LUX: nell’anno della Luce la breve storia delle lampade per i minatori

La tragedia nella miniera di Ribolla, in Toscana, illustrata da Achille Beltrame sulla copertina della Domenica del Corriere del 16 maggio 1954.

È cominciato, l’Anno Internazionale della Luce, voluto dalle Nazioni Unite per favorire una migliore comprensione del valore e della rilevanza scientifica, sociale e culturale del ruolo della luce. Fortunatamente il Sole ci assicura la presenza di questo bene di giorno e solo per alcune ore della notte la maggior parte di noi deve ricorrere ad una fonte artificiale di illuminazione. Soltanto nelle miniere i lavoratori devono fare i conti con l’assoluta mancanza di luce naturale, per cui, fin da quando degli uomini sono stati costretti a estrarre materiali dalle viscere della terra, sono stati inventate per loro delle speciali lampade. Ho ricevuto in regalo dagli autori due libri, pubblicati a proprie spese, che meriterebbero di essere letti nelle scuole, perché raccontano come i minatori hanno fatto fronte al più grande dei sacrifici del loro già duro lavoro, appunto la mancanza della luce.

Giuseppe Croce è l’autore della Breve storia delle lampade da minatore. Dalla pietra focaia alle moderne lampade elettriche (pinocroce.lamp@tiscali.it). Giovanni Belvederi e Maria Luisa Garberi (durito@libero.it) hanno pubblicato un inventario di lampade da minatori illustrando la storia di ciascuna nel libro: Illuminavano il buio. Ou la lampe passe, le mineur doit passer. La frase del titolo:

Dove passa la lampada deve passare il minatore

era scritta nella miniera belga di Marcinelle dove, nella tremenda tragedia del 1956, persero la vita 262 minatori, 136 dei quali italiani, che l’Italia aveva “esportato” in Belgio per poter “importare”, in cambio, il carbone necessario per la ricostruzione dopo la guerra.

Per dare luce ai minatori per secoli sono state usate per lo più lampade alimentate a olio; un rapporto diretto fra incidenti in miniera e la fiamma delle lampade sembra rimasto poco chiaro fino ai primi dell’Ottocento quando, nelle miniere di carbone e di zolfo, è stata riconosciuta la presenza di un pericoloso gas infiammabile, chiamato grisou, costituito principalmente da metano. Quando la sua concentrazione nell’aria supera il 6 per cento, in presenza della fiamma di una lampada il metano reagisce con l’ossigeno provocando una esplosione. Per causa dei grisou, per esempio, morirono 42 minatori a Ribolla (Toscana) nel 1954 e altri 21 nella miniera di Morgnano (Spoleto) nel 1955. Più di 100 nella ex miniera dell’Arsia in Istria, allora italiana ora croata, poco prima della seconda guerra mondiale…

Il chimico inglese Sir Humphry Davy (Penzance, 1778 – Ginevra, 1829).

La salvezza fu offerta dal chimico inglese Humphry Davy (1778-1829) che nel 1815 ha scoperto, e comunicato alla Società Reale delle Scienze, che le lampade dei minatori avrebbero potuto essere rese più sicure circondando, con una fine reticella metallica, la fiamma per impedire il suo contatto col terribile gas grisou. Oltre alle reticelle di Davy, che non volle brevettare la sua scoperta, nell’evoluzione delle lampade per minatori c’è stata anche tanta altra chimica. Per secoli il principale combustibile è stato costituito da olio vegetale; nel 1883 il tedesco Karl Wolf propose di sostituire l’olio con la “benzina”; le lampade a benzina avevano il vantaggio di offrire una illuminazione migliore e di svelare anche, dal comportamento e colore della fiamma, la presenza di grisou.

L’importante svolta successiva è stata rappresentata dall’uso nelle miniere delle lampade ad acetilene, rese possibili dopo che, nel 1862, Friedrick Wöhler (1800-1882) ebbe scoperto che l’acetilene si formava per reazione dell’acqua con una pietra grigia, il carburo di calcio, preparata facendo reagire, ad alta temperatura, il carbone con la calce, l’ossido di calcio. Negli anni fra il 1888 e il 1892, il canadese Thomas Willson (1860-1915) e il francese Henry Moissan (1852-1907) inventarono un processo per la produzione industriale del carburo di calcio per reazione di carbone e calce in un forno elettrico. Una delle prime fabbriche di carburo di calcio fu insediata nel 1900 vicino alle centrali idroelettriche delle cascate del Niagara negli Stati Uniti; poco dopo furono create fabbriche di carburo a Papigno, vicino Terni, e a Bussi, in Abruzzo.

Una vecchia lampada ad acetilene.

Le lampade ad acetilene erano costituite da un recipiente cilindrico, di una ventina di centimetri di altezza, dotato di un serbatoio contenente l’acqua, di un regolatore di flusso e di un beccuccio. La lampada era caricata con pezzi di carburo di calcio: l’acetilene usciva dal beccuccio ed era acceso fornendo una bella fiamma luminosa. La furbizia consisteva nel regolare le gocce di acqua in entrata in modo da avere una fiamma continua, senza sprechi. Il successo delle lampade ad acetilene portatili fu grandissimo; oltre che nelle miniere furono usate nei primi “fari” delle automobili, nelle lampade da biciclette e fino a qualche decennio fa si vedevano ancora dondolare sotto i carri agricoli trainati da cavalli.

L’uso della lampade ad acetilene nelle miniere e nelle gallerie durò fino a quando divennero disponibili, dagli anni quaranta del Novecento, delle lampade elettriche portatili, alimentate con batterie poco pesanti, che permisero di migliorare un poco la giù dura vita dei minatori. Il carburo di calcio trovò un altro impiego nella fabbricazione della calciocianammide, un concime azotato; l’acetilene fu usato come materia prima per alcune sintesi chimiche. L’industria del carburo ha avuto un declino in Europa e negli Stati Uniti ma sta vivendo una vivace rinascita in Cina dove la produzione di carburo di calcio ha raggiunto 10 milioni di tonnellate all’anno. La Cina è ricca di carbone e ha sviluppato, in alternativa alla petrolchimica occidentale, una sua carbochimica di sintesi con grande e crescente successo.

La breve storia delle lampade per minatori ci ricorda come siamo debitori alle innumerevoli persone che, prive della luce naturale, estraggono le materie prime e aprono le strade di cui godiamo noi che viviamo alla luce del Sole. Almeno un grazie.

Giorgio Nebbia, merceologo con una quarantennale attività di docente, pioniere dell’ecologia in Italia. Ha orientato i suoi studi sull’analisi del ciclo delle merci, sull’energia solare, sulla dissalazione delle acque e sulle questioni relative alla risorsa acqua. E’ stato deputato (dal 1983 al 1987) e senatore (dal 1987 al 1992) della Sinistra indipendente. Per contattarlo: nebbia@quipo.it

Breve storia delle lampade da minatore. Dalla pietra focaia alle moderne lampade elettriche” di Giuseppe Croce.

Illuminavano il buio. Ou la lampe passe, le mineur doit passer” di Giovanni Belvederi e Maria Luisa Garberi