Geografie intime: i viaggiatori di Giannella Channel e i paesi invisibili di Franco Arminio



 

Viaggiatori in cerca del bello, dell’insolito, dell’utile: è questo il ritratto che affiora dai dati di Google Analytics sui 604 mila lettori che con la loro attenzione hanno onorato nel 2016 Giannella Channel e il suo impegno volontario e gratuito per un giornalismo partecipativo, “al positivo”. Per questo ho letto con particolare interesse Con gli occhi aperti. 20 autori* per 20 luoghi, antologia di letteratura di viaggio che il bravo curatore Andrea Cortellessa ha raccolto per le edizioni Exorma (358 pagine, 21 euro).

Questo l’incipit: “È passato più di mezzo secolo da quando Claude Lévi-Strauss, nel 1955, premetteva a uno dei capolavori della letteratura antropologica, Tristi tropici, trenta pagine straordinarie con un titolo, Fine dei viaggi, destinato a farsi formula-tipo se non proprio slogan:

Viaggi, scrigni magici pieni di promesse fantastiche, non offrirete più intatti i vostri tesori…

Il curatore poi prosegue: “Di recente un giovane saggista torinese, Luigi Marfè, ha dato un titolo eloquente a un suo libro densissimo di spunti teorici e letture di testi più o meno noti: Oltre la fine dei viaggi. Individuando quattro tipologie di reazione all’impasse codificata da Lévi-Strauss:

  1. il viaggiatore come “collezionista erudito”
     

    (i cui alfieri vengono scelti in Sacheverell Sitwell e Claudio Magris, ma ulteriori rappresentanti sono indicati in Mario Praz, Tommaso Landolfi, Roland Barthes, Italo Calvino e José Samarago; lecito aggiungere a siffatto catalogo Emilio Cecchi e Alberto Arbasino), intento a decifrare quello che Hans Blumenberg ha chiamato ‘la leggibilità del mondo’ con un brulicante sovraccarico di rinvii a luoghi già visti (e già scritti);

  2. il “meta-viaggiatore”
     

    (attitudine i cui campioni vengono indicati in Nicolas Bouvier e Bruce Chatwin, ma della quale altri rappresentanti citati sarebbero Fosco Maraini, Jean Baudrillard, Jonathan Raban e Gianni Celati; il quale assume concettualmente la fine del Viaggio come Destinazione a una Meta, per insistere al contrario su un incessante ‘nomadismo’;

  3. colui che soffre di dépaysement
     

    cioè l’esule, il rifugiato, lo sradicato per forze maggiori di carattere storico e politico (Primo Levi e Winfried G. Sebald: ma anche Vladimir Nabokov, Iosif Brodskij, Edward W. Said: ai quali aggiungerei senz’altro, fra i mille perseguitati dal ‘secolo cane lupo’ di cui parlava Osip Mandel’stam almeno Paul Celan e Amelia Rosselli); e infine

  4. l’ “anti-turista politico”
     

    (esemplificato da Camillo José Cela e Ryszard Kapuscinski ma a partire da Guerre politiche di Goffredo Parise per poi annoverare Franco Fortini, Alberto Moravia fino a Peter Handke): colui che vuole verificare de visu la realtà mistificata dall’ideologia, e smentirne i luoghi comuni propagandistici.

L’antropologo Claude Levi-Straus in Amazzonia, 1936.

Una nuova frontiera viene infine indicata da Marfè in quelli che chiama “i controviaggi”, quelli dei migranti e di coloro che provengono da realtà postcoloniali (come Predrag Matvejevic, V. S. Naipaul, Derek Walcott, Salman Rushdie, Haneif Kureishi o Jamaica Kincaid), i quali capovolgono il vettore psichico della tradizione millenaria del racconto di viaggio – e possono così indicare una strada, pure, a quegli scrittori del Centro (per esempio Francois Maspero e Ian Sinclair) che cercano ‘gli spazi di alterità del mondo in cui vivono’.

* Questi i venti, tra i migliori narratori e poeti della nostra nuova letteratura, che hanno raccolto la sfida lanciata da Andrea Cortellessa: Antonella Anedda, Franco Arminio, Andrea Bajani, Emmanuela Carbé, Raffaella D’Elia, Giorgio Falco e Sabrina Ragucci, Andrea Gibellini, Helena Janeczeck, Alessandro Leogrande, Valerio Magrelli, Paolo Morelli, Tommaso Ottonieri, Francesco Pecoraro, Marilena Renda, Giuseppe A. Samonà, Emanuele Trevi, Vitaliano Trevisan, Filippo Tuena, Giorgio Vasta, Sara Ventroni. Ognuno di loro inventa, a suo modo, un luogo che ha visto in prima persona: dall’estremamente vicino delle pieghe del litorale laziale all’estremamente lontano dell’Africa e delle Americhe. Perché ogni occhio, ogni autore, altro non è che un mondo nuovo.

(In apertura: l’Irpinia di Franco Arminio. Credit immagine a lato: Antonio Molino)

A PROPOSITO/ESTRATTO DAL LIBRO “CON GLI OCCHI APERTI”

L’Atlante immaginario

dell’esploratore Arminio

Pino Boschetti, “Il Vento”.

Escadoro

Una leggenda del posto dice che l’arcobaleno è una ragnatela che fanno i morti per catturare gli angeli. A Escadoro lo sanno benissimo che la realtà è una gabbia, una calunnia. Bisogna scappare, a un certo punto, c’è solo da scappare, non si può fare altro. Scappare dalle proprie scarpe, dal proprio naso, scappare dalla propria gioia e dal proprio dolore, uscire, uscire non solo da sé stessi, ma dal mondo, uscire da ogni amicizia, da ogni amore, uscire da ogni diritto, da ogni dovere, uscire a prendere il sole, questo si deve fare, nient’altro.

Serpentazzo

Ogni anno, verso la fine di novembre, si sparge la notizia che sta per arrivare il terremoto. La gente esce per strada e aspetta in un clima di fervore. Si dorme nelle macchine, qualcuno ti offre un pezzo di frittata, si fanno un sacco di dolci, si beve molto vino. A un certo punto il fervore comincia a calare, il terremoto è rimandato e Serpentazzo torna alle tasse, alla disoccupazione, alle miserie del nostro tempo.

Miffa

Qui esistono ancora le cose uniche: una rosa, una busta di patatine vuota, un cane, un bastone e poi cose generali come il sonno, il vento, la morte. Le cose uniche sono l’unica cosa per cui vale la pena di vivere. L’agonia di un uomo, l’orgasmo in un pomeriggio di luce, la neve quella mattina, un gelato quella sera, una lettera ricevuta quel giorno. Bisogna avere la forza di accettare che la vita finisce ogni volta che abbiamo letto quella lettera o mangiato quel gelato. Noi ci illudiamo che ci sia un proseguimento, in realtà ogni attimo chiude tutto e quando ricomincia un altro attimo già siamo in un altro mondo. Ecco, Miffa è un posto speciale perché qui si capisce questa cosa, ma non crediate che si capisce tutto, perché neppure questa cosa è tutto.

Scurazzo

Anche a Scurazzo hanno le vite svogliate che ci sono adesso, le vite che non sanno di niente, le vite indecise, le vite precise, le vite premurose, le vite paurose, le vite indegne, le vite degne, le vite vicine alla vita, le vite postume, le vite agguerrite, le vite arrese. Anche a Scurazzo ormai ci sono solamente i vivi e per questo è un luogo da trascurare. In giro non si vedono fantasmi, nell’aria non si sente niente, non ci sono misteri, tutto è illuminato, ordinato. Il traffico è regolato dalle rotonde, i cani non pisciano per strada, il pane è nelle buste.

Gutto

Per arrivare bisogna fare talmente tanta strada che a un certo punto si rinuncia. Ci si può fermare cento, dieci, un chilometro prima, comunque non si arriva mai, nessuno è mai arrivato a Gutto.

Dentenano

Qui abitano i nulladicenti. Sono i fannulloni della parola. Non è che non parlano, parlano pure molto ma sempre ben dentro l’ovvio, dentro la banalità. I nulladicenti odiano i poeti e le loro pretese di dire o di fare qualcosa con la lingua.

Franco Arminio (Bisaccia, 1960) non si è mai spostato dal suo paese, nell’Irpinia d’Oriente. Per vivere fa il maestro elementare. È il direttore artistico del festival di Aliano La luna e i calanchi. Ha aperto insieme ad altre persone la casa della paesologia a Trevico. Cura il blog Comunità provvisorie.

Mupazza

Qui si sente la dolcezza che viene da una resa senza astio e senza recriminazioni. Semplicemente la gente di Mupazza ha capito che tutto è inutile, sempre e comunque. E allora non resta che salutarsi, parlare serenamente, stare nel tempo che passa, senza spingerlo in avanti, senza provare a trattenerlo.

Tasca

Era un paese invisibile. Ora si può vedere a occhi chiusi.

Niffa

Il grande terremoto ha distrutto tutto, è rimasta la cosa più bella, il nome.

Coralena

Qui hanno capito che alla lunga tutto stanca, il dolore ma anche l’amore, la tristezza ma anche la gioia. Allora si sono dati un segreto: credono al provvisorio, ci credono veramente. Festeggiano la fine di ogni anno, di ogni mese, di ogni giorno, di ogni ora, di ogni minuto.

Irenza

Il centro di un paese può stare negli occhi di un cane, nel tronco di un albero, nelle scarpe di un vecchio. Il centro di questo paese è negli occhi di una donna bellissima. Si chiama Rosangela.

Macuria

Il sindaco del paese a un certo punto ha capito che per evitare lo spopolamento bisognava fare un’ordinanza con cui si vietava a tutti la residenza a Macuria. Siccome il sindaco era molto inviso alla popolazione, non solo non se n’è andato nessuno, ma sono tornati anche quelli che erano partiti.

Argunia

Non è una rosa morta sul tavolino, Argunia è un capezzolo, è una bocca, ha il sapore di una guancia. In questo paese non fiorisce nessuna viltà, nessun compromesso. Gli uomini e le donne di adesso non sanno dove si trova questo paese, non sanno neppure immaginarlo. Per vederlo bisogna camminare sui fili dei ragni, segnarsi la fronte con le pietre di un ruscello.

Stiralupa

Un paese è per chi ci è nato dentro, un paese è una trappola, anche quando lo trovi su una strada di passaggio, anche quando è una cosa lieve, come un alone lasciato su una giacca dopo aver tolto una macchia. Stiralupa è il mio paese, la mia condanna.

Delmonio

Dove si capisce che l’umanità si è ridotta a un pezzo di vetro, tutti affacciati alla stessa finestra chiusa.

Limarco

Dove fanno i funerali ai vivi. Li allenano a morire.