via”. Insomma, finchè l’altro/a ci dice “Sì”, siamo felici e va tutto bene, ma se a un certo punto cambia idea e ci dice “No”, riusciremmo a tollerarlo? È come se fossimo animali sopraffatti dal semplice istinto e non volessimo sobbarcarci il dovere di guardare la persona che abbiamo davanti, di vedere quello che ci comunica, perché è troppo faticoso e insomma, noi vogliamo solo divertirci senza pensieri. O come se avessimo così tanta paura che l’altro/a possa metterci nei guai, accusandoci di abusi, da pensare che la soluzione sia ripararci dietro un consenso scritto.

È banale sottolinearlo, ma l’idea è che alla base del problema del consenso ci sia un profondo analfabetismo emotivo, una mancata capacità o una mancata voglia di considerare chi si ha davanti come una persona, che si tratti del tuo partner stabile, o del tizio/a che hai conosciuto ieri sera alla festa, e non come un oggetto da usare a nostro piacimento. È vero che l’unica soluzione possibile è un processo di educazione all’affettività a partire da quando si è piccoli, e che quindi sia una soluzione lenta, perchè ci vuole tempo per operare una modificazione culturale, mentre il problema del consenso è urgente e contingente. Ma e anche vero che una relazione umana non è una procedura e che quella del consenso resta comunque una questione troppo delicata e complessa per essere ridotta alla notifica di un’applicazione.

Giuseppina Velardo è autore presso FuoriTestata, il giornale online della milanese Fondazione Lighea Onlus, direttore editoriale Paolo Occhipinti (fuoritestata.it). È psicologa e psicoterapeuta. Si occupa di terapia familiare, di coppia e del singolo individuo.